Ciaspolexodus

 

testo di Angelo Bolognesi e Michele Pifferi

 

fotografie di Leonardo Caselli e Gabriele Villa

 

Prima di iniziare la povera cronaca, premettiamo doverosamente, di provare per chi fa il direttore di gita un sentimento di gratitudine a prescindere, come direbbe Totò.
Egli fa un lavoro che non faremmo mai neanche sotto tortura e, in un certo senso, "fa al posto nostro" permettendoci di indugiare nel ruolo (non così scomodo) di gitaioli che borbottano e maledicono.

Detto questo, affermiamo che se ci avessero chiesto quale libro avremmo portato con noi nella gita CAI in Val Zoldana, avremmo detto: L'Esodo.
Si, proprio il secondo libro della Bibbia in cui si racconta, appunto, la faticosa fuoriuscita di un popolo (gli ebrei) dall'Egitto attraverso il deserto, affrontando il Mar Rosso, penetrando nel Sinai, attraversando il Giordano, fino alla Terra Promessa "
dove il latte e il miele scorrono in abbondanza ".

Infatti, all’alba del 10 gennaio DUE-TORPEDONI-DUE, per un totale di oltre 90 bipedi in discutibile stato di conservazione, si sono mossi in direzione della Val Zoldana.
Un'accozzaglia di dannati in fuga dalle terre di Gomorra.
Un Esodo.
E un'Invasione.

Durante il soporifero tragitto di andata, le comunicazioni effettuate al microfono dai capi-gita, normalmente vengono sentite ma non ascoltate.
Il suono prodotto dalle loro voci nonché la familiarità dei loro volti, hanno assunto da tempo una funzione di arredo domestico, tipo la pentola che geme sul fuoco o il gatto che fa le fusa o il rumore ovattato del traffico.
Le loro voci accompagnano le nostre ore in pullman confondendosi con le nostre sonnacchiose abitudini e intrecciandosi con i nostri placidi pensieri senza lasciare segno alcuno.
Appartengono non più alla dimensione pubblica, ma alla sopita atmosfera di casa.
Come qualcosa di pascoliano, reminiscenze d’infanzia, quando le chiacchiere filtravano dalla camera accanto e pissi pissi e blà blà… con il sibilo della esse che fruscia e le palatali che schioccano appena…

Durante una di queste comunicazioni, effettuata nella consueta prosa azzimata e circonvoluta che contraddistingue tutte le burocrazie, sono però fioriti nel vuoto termini quali… 'Rischio 3'… 'percorsi alternativi'… 'gruppo unico'… che si sono conficcati come spilli nella microscopica zona del nostro comprendonio atta a elaborare una rudimentale forma di pensiero apparentemente lucido e, a volte, insperatamente logico.
Abbiamo sgranato gli occhi e mentre il nostro Glorioso Capo parlava, veniva voglia di chiosarlo come fanno gli insegnanti in margine ai temi degli alunni meno facondi : "Spiega meglio quello che volevi dire."

Il significato delle arcane parole venne svelato durante la biblica sosta all’autogrill.
Dapprima le moltitudini si accalcarono verso i bagni schiacciandosi come polli alla griglia; nell’aria la voce di Morandi che cantava "Uno su mille ce la fa" su versi del sommo Migliacci.
Poi, il Capo, per l’occasione ribattezzato Mosè, ‘
scese verso il suo popolo e parlò’.
Nel suo pragmatismo a volte rude, disse che si sarebbe costituito un gruppo unico, vagolante nei boschi in cerca di un qualche tracciato possibile.
La reazione del popolo eletto è stata densa di citazioni principalmente riferite agli organi maschile e femminile, ivi compresi i loro modi d’uso, le loro possibili collocazioni anatomiche e il loro stato di servizio.
Il tutto raccolto in frasi di una decina di parole, la più elegante delle quali era "culo".

In assenza di tragedie vere, quelle che ti consegnano alla storia o quantomeno alla cronaca, se ne stava formando una fai-da-te.
O si sceglie la qualità o la quantità.
Poiché da tempo abbiamo scelto la quantità è inutile lamentarsi.
Prendeva forma una uscita che sta a una ciaspolata come Rimini sta agli anelli di Saturno.

Giunti in località PALAFAVERA le porte dei DUE-TORPEDONI-DUE si sono aperte come le acque del Mar Rosso e il popolo uscente, ribollente di astio e sospetti, si è lentamente compattato dando forma ad un unico schifoso serpente composto da 90 primati posti a un tiro di sputo l'uno dall’altro che, strisciando sommesso e silenzioso, si è inoltrato nel bosco, consegnando un'immagine di pura sofferenza e senso di impotenza.
Un naufragio ideologico.
Uno schifo vuoto.       
Per un socio di qualche dignità questo basta per mandare all'aria ogni analisi pacata.
Non è vero che ci si abitua a tutto.  

Sopra di noi un timido sole a fornire un inatteso conforto; intorno a noi un bosco con le sue meraviglie surgelate;
in testa a tutti noi Mosè, intangibile come un gas nobile e distante come Alpha Centauri che fendendo la neve, trascinava il suo popolo come un rimorchiatore il Titanic.
Chi scrive era finito, per malasorte nella malasorte, dietro due feroci massaie rampanti, rigide come uccelli di gesso da giardino, di quelle che coltivano i gerani a sberle e dispensano per filo e per segno come si deve vivere e come non si deve. Se il loro nome fosse anche 'Cuoricino', sarebbero comunque tipi da museruola.
Ma al peggio non c’è mai fine.

Satellite dell'orrendo rettile, nel suo disgustoso sciabattare tra le nevi, un umanoide loquace e a suo modo vispo percorreva il medesimo tragitto, ma trenta centimetri a lato, in neve fresca…
All’apparenza pareva un Troll imbacuccato che ciaspolava roteando i bastoncini come un Ussaro la sciabola a Solferino. Le sembianze però, non ci parevano oscure…
Una tempestiva scannerizzazione dell'esemplare ne permetteva il riconoscimento, innescando nel popolo in marcia una reazione ideologica condivisa da molti e una reazione patologica tentata purtroppo da pochi e che, per poco, non ha dato gli esiti sperati.                                                         
Il pitone di gore-tex, nel frattempo, avanzava lentissimo nel bosco, come avesse ingoiato uno Gnu.
Praticamente immobile e sofferente.

 

Dopo poco più di un’ora di lento e soporifero cammino in uno stato di noia mortale, il popolo eletto giunse ad un pianoro baciato dal sole, sul quale sorgeva una piccola malga.
E qui si accampò nelle nevi.
La lentezza, la monotonia e la progressione a “Ballo del Mattone “ avevano contribuito a diffondere una malcelata nevrastenia tra gli abulici e mortificati ciaspolatori.

Ora, durante le gite, la sosta è generalmente un momento di relax in cui vivacità e spiritosaggini emergono spontanee. In questo caso, il nostro assembramento si rivelò vivace e spiritoso come un campo di profughi ugandesi.
E sommessamente,
'tutta l’assemblea mormorò contro Mosè.'
Ma, si sa, la carne è debole e, come disse il Poeta, più dell'onor poté il digiuno.
Così i rancori cedettero alla fame.
Nel candido pianoro ‘
chi mangiò molto non ne ebbe troppo e chi si cibò di poco non ne mancò.
Placati i morsi della fame, il popolo si rilassò nel riposo meridiano, quando lo sguardo è velato dalla tipica patina post-prandiale, sintomo che il capitone in barrette è a mezza strada nel suo transito tra esofago e intestino retto.
E noi, comodamente appoggiati ai nostri bastoncini, sentimmo le palpebre abbassarsi…

Il popolo eletto, rinvigorito, riprese a mormorare contro Mosè.
Perché hai fatto venire qua noi, i nostri figli (pochi) e il nostro bestiame  (molto)?”
E Mosè, fra sé e sé, ebbe a pensare “ C
he farò io per questo popolo ? Ancora un po’ e questi mi lapideranno.”
In quel momento ci furono tuoni e lampi
. Sul monte apparve una densa nuvola e si udì  un fortissimo suono di tromba.
E tutto il popolo tremò’
. Dalla nube, quasi scusandosi per tanta coreografia, decisamente kitsch, uscì un po’ impacciato Giaròne, una sottospecie di divinità fatta in casa, con le braghe alla zuava… sbrigafaccende di Dolomio, uno dei sottosegretari di Alpo, che è il portavoce per il CAI di Imalaio, il Signore dei monti.
Mosè si fermò davanti a lui, ai piedi del monte che tremava forte’
, immobilizzato come una sogliola, pietrificato come un calco pompeiano.
E Giaròne parlò: "Oh ! Mosè… e cosa hai preso questo posto, per un centro commerciale?!? Ho visto un casino simile solo una volta… molto tempo fa, poco distante da qui, quando un pazzo è passato con gli elefanti… Come ti è venuto in mente di venire qui con un esercito..? In queste condizioni
'tu fisserai tutt’intorno dei limiti al popolo e dirai : Guardatevi dal salire sul monte o dal toccarne le estremità. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte.’
Il mio capo, - aggiunse - a essere franchi, è un po’ incazzato… dice che per fare queste cose dovevi portarli a Gardaland… o a razziare qualche Outlet… E poi, mi puoi spiegare perché sono tutti vestiti come dei catarifrangenti?
Ho visto signore arrotolate in tute come trote nel Domopak… roba da matti…
Mah..! Qua mi sa che per calmare le acque ci vuole un bel sacrificio…”
Detto questo, Giaròne si chiuse un attimo in se stesso, come se stesse riflettendo.
Ma il suo sguardo fu catturato dal Troll che balzellava gaio.
Il disgusto gli esplose negli occhi con la stessa violenza con cui lo Shuttle entra nella ionosfera.
“ ‘
Passa davanti al tuo popolo, - disse rivolto a Mosè - prendi nella tua mano il bastone’  e abbatti il Ciaspolo-Troll percuotendolo davanti a tutti per placare il Dio. Mi sa - continuò Giaròne- che anche il popolo sarà contento...”
In quel magnifico, esaltante istante, atteso da una vita, una polpetta di neve, caduta dai rami di un pino ci battezzò, destandoci. Il sogno svanì e restammo immobili, rattrappiti per la delusione, a cullarci per qualche istante in un’inerzia mercuriale.

Ciaspolo, infatti, davanti ai nostri occhi, continuava a saltellare giocondo emettendo garruli jodel, felice come un topo caduto nel bidone del latte.
Restammo a guardarlo in una calma disperazione, constatando, in cuor nostro che, oramai lo assistiamo inerti continuando tranquillamente a fare quello che stiamo facendo (un tempo le mandibole ci pendevano a mezz’aria e i bulbi oculari ci sporgevano dalle orbite come quelli di un rospo delle canne, per lo sgomento).
Ci rendiamo conto di esserci perfettamente abituati a lui.
Questo se da un lato la dice lunga sulla nostra resistenza ai traumi, dall’altro la dice lunga sulla nostra sconfitta.
Ci ha presi per sfinimento.

Risistemata l’attrezzatura ,verso sera ripercorsero il campo’; girando i tacchi in un clima di cauta allegria, come il giorno di Natale in qualche avamposto artico.
Il ritorno è avvenuto attraverso un percorso in fin dei conti lineare negli scopi, anche se dall’andamento tendenzialmente curvilineo tanto che il tracciato pareva disegnato da un Boa Costrictor dopo l’ingestione di due bottiglie di Jagermeister. Visto dall’alto, doveva essere l’esatta riproduzione dell’esecuzione di un nodo Bulino.

Dopo 5 ore di pullman e 3 orette di ciaspe, eravamo di nuovo sul pullman.
Pronti per il ritorno, il Controesodo.
Alle spalle un’esperienza poco esaltante, la condizione migliore per abituarsi a non aspettarsi, in futuro, niente di meglio e dunque, nel contempo, per accogliere come una fantastica sorpresa anche la minima gratificazione.
Di peggio può solo capitarci che queste situazioni comincino anche a piacerci, rischio che francamente riteniamo più improbabile di una invasione marziana.
E dunque, dal basso inarrivabile di questa esperienza non possiamo che risalire.
Il solo fatto di poter partecipare metterà già di buonumore.
E poi c’è sempre la speranza che una volta o l’altra, un Anaconda inghiotta Ciaspolo.

Comunque, ammesso che dalle catastrofi si impari qualcosa, l’accaduto rilancia pur con qualche inevitabile mestizia, l’esigenza futura di ricominciare a distinguere tra l’utile e l’inutile.
Concetti entrambi che costringono a sconfinare se non nel filosofico almeno nell’antropologico, poiché la realtà dissolve l’illusione che tutto si possa fare e, dunque, porta ad approfondire il nostro rapporto con i progetti e i sogni. Già i padri classici, del resto, sapevano come funzionavano certe cose, e Fedro con la favola della rana che si gonfia sperando di diventare bue e infine esplode, sarebbe ancora adesso, dopo 2000 e rotti anni, un ottimo consulente per certi sogni infranti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Alla fin fine che dire, proprio una bella gita! Vamo là!

Bibì & Bibò*
* Le frasi in corsivo vengono direttamente dal Libro dei Libri