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Ortles - Parete Nord

di Mauro Loss



La riunione è finita e ci stiamo avviando al solito bar per bere qualcosa prima di tornare a casa.
I discorsi, prima accesi e incazzosi, sono più spensierati.
Si parla come al solito di montagna, dei programmi futuri, di sogni ed ecco che guardando Romano butto lì la mia pazza idea dell’estate 2009, la parete nord dell'Ortles.
Pazza perché il ghiaccio e il misto mi attirano ma non mi entusiasmano e quindi ne faccio proprio poco, insomma non sono uno specialista e prediligo di gran lunga la roccia, ma tant'è che butto lì:
Lo sai la parete sarebbe ancora in condizioni nonostante sia il dieci luglio”.
Romano non si scompone e risponde: “Bene. Informati e fammi sapere. È da tanto che mi piacerebbe farla!
Poi più nulla e così come è nato tutto finisce e i discorsi tornano ad intrecciarsi tra loro, in libertà, tra una risata, un aneddoto e una birra.
È ormai quasi mezzanotte quando, nel cortile di casa, spengo la moto e cercando di fare molto piano per non svegliare Renata, entro in casa, poso la borsa e mi infilo nel letto, ma le parole di Romano ronzano continuamente nella mia testa.
L’indomani, in ufficio, quasi senza pensarci cerco informazioni su internet e mi annoto il numero del Rifugio ma l’idea mi sembra così pazza che non oso chiamare.
Sono sul divano di casa in attesa di pranzare quando suona il cellulare.
È Romano che chiede se ho news.
Mi sorprende, prendo tempo e penso, ma allora ci crede, allora non era una battuta.
Sono euforico, mangio velocemente e poi mi attacco al telefono con gran gioia di mia madre che riesce a scambiare solo poche parole di convenevoli.
Le telefonate sono presto fatte sia Neno, un amico finanziere che lavora in zona che il gestore del rifugio confermano: le condizioni della parete sono più che buone e la temperatura si è mantenuta bassa.

Aggiorno immediatamente Romano e ci vuole veramente poco per decidere.
Ora non mi resta che convincere Renata a rinunciare al week end.
Nel pomeriggio la chiamo, lo faccio di regola anche se non ho nulla da dirle.
È una piacevole abitudine, ma lei ha un sesto senso, mi anticipa e chiede:
Che programmi hai per questo fine settimana?
La butto lì cercando di non dare troppo importanza alla cosa: una parete nord con Romano, partiremmo il sabato pomeriggio con rientro la domenica verso sera.
La risposta non si fa attendere ed è anche un po’ dura “Fai quello che vuoi tanto hai già deciso!”.
Vero.
Provo a dirle che desideravo sentire cosa ne pensava, ma taglia corto e chiude la telefonata.
Ci resto un po’ male, non fa spesso così e sono perplesso.
Renata mi conosce bene e sa che il ghiaccio non è la mia specialità tutt’altro, non è tranquilla e lo scoprirò sabato guardandola negli occhi quando sarà il momento di partire.
Il meteo resta l’ultima incognita, venerdì è messo brutto ma il week end è previsto bello e con temperature in calo. Ottimo.
È deciso: sabato alle 16.00 si parte.
Saliremo al rifugio a piedi senza utilizzare la seggiovia così avrò buona parte della giornata a disposizione da passare con Renata.
In realtà il meteo pazzo di quest’estate sembra volerci rompere le uova nel paniere.
Venerdì sera un violento temporale si abbatte su tutta la regione e il sabato mattina il tempo, seppur in miglioramento, appare ancora molto perturbato.
Ancora dubbi, ancora incertezze, ma decidiamo di fidarci delle previsioni meteo in netto miglioramento per il pomeriggio e la giornata di domenica.
Sono le 16.00 quando saluto Renata, un bacio, un’occhiata e dai suoi occhi capisco che non è tranquilla e il suo “Mi raccomando sta attento” mi ronzerà nelle orecchie per tutto il viaggio.
Sorrido, monto in macchina e passandole vicino, dal finestrino abbassato, le dico di non preoccuparsi.
Un altro bacio e via verso Lavis dove mi aspetta, anzi aspetterò, Romano.
Caricate le mie cose sulla sua Palio grigia con targa prova ci avviamo verso Solda.
La giornata è decisamente migliorata, il nostro morale è alto e il viaggio scorre tranquillo.
Sono passate da poco le 19.00 quando arriviamo al parcheggio dove lasceremmo l’auto.
Il tempo di finire di preparare lo zaino e siamo in marcia per il rifugio Tabaretta.
Un lungo e comodo diagonale aiuta ad abituarci ai nostri zaini pesanti e ci porta nel bosco a lato della morena che scende ripida e diritta dal versante nord dell’Ortles.
Ora il sentiero con comode zeta ci permette di salire veloci e tranquilli.

Dopo circa un’oretta ci appare, in tutta la sua imponenza, la parete nord il cui colore biancastro fa da contraltare al nero delle rocce e al verde acceso dei prati della valle.
Una breve sosta per ammirarla, per studiare la via di salita, per cercare di entrare in sintonia e per riposare prima di affrontare l’ultimo salto che ci porterà al rifugio Tabaretta dove arriviamo poco prima delle 21.00.
Ceniamo con un’abbondante piatto di pastasciutta scambiando alcune parole con il gestore da cui apprendiamo che le temperature si sono mantenute buone e che nel tratto finale la parete è ricoperta da uno strato di neve farinosa che potrebbe creare qualche problema con la progressione.
In camera finiamo di preparare gli zaini, regoliamo la sveglia e ci tuffiamo nei letti per cercare di riposare un po’, dormire è una parola grossa.
Il mio sguardo corre alla finestra da cui si vedono chiaramente le luci del fondovalle mentre il pensiero va a Renata, ai suoi occhi preoccupati come non glieli avevo mai visti e mi assopisco.
Le due, il suono stridulo della sveglia mi riporta alla realtà.
Controvoglia e con il subconscio che mi dice che cazz... stai facendo, stattene a dormire che è meglio, esco dal letto e mi sforzo, scacciando questi pensieri, di concentrarmi sui preparativi.
Nella penombra di una sala da pranzo riscaldata da un fornello a gas altri quattro ragazzi stanno facendo colazione in silenzio, solo il rumore delle tazze e delle posate fa un po’ di compagnia, si mangia scambiando poche parole e, non appena finito, via sul sentiero che in breve conduce sul conoide di attacco della parete nord.
La temperatura è ottimale, la neve scricchiola piacevolmente sotto gli scarponi e il conoide ricoperto di detriti, bloccati dal gelo nella neve, facilita la progressione e ci consente di alzarci fin quasi alla terminale senza calzare i ramponi.
Tutto procede per il meglio e sono sempre più a mio agio nonostante la mia frontale, spenta poco prima per risparmiare le batterie e sfruttare la luce della luna piena, non voglia più saperne di riaccendersi o meglio si accende ma non resta accesa.
L’interruttore si è rotto! E io maledico l’idea di lasciare la seconda frontale al rifugio!
La luce della luna rischiara quanto basta la parete su cui brillano le piccole luci delle frontali di quattro ragazzi cechi partiti molto presto dal rifugio, per farci capire quanto siamo piccoli e quanto sia grande ed imponente la parete che ci stiamo apprestando a salire in alto.

Poco sotto la terminale su un comodo avvallamento calziamo i ramponi, sistemiamo il materiale sugli imbraghi, lasciando la corda nello zaino a portata di mano, decidendo di proseguire slegati almeno fino alla Gola, la strozzatura posta circa a metà parete, che segna il punto di uscita dalla zona più pericolosa, quella più soggetta alle scariche di sassi e ghiaccio provenienti dal grande seracco della Vedretta Alta dell’Ortles.
Fino a quel punto la pendenza non è mai eccessiva e procedere slegati è un rischio calcolato che garantisce maggior velocità e sicurezza.
Superiamo sulla destra la terminale ancora molto chiusa e procediamo spediti.
Romano in testa a fare l’andatura, un’andatura regolare e ottimale, qualche parola giusto per capire come vanno le cose e per farci compagnia e poi sempre diritti verso la Gola, verso una maggior tranquillità ma ecco, all’improvviso, un leggero sibilo. Romano, pochi metri avanti a me, scompare in una nuvola di polvere bianca non riesco a dire nulla, il sangue mi si gela, resto impietrito, nemmeno Romano parla e ci metto qualche secondo a capire cosa sta succedendo. Una scarica di neve polverosa, una piccola valanga lo ha letteralmente investito.
Ci guardiamo preoccupati. È ancora molto presto e se la parete inizia a scaricare sono dolori, in effetti è solo neve polverosa molto fastidiosa e nulla più, ma le preoccupazioni aumentano la Gola è ancora lontana, non siamo fuori pericolo, ci spostiamo un po’ più in centro e continuiamo la nostra salita.
Lo sguardo fisso pochi metri avanti a noi.

Quei pochi metri illuminati dalla frontale sono e restano il nostro mondo, il mondo con cui combattere e lottare passo dopo passo, tutto il resto seppur rischiarato dalla luce della luna resta oscuro e lontano.
Intanto alle nostre spalle il sole comincia a far capolino e la sua luce rossastra dipinge un nuovo colore sulla parete. Un colore più caldo e rassicurante.
Siamo ormai alla Gola, la nostra porta verso la fine dei pericoli maggiori, verso una maggior tranquillità d’animo, ma anche verso la parte più impegnativa delle parete.

La pendenza aumenta e la neve ancora dura ci permette di proseguire rapidi e senza bisogno di legarci.
Poco sotto il roccione posto al centro della strozzatura le scariche di neve polverosa ricominciano insistenti e fastidiose e da qui in poi sarà uno stillicidio continuo, neve che nonostante giacche a vento, cappucci, guanti, si infila dappertutto e impiastra le nostre facce.
Nonostante questo procediamo tranquilli e fiduciosi, il sole in un cielo sempre più azzurro, preludio di una bella giornata, sta prendendo forza e illumina la parte alta della parete che appare bianca e ricoperta di neve.
Neve farinosa che rende il nostro procedere più guardingo anche se continuiamo a rinunciare alla corda continuando a salire slegati.
Superiamo i ragazzi cechi che hanno perso molto temo nel superare il ripido tratto all’altezza della Gola.
Loro, procedendo legati in cordata, sono molto più lenti.

Puntiamo al seracco posto al centro della parete, lo aggiriamo sulla destra, qui le pendenze aumentano e la salita si fa più dura, Romano chiede se non sia meglio utilizzare la corda.
Lo stillicidio delle piccole valanghe di neve così come il vento e il conseguente turbinio di neve aumentano, non sono solo fastidiosi ma hanno impiastrato un po’ tutti i nostri vestiti.
I guanti sono così duri da rendere difficoltoso il tenere la piccozza in mano e nel tentativo di cambiarli ho perso uno dei guanti asciutti e quindi insisto spingendo Romano a procedere slegati.
La fine della nord non è lontana e la neve, pur farinosa e in parte inconsistente, ci da una buona garanzia.
Passo in testa e cerco la via migliore verso la cima ormai in vista.
Un altro breve muretto più ripido ci impegna non poco poi, sempre sotto le scariche di neve e i turbini del vento, la pendenza diminuisce e procedere diventa più facile e spedito.
Sono passate da poco le 8.00 quando finalmente esco dalla nord, pochi metri sotto la croce di vetta, tolgo lo zaino e mentre aspetto Romano che sbucherà di lì a poco, mi metto il maglione e lo indosso sopra la giacca a vento per paura di perdere nuovamente qualcosa.
Percorriamo assieme questo breve ultimo tratto e dopo un abbraccio ed alcune foto in vetta ci incamminiamo lungo la normale su cui sono impegnate numerose cordate provenienti dal rifugio Pajer, siamo fuori dalla nord, ma la strada è ancora lunga e la fatica si fa sentire.
È i primo pomeriggio quando arriviamo al rifugio Tabaretta per la meritata birra.
Il gestore ci chiede informazioni sui ragazzi cechi che non sono ancora arrivati al rifugio e sulle condizioni della parete e poi, con le birre, ci porta il libro della salite.
Lo sfoglio chiamando casa ed è un piacere sentire la voce di Renata finalmente tranquilla e serena.
Quest’anno sono proprio tante le ripetizioni di questa stupenda e lunga parete, la più lunga d'Europa.
Scendendo non possiamo fare a meno di voltarci più di una volta a guardare, ora sì con un altro spirito un po’ meno reverenziale ma sempre di assoluto rispetto, verso questa lunga ed imponente parete.

Mauro Loss
Trento, luglio 2009


Gruppo: Ortles – Cevedale
Parete Nord
Via Ertl – Schmid
Prima salita: 22 giugno 1931
Dislivello: 1400 metri
Difficoltà: TD–  (Fino alla Gola pendenze attorno ai 55/60°, dopo pendenza media attorno ai 70° con tratti ad 80°)