Bibì & Bibò e L'Ago Rai
commento alla serata al CAI dedicata alle traversate del Lagorai
di Angelo Bolognesi e Michele Pifferi
Pensavamo di sorprendere la valente organizzazione alpina, lanciata nella
patologica proliferazione di corsi, in un accordo con la televisione di
stato per un corso di ricamo e cucito in parete: L'Ago Rai.
Così, pugnalandoci nella morale, ci siamo recati nottetempo nella sede
del CAI.
Abbiamo subito notato certe presenze inamovibili, come le nuvole nel
meteo e le tette di Mediaset che, come il nostro Capo, per quantità di
apparizioni, hanno surclassato Padre Pio.
Ormai fanno parte del cast fisso come il maggiordomo nei gialli inglesi
e l'aglio nei film di vampiri.
D'un tratto, mentre la sala si era nel frattempo riempita di un'umanità
varia e colorata, una gentile signorina, con toni da televendita e fare
divulgativo, ha illustrato il programma della serata tra la devozione
degli affiliati.
Sembrava Piero Angela.
Fisicamente s'intende.
Morale: nessun corso di ricamo in parete ma un metro cubo di diapositive
scattate su un cumulo di sassi sparpagliati tra il Passo Rolle e
l'Africa: i Lagorai.
Né più e né meno la solita zuppa.
Si trattava, in pratica, di digerire tre episodi nei quali, prima
quattro esseri umani percorrevano la dorsale della cascante catena
montuosa ordinatamente disposti a coppie.
Poi, un altro percorreva la stessa catena ma in senso inverso.
Correndo.
L'ipotesi più probabile che serpeggiava tra i presenti era che avesse
perso qualcosa quando, (e siamo al terzo episodio) tempo addietro, aveva
percorso la stessa catena (e ridaje) d'inverno, sci ai piedi, in
compagnia di due pinguini domestici.
L'eccitazione in sala tendeva a farsi incontenibile.
Il compito che ci aspettava, al limite delle possibilità umane, ci ha
fatto scivolare verso l'uscita, purtroppo preventivamente e
cautelativamente saldata.
Così, rassegnati al martirio, in un'atmosfera paciosa e intima, da Amaro
Averna, si spegnevano le luci, tacevano le voci e iniziava la
proiezione.
Nel primo episodio della saga, si è visto all'opera un gruppo formato da
due esseri umani di genere femminile e due di genere maschile
incamminarsi chini lungo un pendio, aggrappati ai bastoncini come fanti
prussiani votati alla morte.
A causare questo mini-esodo probabilmente una profezia Maya o
l'alterazione del loro sistema limbico.
O entrambe le cose.
In testa un Pithecantropus Erectus di supposte origini celtiche che, con
uno zaino grande come lo spinnaker del Moro di Venezia ha trascinato gli
altri tre per sei giorni su e giù per le montagne russe.
Durante questo biblico lasso di tempo li abbiamo visti guardare bivacchi
come un bambino diabetico guarda una cassata siciliana; li abbiamo visti
come Cip e Ciop nella tana dentro l'albero, imbustati a letto, stipati
come un branco di sorci in un solaio, attaccati l'uno all'altro come
remore ai tonni, rannicchiarsi stremati su se stessi con i movimenti
tipici delle aragoste messe a bollire.
Li abbiamo ammirati cronicare in un miscuglio senza senso di carne
italiana e tecnologia cosmopolita; li abbiamo visti avanzare come scampi
lussati su sfondi di nuvolosi nebbioni padani come soci del club "Amici
della Pedula" e li abbiamo visti nelle vesti di "utilizzatori finali" di
bivacchi del pleistocene.
Li abbiamo visti scrutare da esposte forcelle come i generali austriaci
osservavano le file nemiche dall'altra parte della valle; li abbiamo
sentiti delirare di fronte a panorami mozzafiato e a visioni a 360°.
Espressioni, queste, che insieme a "Que serà serà" di Doris Day, alle
voci di Renato Rascel e di Mario Riva, ci hanno accompagnato nel corso
della vita.
Ora, Doris Day, Rascel e Riva, sono trapassati; la visione a 360° e il
panorama mozzafiato no.
Li abbiamo visti bonificare col napalm un accampamento di scout che li
seguivano nell'ombra come i guerrieri Sioux seguivano le Giacche
Azzurre.
Li abbiamo visti smarrire le unghie dei piedi e, a questo proposito,
vogliamo invitare chiunque le ritrovasse a restituirle facendole
pervenire alla sede del Cai.
Infine, li abbiamo visti arrivare stanchi ma felici al parcheggio dove
finalmente li aspettava docile il loro furgone grigio metallizzato.
Ora, l'evo post-ideologico ha lasciato gli uomini soli con i loro
sentimenti.
Il quadro d'insieme, comunque, stringe il cuore.
La stretta al cuore riguarda quel sentimento piuttosto desueto che è la
solidarietà umana.
Sono casi umani, questi, che devono essere affrontati con tutta la
comprensione e la delicatezza necessarie.
Auguriamo loro che le cure siano mutuabili.
Negli episodi successivi, i quattro hanno lasciato il campo a una specie
di Terminator de Noantri, avendo preso strade psichedelicamente diverse.
Il nuovo protagonista dava subito l'impressione di essere una specie di
Daitan 3 in versione Usato-Sicuro, con le sue brave ossa di cromovanadio
e un microzaino liofilizzato contenente un microDespar.
Il nostro eroe, in due giorni, veloce come un bosone di Higgs, ha
percorso lo stesso tragitto dei quattro ma in senso inverso.
Lo sbigottimento si leggeva evidente nei volti esterrefatti degli
increduli spettatori.
L'attempato Celeraptor di tungsteno correva e filmava; filmava e
correva.
Un raro rappresentante di una tipologia umana di frontiera, densa e
inquietante.
Quello che è restato nelle nostre retine sono le immagini che di tanto
in tanto riprendeva di se stesso.
Va detto che spesso le parole non gli uscivano dalla bocca, ingolfandosi
per lo sforzo e costipandone il respiro.
Una sofferenza.
Sarebbe quindi stato necessario un traduttore, e dunque un
"Corriinmontagnista", una specie di Cremlinologo cresciuto a fonduta,
edelweiss e jodel, che ci aiutasse a leggere in una alzata di
sopracciglio un rilevante segnale.
Ma i mezzi sono quel che sono, il momento é difficile e questo è quanto.
Lo abbiamo visto, leggiadro e giocondo, puntare le cime saltando per
terrazzini come un canguro con le convulsioni. Zompava come avesse
vent'anni.
Ed eccolo scrutare l'orizzonte da una vetta con due biglie tonde,
piccole e rosse al posto degli occhi, come se avesse visto in faccia la
Fame, la Peste e il Colera.
Ma tutti insieme.
L'abbiamo sentito respirare come un bufalo asmatico; l'abbiamo visto
correre (diciamo avanzare) tra i picchi rocciosi, seguito da un branco
di capre assatanate che gli si strusciavano contro.
Lui, anello di congiunzione tra le scimmie e i lemuri, le guardava con
occhi cattivi, nervoso come un facocero africano, ignorando che esistono
in tutte le specie di mammiferi rituali di corteggiamento.
E che bisogna rispettarli.
L'abbiamo visto mirare dall'alto un rifugio di fondo valle con lo stesso
sguardo che avevano gli uomini primitivi di fronte alla magia del fuoco.
L'abbiamo visto trascinarsi verso un valico come una testuggine verso il
mare.
L'abbiamo visto interessarsi alla rigenerazione degli arti nei Varani di
Komodo dopo essersi tolto le scarpe ridotte a poltiglia. E l'ambiente
circostante risentirne.
Le immagini, adatte ad un pubblico adulto, evocavano un forte odore di
selvatico che aleggiava libero in sala.
L'abbiamo visto fuori di testa come un cammello brado mentre, con un
rantolo affogato, constatava che dei quattro elementi empedoclei, solo
l'aria, per ora, si può respirare senza pagare.
Infine l'abbiamo visto rotolare come un leone marino in una spiaggia del
nord, verso la bicicletta ( ! ) in sella alla quale avrebbe poi
raggiunto la sua tana.
Nelle ultime immagini lo vogliamo ricordare nell'atto di scivolare
felice sulle nevi immacolate in un'estasi suprema, al Nirvana,
probabilmente già in contatto con entità pleiadiane.
Non soffriva più.
Da lui ormai ci si aspetta qualunque cosa, anche che vada in slitta a
Istanbul o che si catapulti sull'Himalaya in monopattino e riesca a
mettere in agitazione i monaci tibetani, oppure che raggiunga, di corsa,
la cima KX24 di Marte per congiungersi con la principessa Leyla.
Di tutto questo, un giorno, risponderà alla propria coscienza che è un
tribunale (almeno da Dostoevskij in poi) del tutto rispettabile. Anche
se non ancora parificato con i tribunali della Repubblica.
Un elogio particolare vada alla scelta delle musiche di sottofondo: il
suono delle orche dell'Alaska mixato con il vento della steppa Russa. Il
tutto in versione dixie.
Eccezionale. Da brividi.
Al termine, scorrevano, impietosamente, i nomi degli sciagurati
interpreti della mini-serie.
Doverosamente, li riportiamo per gli usi consentiti dalla legge.
Il gruppo dei quattro: Davide "Obelix" Tonioli,
Cristina "Cri" Caleffi,
Mirta "Mirta" Schiesaro,
Gianluca "Praticamente" Bonaccorsi
Il Celeraptor:
Francesco "Franz" Pompoli
Che dire, infine?
Proprio una bella serata, vamo là!
Bibì & Bibò