a
"Il colore del pericolo" di Roberto Avanzini
di
Zeno Benciolini
Ho letto con interesse
anche questo recente racconto.
Il fenomeno descritto ne "Il colore del
pericolo" è noto, ma ricordarlo è sempre utile.
Per tutti,
esperti e non esperti nel lavoro su corde fisse.
Se non sbaglio, fu per lo stesso motivo che, nella primavera del 1966,
durante la scalata della nuova via diretta alla parete Nord dell'Eiger, si
ruppe la corda fissa (dinamica!) sulla quale stava risalendo il grande
alpinista americano John Harlin, che morì precipitando.
John Harlin era un grande dell'alpinismo, autore di vie come la
direttissima americana al Dru, nel massiccio del Bianco, con Royal Robbins.
Le corde dinamiche erano, nel 1966, una invenzione recente...
La Redazione ha
risposto: "Grazie del tuo
contributo Zeno. Vedremo di utilizzarlo.... "
In verità è un contributo ben da poco, frutto del ricordo di vecchie
letture.
Mi sarebbe piaciuto fare una piccola ricerca su quell'evento da potervi
offrire, ma mi sono reso conto che gli attuali impegni lavorativi e
familiari non mi consentono di realizzarla nel breve periodo (... ho 2 gemelli, di neanche 6 mesi, che fagocitano tutto il tempo libero
dal lavoro... compreso naturalmente quello che dedicavo ad andare per
monti).
Ho pensato così che forse poteva essere, se non un contributo, uno spunto
per qualcuno dei tanti bravi autori di intraigiarùn.
La Redazione ha
risposto: "Beh,
buono il pensiero.... lo spunto rimane valido, vedremo.... "
Piccola nota storica a cura della Redazione.
Nel periodo dal 23 febbraio al 25 marzo 1966, sulla parete dell'Eiger
accadde l'impensabile: alpinisti tedeschi, inglesi ed americani forzarono
una direttissima che non potrà mai essere ripetuta. Esattamente lungo la
verticale del "ragno", cioè in una zona che d'estate è la più
battuta dalla caduta di sassi. A che vale aprire una nuova via di salita
se essa non può essere ripetuta? Questo lo sapevano anche i tredici
alpinisti che si erano messi in mente il temerario piano di vincere la
parete d'inverno per una direttissima. "Dopo di noi il diluvio",
dicevano.
Dopo una lotta di trenta giorni raggiunsero la vetta lo scozzese Dougal
Haston, Siegfried Hupfauer di Neu-Ulm, Jorg Lehne di Rosenheim e gli svevi
Gunther Strobel e Roland Votteler. I loro compagni Chris Bonington e Don
Willians (entrambi inglesi), Layton Kor (USA) ed i tedeschi Karl Golikov,
Peter Haag, Rolf Rosenzopf e Gunther Schnaidt non poterono partecipare al
successo in vetta, ma il loro lavoro in parete non fu affatto inferiore a
quello delle cordate vittoriose. Il tredicesimo uomo di questo gruppo, che
era originariamente composto da due gruppi distinti, trovò la morte due
giorni prima che la vittoriosa ascensione fosse condotta a termine: era il
californiano John Harlin.
I vincitori della direttissima dedicarono al compagno morto la loro via:
<via John Harlin>.
Con la via Harlin aveva inizio sulla parete dell'Eiger una nuova epoca:
quella delle imprese stile hymalaiano, il che significa che tutti i tratti
difficili della parete vengono attrezzati con corde fisse, così da
poterli rapidamente percorrere sia in salita che in discesa con l'aiuto di
maniglie autobloccanti (maniglia Jumar).
Per un salto di parete alto
quaranta metri non si impiegano, anche se in verticale, più di quindici
minuti.
Non si bivacca più in modo improvvisato, ma si trascorre la notte
in condizioni relativamente confortevoli entro spaziose caverne di
ghiaccio, che vengono preparate come veri campi d'alta quota. La serie
delle corde fisse viene attrezzata possibilmente fin sotto la vetta, così
da garantire costantemente l'appoggio dal basso.
< Nota tratta da EIGER (Dall'Oglio editore - 1974) di Toni Hiebeler
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