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"E' solo un cordino"


di Mauro Mazzetti


 
Una mattina di inizio autunno in Grigna, alla base del Torrione Magnaghi settentrionale, l'occhio di Luca cadde su una macchia multicolore, appoggiata su di un pietrone: era un bel cordino nuovo fiammante, di colore giallo acceso con inserti fucsia e neri, intrecciati a formare l'armonico insieme di un improbabile tricolore.
Guardarsi in giro alla ricerca del legittimo proprietario, accorgersi che nessuno era all'attacco della via e raccogliere il cordino fu un tutt'uno, nello spazio di un attimo.
Quel cordino ha così accompagnato Luca nelle sue salite in montagna, comportandosi egregiamente quando gli era richiesto di farlo.
Attorno ad uno spuntone, collegato ad una sosta, una volta perfino utilizzato per un estemporaneo ma efficace recupero da crepaccio: insomma, quel cordino si era sempre dato da fare, attento e preciso, puntuale e silenzioso, presente ma non invadente, come sono - o dovrebbero essere - gli amici.
Dopo parecchi anni di onorato servizio, il giallo fiammante ha assunto la scialba tonalità di un limone trattato chimicamente, il fucsia ed il nero si sono fusi inscindibilmente, perdendo la rispettiva identità di colori autonomi.
Luca è sempre stato attento al materiale alpinistico; moschettoni puliti a dovere, ramponi affilati a regola d'arte, piccozze perfettamente bilanciate, fettucce annodate alla perfezione, scarpette risuolate con diligenza e precisione. Seppur a malincuore, decide così di retrocedere il cordino, sollevandolo da un carico di lavoro e di responsabilità che non può più permettersi.
Una nuova fase comincia nella vita del cordino, trasformato in bandoliera per il trasporto del materiale.

Il chiarore di un'alba incipiente accoglie Luca e Massimo all'attacco del candelone di ghiaccio, che si staglia tetro nell'aria rarefatta, quasi navigando nel freddo siderale di metà gennaio.
Dopo un paio di tiri facili, il ghiaccio cambia conformazione, evidenziando le bolle alveolate di respiri immobilizzati dal gelo.
Luca attacca con decisione, anche se una leggera angoscia gli serpeggia dentro ("hai il gatto nella pancia" - avrebbe detto sua zia).
Già prima non si è mosso con disinvoltura, forse il pensiero di Enrico, suo figlio di appena un anno.
Un respiro profondo, una scrollata di testa per scacciare idee fuorvianti, e le piccozze cominciano il loro ritmico lavoro.
Metro dopo metro, protezione dopo protezione, sale costantemente teso nell'esercizio fisico che lo prende appieno, sempre più concentrato e attento al terreno: una sezione di ghiaccio buono lo rinfranca, ma subito dopo si trova alle prese con una placca di roccia avvolta nel cellophane di una sottile pellicola di ghiaccio.
Un rapido sguardo di sbieco gli permette di rinvenire un chiodo vecchiotto, ma all'apparenza sicuro, appena più in alto, nella faccia interna dello strano e bizzarro diedro.
Sulla parte sinistra il ghiaccio di fusione, sulla parte destra la roccia con il chiodo, appena più sotto una corta candela stalattitica.
Luca passa l'ultimo rinvio nel chiodo, moschettona la corda, poi decide di usare anche la candela; finito il materiale, sfila dalle spalle il vecchio cordino, avvolgendolo con precauzione attorno alla struttura ghiacciata, che sembra possedere dubbie doti di consistenza.
Passa la corda nell'ultimo moschettone rimasto, respira a fondo, poi sposta delicatamente il suo baricentro, cercando di galleggiare senza peso fra la placca di roccia ghiacciata e la faccia destra del diedro.
Solo quattro maledetti e delicati movimenti senza spingere troppo con i piedi e sarà fuori; la picca sinistra gratta sulla roccia, tiene e lo sostiene, mentre si alza centimetro dopo centimetro, con esasperante lentezza.
Massimo dalla sosta trattiene il fiato, irrigidendosi nell'attesa del volo.
Poi si rilassa: Luca ha superato il "mauvais pas" ed esce dalla sua visuale.
Luca respira affannosamente ma si sente al sicuro, fuori dalle difficoltà, quando il rampone si infila di sbieco nel ghiaccio e scappa via, e con lui lo scarpone, la gamba, e tutto il corpo.
Luca è già volato altre volte, su protezioni più sicure ed in ambienti più amichevoli di quello in cui si trova ora.
Il tempo sembra fermarsi in quell'attimo eterno: i movimenti del suo corpo seguono ritmi e frequenze al rallentatore, diretti da un regista distratto ed indolente.
Gli frullano in testa i concetti tante volte spiegati agli allievi del corso di alpinismo (ristabilimento, fattore di caduta, velocità del corpo…), ha persino il tempo di pensare a se stesso come persona diversa e curiosa di sapere come andrà a finire.
Ed infine rivede la faccia di Enrico, il figlio con gli occhi sgranati sul suo nuovo mondo.
Massimo sente il secchiello che strappa, e poi vede Luca piombare verso il basso fino a che la corda va in tensione, e poi vede la testa del chiodo che si spezza e poi Luca che continua a cadere, e poi il cordino attorno alla clessidra di ghiaccio che dà un colpo di frusta, e poi Luca che penzola nel vuoto, sorretto dal quel misero cordino scolorito che regge il suo peso.

E' passato qualche giorno, e Luca in cucina controlla il materiale, scartando definitivamente il cordino giallo, fucsia e nero senza futuro dopo il volo sulla cascata.
Ormai è ora di metterlo in pensione, pensa Luca affettuosamente, e di riporlo nell'armadio; però il piccolo Enrico lo guarda, tende la mano verso quell'antico cordino ritorto ed infeltrito e gli sorride.
Luca allora prende il cordino, lo lava, lo asciuga e lo lega con un bel bulino al seggiolone del figlio; l'altro capo lo annoda al peloso carillon giallo a forma di pera con in cima due foglie verdi a mo' di orecchie.
Poi il papà tira l'anello che avvia il meccanismo e la musica dolce si svolge lenta, sviluppando la semplice melodia di una delicata ninnananna; il bimbo ride e sbatte gli occhi stupito, stringendo il carillon tra le mani.
Uno squillo del telefono richiama Luca alla realtà della stanza accanto; sta parlando nella cornetta con un amico, raccontando l'incredibile avventura di pochi giorni prima, quando sente un tonfo sordo dalla cucina.
I papà novelli sono apprensivi e falsamente disinvolti, titubanti ed ipocritamente decisi; Luca è tutto questo, ma la scena che vede è al di là di quanto avrebbe potuto immaginare.
Allo squillo del telefono Enrico ha continuato a giocare con la sua pera musicale; un movimento dopo l'altro, a forza di divincolarsi, è riuscito a districarsi da quelle bretelle che lo tengono prigioniero al seggiolone.
Basta un attimo, e raggiungerà quell'invitante e ghiotto biscotto rimasto abbandonato sul vicino tavolo.
La caduta è inevitabile, "a testa prima" come dicevano i nonni, ma le mani continuano ad avvinghiare il carillon con un riflesso innato ed istintivo.
Luca rimane senza fiato, quando vede Enrico a due dita dal pavimento, con le mani sul giocattolo, appeso al seggiolone e trattenuto dall'orgoglioso ed indomito cordino giallo, fucsia e nero.
Il carillon giunge alla fine del motivo musicale, soffiando le ultime note.
Luca chiude gli occhi per un attimo, poi li riapre e sorride ad Enrico, che piange e grida per tutti e due.

Mauro Mazzetti
Genova, maggio 2001