commento a "Monte Bianco, reality show televisivo"
di Emilio Previtali
Oh, ma fatevela una risata, ogni tanto.
E’ un programma televisivo della minchia, d’accordo, ma quanti ce ne
sono?
Ci sono reality con cuochi, aspiranti cuochi, bambini cuochi, bambini
cuochi australiani, contorsionisti, cantanti, aspiranti top model,
ballerine, malati di chirurgia plastica, vip spiaggiati su un'isola
deserta, sfigati comuni a fare niente dentro una casa per cento giorni, tatuatori, pasticceri, accumulatori seriali, venditori di automobili,
sedicenni
incinte, quanti ce ne sono?
Sono programmi facili da fare, le puntate si possono fare durare delle
ore e costano poco, fatevene una ragione: questa è la tv.
Sono le vostre aspettative - mi pare, mi permetto - che sono fuori dalla
realtà.
Cosa vi aspettavate?
E’ un reality che è ambientato sulla montagna più alta d’Europa e fa
cagare, e sono d’accordo con voi, e allora? Non guardatelo, io non lo
guardo.
Quello è il vostro voto, usatelo. Vale uno.
Spegnete la tv e rilassatevi.
Adoperatevi per qualcos’altro che vi pare più utile, intelligente,
bello, sostenibile, credibile, autentico, alternativo, vero e se
riuscite a farvi apprezzare in tv, in prima serata, beh, bravi.
Applausi.
Io, nel caso, vi guarderò. Io vi voterò, con il telecomando.
Io a molti di voi, francamente, non vi capisco.
O vi considerate aperti e moderni e all’avanguardia e dichiarate
disinvoltamente questo programma un quasi - successo perché comunque
“facendolo nessuno si è fatto male e le Guide sono brave Guide” e poi
forse “si passa il messaggio che in montagna si deve andare preparati” -
che tristezza.
Che scarsa autostima che avete.
Oppure all’opposto andate predicando che le montagne sono un luogo di
libertà e di condivisione ma l’unica libertà che rispettate, in effetti,
è la vostra.
Cioè quella che aggira ogni punto di vista differente dal vostro e ogni
possibilità di dialogo.
In entrambi i casi, entrambe le categorie, dite di amare l’alpinismo ma
per qualsiasi cosa dite di amare - lo sport, la montagna, Valentino
Rossi, il ciclismo pulito, la natura, il nutrirsi vegano, la politica
trasparente, le belle fighe anche, qualsiasi cosa - riuscite a farlo
soltanto per sottrazione.
Apprezzate i valori o le vostre cose soltanto a partire dal paragone con
qualcos’altro.
A voi non basta amare qualcosa, il vostro amore deve essere superiore
all’altro, il primo in classifica e annichilire tutto il resto. Voi
tifate, soprattutto.
Infine, volevo dire a voi che vi preoccupate così tanto della sacralità
della montagna, di farmi un favore: smettetela con questa storia della
sacralità, che siete fuori tempo massimo e avete scassato i maroni e
siete anche un po’ ridicoli. Siete fuori dal tempo, sveglia, siamo nel
2015.
Ci sono rifugi albergo ovunque, impianti di risalita ovunque, case di
montagna vuote ovunque, croci di vetta su ogni cucuzzolo della montagna,
ci sono strade ovunque e continuiamo a costruirne e ad allargarne, ci
sono ecomostri inguardabili in aree che avremmo dovuto preservare e
proteggere e sarà sempre peggio, se andiamo avanti così.
La stampa e la televisione si occupano di montagna soltanto in occasione
delle commemorazioni o delle tragedie, mai per raccontare, informare,
far conoscere.
Mai per parlare di un alpinista giovane che fa cose di avanguardia,
interessanti, innovative.
Eppure ce ne sono, anche in Italia. Svegliatevi, i problemi della
montagna e di come se ne può eventualmente parlare, sono altri. Il
problema siamo noi, tutti.
Il problema è la inconsistenza delle nostre battaglie, la carenza di
idee, la incapacità di governare il linguaggio quando ci facciamo
sentire, la assenza di peso politico nelle sedi opportune.
Chi la deve rappresentare e proteggere la montagna?
Il CAI? Il WWF? Italia Nostra? le Guide Alpine? I Maestri di Sci? Il
gruppo Parlamentari Amici della Montagna? Reinhold Messner? Simone Moro?
Le Giovani Marmotte?
Il problema è la nostra incapacità di batterci per le cose veramente
importanti al momento opportuno e andare a fondo. Il problema è che
nelle nostre battaglie siamo incapaci di tenere duro e lottare
caparbiamente come sappiamo fare quando teniamo in mano degli appigli e
dobbiamo arrivare in catena senza sfracellarci di sotto.
La sacralità della montagna, per favore, davvero, lasciatela stare o se
proprio vi volete sciacquare la coscienza con quella, beh io dico che la
sacralità è come la poesia e sta dappertutto per chi la sa vedere.
Il tempio, se c’è, sta dentro di noi. Non fuori.
La sacralità dell’alpinismo e dei suoi valori non dimora nella
ex-wilderness del Monte Bianco e a metterla a rischio non è certo questo
reality della minchia.
Questo reality è il nostro alibi per sentirci tranquilli e a posto dalla
parte del giusto, anche se non lo siamo.
La sacralità della montagna è ovunque e si vede e si tocca anche nei bar
semivuoti in cima alle valli laterali, nei patinòire, nei parcheggi
deserti, nelle stalle, corre lungo i cavi degli impianti di risalita
abbandonati, sta sui pascoli, sui ghiacciai, corre lungo i fili di
cresta, sta nelle officine meccaniche, sta perfino sulle barche a vela
in mezzo al mare, sulle scarpate ferroviarie, nelle sale d’aspetto degli
ospedali, negli autogrill, nei corridoi della Esselunga e nei prati di
città dove rimane l’erba schiacciata quando il Circo è andato via.
Il programma Monte Bianco è imbarazzante e anche voi lo siete e anche io
lo sono.
Tutti siamo imbarazzanti, a modo nostro.
Se proprio non riuscite ad amare chi si sente alpinista o uomo di
montagna in modo diverso dal vostro, tollerate. Dialogate. Portate
pazienza. Fate qualcosa di meglio, se vi riesce e nel caso: grazie.
Portate rispetto per chi quel programma lì ha provato a farlo lo stesso
per vedere se si poteva fare qualcosa di utile per la montagna e per chi
ci va. Anche se magari, a conti fatti, non c’è riuscito.
Ma mica è una guerra questa. Son tentativi, che certe volte non vanno a
buon fine.
Certe volte si arriva in cima, certe volte invece si torna indietro e si
riprova.
A voi, l’alpinismo, da usare nella vita di tutti i giorni, non vi ha
insegnato niente?
[Intervento tratto dalla pagina Facebook di Emilio Previtali del 18 novembre 2015]