commento ai commenti sulle citazioni dai Sacri Testi
di Angelo Bolognesi e Michele Pifferi
		
		Con incolpevole ritardo vorremmo rispondere a chi ci ha chiamati in 
		causa in relazione al fatto di inserire nelle nostre cronache di gita 
		alcune citazioni provenienti dai Sacri Testi.
		Ci scusiamo con quanti possono essersi sentiti “urtati” nella propria 
		sensibilità, ma non essendo l’offendere il prossimo il nostro scopo, 
		vorremmo cercare di spiegare le nostre ragioni. 
		A giustificare la presenza momentanea di questo tipo di argomenti su un 
		sito di montagna, possiamo ricordare che il Discorso delle Beatitudini ( 
		o Discorso della Montagna ) è stato pronunciato, appunto, su una 
		montagna. 
		Almeno nel Vangelo secondo Matteo (5:1-7:28). 
		Ci pare anche che le Tavole della Legge siano state consegnate a Mosè 
		proprio su un monte. 
		Insomma, tra il Sacro e la montagna qualche appiglio sembra esserci. 
		Ci rendiamo conto che è un appiglio degno di un passaggio 8c ma 
		procediamo, sperando di non annoiarvi troppo.
		
		
		Qualche giorno fa ci è capitato di riprendere in mano l’ "Otello" e di 
		sobbalzare alla prima scena del primo atto: là dove Jago, il perfido 
		Jago, dice: “ Io non sono quello che sono” (I am not what I am). 
		Santissima pazienza, ci siamo detti, ma questo essere diabolico ci 
		sembra stia scimmiottando la voce di Dio, stia scimmiottando la Bibbia!
		
		Per esserne certi e, di conseguenza, avvisare chi ci ha redarguiti che 
		oltre a noi e ben prima di noi, qualcun altro ha osato citare la Bibbia, 
		ci siamo messi a investigare per averne conferma.
		Abbiamo consultato del Libro dei Libri la traduzione greca dei Settanta 
		(o Septuaginta ), la Vulgata latina di San Gerolamo, la King James 
		Version inglese del 1611, la versione tedesca di Lutero (che è stampata 
		- maledizione - in caratteri gotici per di più piccolissimi). 
		E poi anche le versioni novecentesche: quella francese di Chouraqui, 
		quella tedesca di Buber- Rosenzweig, quella spagnola di Alonso Schokel.
		
		Effettivamente “Io non sono quello che sono” è un’evidente parafrasi 
		capovolta dell’ambigua e controversa dichiarazione divina “ Io sono 
		quello che sono” ( Esodo, 3:14). 
		Contenti della scoperta, che ci alleviava dal peso di essere gli 
		unici ad attentare alla sensibilità di tanti, mentre stavamo per 
		annotarlo sul nostro taccuino, ci è passato sotto gli occhi l’inizio di 
		"Moby Dick": 
		“Chiamatemi Ismaele”. 
		Bibbia, non importa neanche citarla. 
		E al pari di Ismaele abbiamo avvertito per la schiena dei " foreboding 
		shivers ", dei brividi, quando abbiamo incontrato il capitano Achab. 
		
		Achab viene dalla Bibbia. 
		Si trova nel primo Libro dei Re: 16,29. 
		E, nello stesso “Moby Dick” le diverse citazioni dal Libro di Giona ( 
		Giona, si quello della balena, guarda caso che coincidenza).
		E poi altri casi e altri ancora. 
		Abbiamo portato questi esempi solo per citare due testi molto noti. 
		Qualcuno li ha notati? 
		Forse perché gli autori si sono dimenticati di sottolineare i 
		riferimenti biblici? 
		Forse perché non si ha molta dimestichezza con la Bibbia? 
		
		Riguardo al fatto di inserire le citazioni bibliche in un contesto 
		"umoristico", non ci vediamo niente di blasfemo. 
		Con tutto il rispetto dovuto, c’è chi sostiene ci sia umorismo anche nei 
		Vangeli.
		Un esempio: Cesare Augusto ordina un censimento per finalità 
		evidentemente fiscali, ma proprio questa iniziativa che dovrebbe 
		rinsaldare il potere dell’imperatore, porta Giuseppe e Maria a Betlemme 
		dove nascerà quel Bambino che contribuirà in maniera decisiva al crollo 
		dell’Impero Romano. 
		Scusandoci con quanti potrebbero sentirsi “urtati” nella loro 
		sensibilità riteniamo abbia un aspetto umoristico - in quanto 
		involontariamente contraddittorio, perché intimamente paradossale - 
		l’impianto stesso della storia.
		Molto umilmente vorremmo ricordare il Vangelo di Giovanni. 
		Clemente Alessandrino lo definì "pneumatico" nel senso di “spirituale”, 
		opposto a "somatico". 
		E’ un grandissimo Libro e si dice che convenga leggerlo (ci permettiamo 
		di consigliare l’edizione della Biblioteca Universale Rizzoli) per 
		diverse ragioni.
		I quattro Vangeli, sono tre: Marco, Matteo e Luca, al pari dei tre 
		Moschettieri: Porthos, Athos e Aramis. 
		L’ultimo venuto, il quarto Vangelo, quello di Giovanni è diverso dagli 
		altri, al pari di D’Artagnan. 
		(Chi pensa ad un’impertinenza si sbaglia. L’abbiamo preso di peso, 
		questo paragone, da “ L’histoire des Evangiles” di Michel Quesnel, 
		pubblicato dalle cattolicissime "Editions du Cerf"). 
		Diverso innanzitutto per il “Prologo”, che parte dalla genesi, dalla 
		fondazione del mondo: cominciando dal principio.
		"In principio era il Verbo".      
		Ma cos’era questo “Verbo” (in greco:Logos)? 
		E che cosa vuol dire quell’ "era" ( imperfectum aeternitatis )? 
		Secondo Giovanni all’inizio c’era una immensa forza razionale e 
		spirituale (questo è il “Logos”). 
		Ma il Vangelo di Giovanni, dicono che sia spirituale anche perché è 
		“spiritoso”, è strapieno di sottili e segrete ironie.
		(Chi pensa ad un’impertinenza sappia che abbiamo per le mani un libro 
		religiosissimo di Paul D. Duke “ Irony in the fourth Gospel”, John Knock 
		Press, Atlanta 1985, uno degli esempi di una lunga tradizione di studi 
		su questo tema). Dove si mostra come Gesù prenda in giro la donna del 
		pozzo, la samaritana, promettendole – Lui a lei - dell’acqua. 
		E quella: "Ma chi la dà a te l’acqua se non hai un pozzo, se mi hai 
		detto di essere assetato?" 
		E non capisce che Gesù le ha promesso 
		l’acqua della Vita. 
		E non capisce che Gesù è “spiritoso“ perché “spirituale“, invita 
		continuamente a non prendere le cose alla lettera; l’apparenza 
		esteriore, anche se miracolosa, inganna. 
		Lo “spirito” è importante, la lettera uccide.
		“C’è un tempo per tutte le cose“ dice l’Ecclesiaste (altro autorevole 
		libro della Bibbia) nella celebre “sfilata dei ventotto tempi”. 
		C’è il tempo di nascere e il tempo di morire, il tempo di piantare e il 
		tempo di sradicare. 
		E poi (Ecclesiaste 3,5) il tempo di gettare le pietre e il tempo di 
		raccoglierle. 
		Una fede seria è quella che cerca sempre anche i conforti della ragione 
		:“Fides quaerens intellectum”. 
		Noi potremmo smettere di citare i Testi Sacri nei nostri poveri 
		resoconti alpini, ma ricordiamo la risposta di Bartleby lo scrivano 
		(altro personaggio di Melville che qualche critico ha paragonato - 
		pensate bene - al Cristo sofferente o alla reincarnazione del paziente 
		Giobbe): “I would prefer not to”. Preferirei di no.
		"Servite Domino in laetitia", così avrebbe detto Giovanni Evangelista.
		
		Noi, non osiamo dirlo. 
		
		Bibì & Bibò
		
		
		P.S.
		
		Riguardo al consiglio di inserire citazioni tratte dal Corano nei nostri 
		miserabili racconti, in virtù di una presunta "par condicio”, dobbiamo 
		confessare che non abbiamo ben capito cosa c’entri questa inflazionata 
		“par condicio”.
		Comunque, se e non appena diventeremo musulmani citeremo il Corano con 
		lo stesso atteggiamento di rispetto che nutriamo per il Vecchio e per il 
		Nuovo Testamento.
		
		Al Bibìh & Al Bibòh