4 istruttori, 8 allievi, 7 giorni, 1 ghiacciaio

 

testo di Gabriele Villa

 
foto di Giacomo Bazzini, Giovanni Bergonzi, Ivan Tacchini, Gabriele Villa

 

Il ristorante Stazione di Milvera di San Bonico è ricavato da una vecchia stazione ferroviaria della linea Piacenza-Fiorenzuola ed è immerso nel verde della periferia della città piacentina.

Al termine di una deliziosa cena a base di funghi porcini freschi dell’appennino piacentino e di ottimo vino, spostati di lato i piatti, i bicchieri e le bottiglie, è presto ricavato il posto per sistemare un computer portatile.

Quando lo schermo s’illumina ecco i commensali abbandonare le chiacchiere per alzarsi e prendervi posto attorno, chi seduto e chi in piedi, attirati dalle immagini che compaiono, come falene attorno ad una luce improvvisamente accesa.

Sono le immagini del 9° Corso Ghiaccio organizzato dalla Scuola di Alpinismo “Bruno Dodi” di Piacenza, durato una settimana e tenuto sul ghiacciaio del Ventina nel gruppo del Monte Disgrazia, di cui i commensali di quella cena sono stati i protagonisti, chi come istruttore, chi come allievo.

Il direttore del corso ha precedentemente consegnato i diplomi di partecipazione agli allievi ed ora tutti si accingono a guardare le immagini di quella che ricordano come una bella ed intensa esperienza, non solo tecnica ma anche umana.

A raccontarla, ora, un istruttore naufrago (ma non naufragato…) approdato sulle sponde piacentine un po’ per la lunga amicizia che lo lega al direttore di quel corso ghiaccio, un po’ per la curiosità di fare una nuova esperienza, un po’ per quelle fortuite e fortunate coincidenze che, a volte, la vita offre casualmente e senza apparente logica a chi ha voglia di coglierle.

 

Domenica 2 luglio 2006. Ritrovo a Casalpusterlengo: suona strano questo nome per il ritrovo di un corso ghiaccio a chi parte da Ferrara per arrivare in Valmalenco, via Piacenza. Arriviamo nel prato di una casa di un paese di cui nemmeno ricordo il nome. Ricordo invece che ci siamo preparati caricando uno zaino sulle spalle e lasciando in un box il resto del materiale che sarebbe stato portato su dal gestore del rifugio che ci avrebbe ospitato per una settimana. Eravamo in 12, 10 uomini e 2 donne, 4 istruttori di alpinismo e 8 allievi. In poco più di un’oretta di cammino siamo arrivati al rifugio Ventina e già salendo abbiamo potuto vedere bene la corona di montagne che avrebbe fatto da cornice alla nostra avventura di una settimana. Sulle sponde del torrente, vicino al rifugio, i turisti prendono pigramente il sole, mentre noi passiamo al loro fianco carichi di corde, ramponi e piccozze.

 

 

Lunedì 3 luglio 2006. Al mattino il gruppo risale la morena per raggiungere il ghiacciaio per le prime esercitazioni. Piccozza alla mano, ci si esercita sul “passo incrociato” (ah, non si è mai finito d’imparare…), si prova a posizionare le viti da ghiaccio, a collegarle “a triangolo”, ad allestire una sosta con contrappeso, ad eseguire una corda doppia con recupero della vite da ghiaccio. Poi gli allievi si legano ed applicano e verificano tutto quanto è stato spiegato, sotto lo sguardo attento degli istruttori. Il sole rende gradevole la giornata che si rivela didatticamente molto proficua. Alla sera in rifugio, dopo una deliziosa doccia calda (che belli gli impianti a pannelli solari!), ottimi pizzoccheri della Valtellina per tutti, ampiamente annaffiati con buon vino rosso portato dagli stessi corsisti (…un voto in più per tutti…).

 

 

Martedì 4 luglio 2006. Giornata “topica” perché la notte sarà trascorsa con le tendine sul ghiacciaio a quota 2800. Ogni cordata di tre persone provvede al proprio occorrente: due corde, una tendina, materassini, un fornelletto, materiale individuale, tecnico e logistico. Zaini belli carichi e due ore abbondanti per arrivare al “campo base”, una striscia di ghiaccio, quasi pianeggiante, compresa fra due lunghi crepacci trasversali. Montate le tende, il pomeriggio trascorre in riposo e nello studio della linea di salita al Pizzo Cassandra, prevista per il giorno seguente. Alla sera la nazionale di calcio giocherà la partita di semifinale con la Germania, ma il gruppo ha tutt’altri pensieri: nere nuvole si sono andate addensando in serata e, durante la notte, fra tuoni, lampi e fragori di sassi rotolanti dalle pareti circostanti, tre temporali passeranno susseguendosi e rendendo agitato il sonno di tutti gli allievi (leggi il racconto "Luce buia sul ghiacciaio). Per fortuna che tutte e quattro le tende si sono rivelate all’altezza delle aspettative.

 

 

Mercoledì 5 luglio 2006. Non piove, ma il cielo non è a posto e ci sono foschie abbastanza dense che potrebbero ostacolare l’orientamento sul ghiacciaio. Tutt’intorno il ghiaccio sembra lavato dalla pioggia della notte. Dopo l’inutile attesa di una schiarita, si smontano le tende e si decide per il ritorno al rifugio, nelle cui adiacenze trascorre il pomeriggio, finalmente con il sole, su alcune roccette sulle quali ognuno si esercita nelle manovre di autosoccorso della cordata. Paranchi a volontà per tutti!

 

 

Giovedì 6 luglio 2006. Il tempo meteorologico sembra non volere assecondare il corso, ma dopo una pausa di attesa si decide di andare. Mentre gli allievi provano la progressione “in conserva” ci si sposta nella zona dei crepacci alti dove viene individuata una bella pala ghiacciata alta una decina di metri, luogo ideale per svolgere il programma didattico previsto. La giornata trascorre alternando ogni tipo di tempo: rari sprazzi di sole, cielo coperto, momenti di pioggia intensa, un paio di scariche di grandine e freddo, ma nessuno fa una piega, tanto meno Elena e Rita le due ragazze del corso (ah, la tenacia del gentil sesso…). Viene provato ogni tipo di progressione su ghiaccio: prima con ramponi e senza piccozza, poi con una sola piccozza, poi con due piccozze e le varie tecniche moderne di piolet traction. Una volta tornati al rifugio, la solita gradevole doccia calda riconcilia con il mondo, al resto pensa la cena e l’allegro dopo cena trascorso tra chiacchiere e brindisi scambiati con gli altri pochi ospiti presenti.

 

 

Venerdì 7 luglio 2006. Al mattino siamo svegliati dal rumore della pioggia che batte sul tetto del rifugio, ma non tutti ne sono dispiaciuti. Tuttavia il direttore, inflessibile, prepara una sosta sull’albero che si trova sulla terrazza: sarà una mattinata di “recuperi dal crepaccio”. Mi presto a fungere da ferito, mentre ha smesso di piovere, ma fa un notevole freddo. Quando il mio pallore raggiunge livelli di guardia, premurosi colleghi mi portano un pile e una giacca a vento che mi consentono di riprendere un colorito normale. E’ tutto un susseguirsi di asole di bloccaggio, carrucole semplici, carrucole doppie, paranchi mezzo poldo, spezzoni ausiliari, dispositivi di alleggerimento, nodi machard uni e bidirezionali. Alla fine della mattinata lo scopo didattico è raggiunto: tutti hanno capito che è molto meglio … non cadere nel crepaccio. Il pomeriggio trascorre in relax: chi va a fare una passeggiata, chi ripassa un po’ di nodi e manovre, chi chiacchiera pigramente ricordando aneddoti ed esperienze vissute. Alla sera arriva il bollettino meteo: per il giorno dopo è previsto il ritorno del sole e tutti vanno in camera brontolando per preparare gli zaini per il rientro del mattino dopo…

 

 

 

Sabato 8 luglio 2006. Alle nove il gruppo lascia il rifugio Ventina. Il grosso del materiale è già partito prima sul provvidenziale quattro ruote motrici del gestore. Si chiacchiera allegramente e si percepisce nei partecipanti la soddisfazione per l’esperienza vissuta e questo non fa che aumentare la soddisfazione (e fornire la ricompensa) di chi ha volentieri fatto da istruttore.