31° Corso di Alpinismo del CAI di Piacenza
ovvero
diario semiserio di un istruttore pendolare part-time
testo di Gabriele Villa
foto di Maurizio Malchiodi e Gabriele Villa
Il tempo passa
inesorabile, è un dato di fatto, ma molto più spesso il tempo… vola.
A volte si vorrebbe almeno un freno a mano per rallentarne lo scorrere
frettoloso.
Sembra ieri che è cominciato questo 31° Corso di alpinismo e invece sono
già passati tre mesi e oggi, nel momento in cui scrivo queste note,
istruttori e allievi sono sui pendii ghiacciati della via normale alla
Marmolada per l’uscita finale che conclude le esercitazioni.
Sono assieme a loro con il pensiero e per dare concretezza alla cosa mi
sono messo a raccontare questa mia avventura, la quinta oramai dalla
primavera del 2007, anno del 27° Corso di alpinismo, il mio primo con la
Scuola “Bruno Dodi” di Piacenza. Era per me l’inizio di una fase nuova
dell’attività di istruttore e i miei pensieri di allora sono raccontati
nel diario che scrissi per descrivere l’avventura nuova e diversa che
stavo vivendo.
Raccontare l’avventura, oggi, è per me anche un modo di tirare le somme
dell’esperienza acquisita e non fate caso se a volte scrivo al presente
e altre al passato: è solo perché alcune cose le trascrivo dal mio
diario personale (sono quelle evidenziate mettendole tra parentesi
quadre), altre invece le racconto ricordandole al momento.
Sono un po’ bizzarri alla Scuola di alpinismo di Piacenza
Eh sì, sono
bizzarri, nel senso che fanno un corso di alpinismo “vecchia maniera”,
proprio di quelli di “una volta”, anche se spesso si esercitano
didatticamente nella palestra al coperto annessa alla bella sede sociale
della Sezione, nel rinnovato Piazzale della Cavallerizza.
Insegnano ancora a piantare i chiodi con il martello prima che le ultime
generazioni di allievi arrivino a credere che si piantino solamente… con
il trapano a batteria.
Sono bizzarri nel pretendere che gli istruttori, quando danno la
disponibilità ad un corso, la diano per tutte le dieci giornate di
esercitazioni pratiche, perché credono nel rapporto diretto e continuato
tra istruttore e allievo, e lo credono al punto che sono gli allievi (a
coppie) che scelgono il proprio istruttore, scrivendone il nome alla
lavagna dopo le prime quattro o cinque lezioni teoriche.
E’ proprio per questo motivo che io, istruttore di alpinismo pendolare
tra Ferrara e Piacenza (198 chilometri ad andare e 198 chilometri a
tornare), comincio sempre il corso partecipando alla teorica dei nodi,
nella sera in cui gli allievi scelgono l’istruttore e questo per
presentarmi e farmi conoscere come è giusto che sia, anche come forma di
rispetto per gli allievi.
[Quest’anno è
successo mercoledì 16 marzo e dopo la lezione tenuta da Maurizio
Malchiodi ci siamo messi tutti insieme ad esercitarci nel fare i nodi
appena insegnati e le due ragazze assieme alle quali lo avevo fatto mi
hanno “opzionato” e la cosa mi ha fatto assai piacere: si chiamano
Margherita e Ania e sono pure molto carine.]
Domenica 20 marzo 2011, prima uscita su neve al Monte Ragola
Quando si va
sull’Appennino ci si trova a Piacenza alle sette del mattino per cui la
mia alzata è “quasi” normale (appena dopo le quattro) per partire un po’
prima delle cinque (e questo per tenermi dieci minuti di lasco per un
eventuale “pisolino veloce” in caso di sonnolenza acuta).
Quest’anno il direttore è Lino Facchini perché Lucio Calderone
(direttore “storico” del corso di alpinismo) ha avuto qualche problema
di salute e deve rispettare un po’ di riposo precauzionale.
Raggiungiamo Passo dello Zovallo, oramai verso la Liguria, (1.410 metri)
e di qui si va per cresta e prati innevati a raggiungere un pendio
abbastanza lontano, ma adatto alla didattica che intendiamo svolgere,
sulle pendici del monte Ragola (1.711 metri).
La neve non è ottimale come vorremmo, solo a tratti troviamo crosta
portante ma riusciamo lo stesso a svolgere un buon lavoro didattico,
costituito dai “passi”, da traversata laterale con scavo della tacca,
discesa faccia a valle e faccia a monte, prove di scivolata (anche a
testa verso valle) e di auto arresto con piccozza. Predisponiamo soste
con la piccozza sepolta e simuliamo progressione con corda e sicurezza a
spalla, effettuando prove di tenuta di una scivolata del compagno.
Non manca la sosta su piccozza piantata in verticale e cordino sulla
testa e concludiamo con un riepilogo finale prima di rientrare al Passo
dello Zovallo dove troviamo Lucio ad aspettarci.
E’ una sorpresa e ci sono allegri festeggiamenti e per me l’occasione di
un rientro “anticipato” verso casa.
Ci trasferiamo al rifugio Lago Nero,
dove si fa un brindisi tutti insieme e poi io e Lucio lasciamo il gruppo
a tavola in attesa della pastasciutta.
Il rientro inconsueto mi regala
una luna rotonda che sembra sorgere e poi rimanere appesa a lungo
all’orizzonte sull’autostrada, uno spettacolo di cui nessuna foto potrà mai
rendere l'intensa emozione.
Infine, arrivo a Ferrara alle 21 perché non sono riuscito ad
evitare una sosta per dormire una mezzoretta in un’area di sosta
dell’autostrada.
Giovedì 24 marzo 2011, ancora una volta alle prese con… i pericoli in montagna
[Mi pare di
averla migliorata la lezione, un po’ alleggerita e resa più fluida e ce
n’era bisogno perché è già pesante di per sé con tutte le cose che ci
sono da dire e da spiegare ad un pubblico che è in prevalenza di
inesperti di ambiente montano e di ghiacciai in particolare. Direi che sono riuscito a gestirla bene, tenendo alta l’attenzione,
anche se qualche allievo (pochi a dire il vero) appariva stanco, ma è
pur sempre un fine giornata e loro stanno seduti.
Abbastanza efficace la visualizzazione del pericolo valanghe con la
tavoletta di legno inclinata e lo scatolino diapositive che ci scivola
sopra, buono il foglio di polistirolo che si spacca a formare il
crepaccio, ottima la visualizzazione con le due calamite per far vedere
l’attrazione (sul cavo di una ferrata) e la spinta dello spostamento
d’aria con il fulmine che si scarica nei pressi.
Lezione nei tempi, di fronte ad allievi e istruttori di entrambi i corsi
(alpinismo e roccia), qualche complimento a fine lezione, dopo un
gradito ed inaspettato applauso suggerito da Malchiodi.]
Mi viene anche un po’ da ridere a rileggere oggi le note di quella sera scritte sul mio diario, perché in tempi di sofisticati mezzi di comunicazione multimediale, di “pàuer point” per presentazioni ad effetto, mi pare buffo vedermi lì a spaccare fogli di polistirolo e a inclinare tavolette di legno per far scorrere scatolini di plastica o a far cadere calamite con la forza magnetica, eppure la cosa funziona e alla fine quello che conta è la memorizzazione da parte degli allievi che si riesce ad ottenere con un po' di fantasia e di creatività.
Domenica 27 marzo 2011, ritorno al Monte Penna per la progressione su neve
E’ così il corso
di alpinismo della Scuola “Bruno Dodi”, parte “sparato”, e mi ritrovo
per la quarta volta in soli dodici giorni ad andare verso Piacenza e
neanche a farlo apposta (e succede tutti gli anni) pure con l’aggravante
dell’introduzione dell’ora legale.
Al proposito trascrivo, pari pari, la pagina del mio diario personale di
quel giorno.
[Ancora il cambio
di ora (legale) e ancora un’ora preziosa rubata al riposo.
A letto alle 22, ma subito diventano le 23, sveglia alle 4e10 e dormito
nemmeno tanto bene.
Perturbazione in arrivo in giornata con epicentro tra Liguria e Ovest
Emilia, prevista pioggia dopo una settimana di sole ininterrotto; ma
guarda che combinazione, il Penna è proprio lì.
Viaggio tranquillo con pochissimo traffico e spostamento al Penna sulla
jeep di Pecorari e in cinque, di dormire non se ne parla; giusto un po’
di assopimento appena accennato.
Arriviamo con una pioggerellina che bagna bastarda, ma smette presto e
partiamo, piccozza alla mano e c’è da battere traccia nel bosco di
faggi.
Incontriamo un solitario che vaga tra le piante e ogni tanto chiama
disperato: “Elioooo!”
Una voce risponde nella nebbia dall’alto, potrebbe essere ovunque.
Penge dice agli allievi: “Prima regola in montagna è quella di non
urlare”.
Ma dimentica che quella è la seconda, la prima è quella di non separarsi
se non si sa bene dove ci si trova e dove si deve andare, soprattutto
quando c’è in zona una fitta nebbia.
A un certo punto ci separiamo e il mio gruppo va al Canale delle Donne,
ancora si batte traccia, poi ci si mettono i ramponi, si fa un po’ di
didattica assieme sui passi, infine si fanno le cordate: gli allievi a
comando alternato, gli istruttori al fianco a dare consigli e
suggerimenti.
La neve è abbastanza arrendevole, sicura per chi mette i ramponi per la
prima volta, la prima sosta è su piccozza sepolta, poi la neve diventa
più dura e si fa su piccozza piantata e, più in alto, su piante che
ornano la parte alta del canale, con mezzo barcaiolo e rinvii sulle
piante.
Sbuchiamo nel bosco di faggi sulla dorsale del monte e, dopo avere
mangiato una fetta a testa di un’ottima torta fatta e portata da Ania,
ci dirigiamo alla cima dove già sono gli altri e le ultime cordate
stanno per sbucare in vetta.
Ci chiedono di lanciare una corda e così facciamo sicura perché l’ultimo
tratto è davvero ripido e, anche se la neve è buona, meglio essere
prudenti.
La nebbia è fitta, il vento soffia freddo e pungente, il termometro
dentro la cappelletta di vetta segna zero gradi, il pavimento è un
lastrone di neve dura e ghiacciata perchè la porta è rimasta aperta.
Quando sono arrivati tutti, si parte per scendere lungo la via normale,
il giro sarà un po’ ampio ma sicuro; arriviamo alle auto sotto una
pioggerella fine e fitta fitta che entra dappertutto.
Non ci facciamo più caso, anzi siamo quasi contenti, meglio adesso che
durante la giornata, così abbiamo potuto fare tutte le cose con calma,
senza troppi disagi, nella nebbia fitta che conferiva all’ambiante un
tocco da alpinismo eroico. Chicca della giornata: Ania, una delle mie
allieve, sorride divertita e soddisfatta mentre fa sicurezza con la
corda a spalla: “Queste cose le ho sempre viste fare solo nei film e
adesso le sto facendo io. E’ proprio bello!”]
Domenica 10 aprile 2011, il corso nel pentolone della falesia del Budellone
Dopo lo spunto
iniziale il corso rallenta il suo ritmo e prende cadenza quindicinale e
si torna al Budellone, la falesia nei pressi di Brescia, in una giornata
che non ha nulla da invidiare come temperatura a quelle più calde di un
pieno giugno: caldo via via più insistente e natura in pieno rigoglio,
con parietaria dominante, odori e polveri che non ti mollano un attimo.
Essendo la falesia a ridosso della pianura e di una zona industriale
fortemente antropizzata, satura di asfalto e capannoni, nelle giornate
calde diventa un naturale pentolone a pressione e quindi è vivamente
consigliata alle persone allergiche alla parietaria, ai pollini, alle
graminacee e similari.
[Si comincia con una introduzione di tecnica di arrampicata da parte di
Anna Ceroni con gli allievi tutti attenti a non perdere nessuna delle
indicazioni che vengono fornite e visualizzate sulla roccia, poi ci si
divide in gruppetti e ogni istruttore prende i suoi allievi e inizia ad
illustrare gli strumenti tecnici (dadi di tutti i tipi, friends, chiodi
da roccia) e il loro utilizzo.
Ania e Margherita sono molto attente, come sempre, e curiose di capire
come funziona, Ania soprattutto che non ha nessuna esperienza e a un
certo punto tira fuori la piastrina GIGI ancora incartata nel cellophane
per chiedere “e questa come si usa?”, ovviamente beccandosi una
battuta di risposta più che scontata, “senza il cellophane”.
Poi vediamo il posizionamento dei dadi e dei friends, il loro
collegamento a contrasto e piantiamo qualche chiodo, valutando la
tenuta, il rumore che fanno nell’infissione, il modo di toglierli.
Segue simulazione di cordata con preparazione della corda, della sosta,
la legatura all’imbrago e la progressione con il posizionamento dei
rinvii, i comandi di cordata e tutto quanto serve.
Due tiretti di pochi metri, ma esplicativi e chiarificatori e il rientro
agli zaini per un sorso d’acqua e poi una corda doppia sui due chiodi
piantati da Ania per la prima sosta della progressione per farle vedere
la manovra che non aveva provato in palestra causa assenza.
Gli altri iniziano ad andare verso l’alto in cordata con l’intento di
provare le corde doppie scendendo, ma il caldo è talmente ossessivo che
preferisco deviare verso sinistra per salire pochi metri (in cordata da
tre) e arrivare a un gruppetto di alberetti che offrono un’ombra molto
gradita sotto la quale attrezzo prima la sosta e successivamente la
corda doppia.
Scende Ania, poi Margherita e infine scendo io, faccio vedere far su la
corda e si rientra.
Siamo i primi ad avviarci, con l’accordo che aspetteremo gli altri alla
prima ombra utile e così finiamo all’imbocco del sentiero dove troviamo
Anna che si era allontanata già in precedenza.
Riposiamo un po’ fin che non arrivano gli altri e andiamo al piazzale
della cava dove gli autisti porteranno le auto lasciate giù al
parcheggio la mattina, per allestire i tavoli per il pic nic e la giornata finisce
con una pantagruelica mangiata, con musiche e tanta allegria e
soddisfazione.]
Devo dire che la “pantagruelica” mangiata è tale perché dopo una giornata di esercitazioni si arriva a metà pomeriggio con una fame notevole ed è “tanta” la voracità con cui si mangia, piuttosto della quantità di cibi realmente ingurgitati. Anche se ci sono sempre le debite ed inevitabile eccezioni.
Una di queste “eccezioni” è una strana creatura che è arrivata a un certo punto nei pressi dei tavoli, una specie di “Gigiat” (creatura mitica di una leggenda della Val Masino); infatti, guarda il caso, lo chiamano “Gigio”, ama vivere libero nel verde, soggiorna spesso all’interno di un furgone attrezzato di tutto punto, come e forse più di un camper, cammina scalzo tutte le volte che può o al massimo indossa un paio di sandali, (spesso anche nelle giornate di inizio primavera e di autunno inoltrato) ed ha veramente un appetito e una voracità fuori dall’ordinario, segno di esuberanza fisica e di buona salute. Comunque... tenete sempre sott'occhio i panini!
Va anche detto che
tutto ciò avviene al termine di ogni esercitazione non certo in maniera
casuale, ma è fortemente voluto dalla direzione del corso per creare
spirito di gruppo e rinsaldare l’amicizia ed è per questo che ad inizio
corso viene costituito uno “staff di cambusieri” e bisogna dire che il
gruppo di quest’anno si è distinto per la grande organizzazione e, viene
da scrivere, per notevole professionalità e generosità. E per i
“dettagli”, vedi acqua corrente, macchinetta per il caffè espresso,
musica in stereofonia, ci pensa il furgone/camper di Gigio.
Domenica 1 maggio 2011, in arrampicata al Monte Castello di Gaino
[Ritrovo al
casello di Brescia Est e salito in auto con Angelo (un allievo) e
Maurizio Malchiodi.
Cordata anomala assieme a Daniela Stringhetti, con Ania e Cecilia.
Faccio cordata a tre e poi recupero Daniela con la stessa corda per i
primi due tiri, dopo di che le ragazze si legano tra loro e io seguo
Cecilia che fa da primo, poi Ania e infine Daniela segue la sua allieva
fino in cima, mentre l’ultimo tiro viene fatto in conserva.
Mattina molto bella e temperatura quasi ideale. Discesa alle auto e
trasferimento al solito posto giù in paese, mentre il tempo un po’ si
guasta e fa qualche goccia di pioggia.
Mangiamo e beviamo in allegria, poi si va a prendere un caffè e rientro
a Ferrara alle 19.30.]
Al di là delle
note, talmente telegrafiche da dire quasi nulla, mi piace sottolineare
che Lucio mi aveva telefonato perché c’era un esubero di istruttori
chiedendomi se volevo stare a casa che avrebbe potuto affidare le mie
allieve ad un altro, la qual proposta avevo declinato.
Nella fase didattica iniziale del corso, dove più stretto è il rapporto
con gli allievi, proprio per il fatto che sono stati questi a
sceglierti, mi sarebbe sembrato assai scorretto starmene a casa per la
comodità di risparmiare un viaggio in auto e poi, fino al casello
autostradale di Brescia Est sono “soltanto” 130 chilometri. Inoltre devo
dire che l’uscita al Monte Castello di Gaino è sempre una delle più
divertenti perché gli allievi si muovono in cordata, c’è una sacco di
cose da insegnare loro e soprattutto vedi la soddisfazione per quello
che fanno e provano che gli dipinge il volto tiro dopo tiro di corda,
fino alla sommità del primo tratto di cresta.
Quest’anno è stato ancora più divertente perche mi sono trovato in
compagnia tutta femminile e, senza voler togliere niente a nessuno,
abbiamo messo a punto subito un buon affiatamento.
Siamo partiti per primi e arrivati su quasi per ultimi a causa del
ritardo nei primi due tiri fatti in cordata da quattro, piccolo tributo
pagato all’attenzione alla sicurezza nelle manovre fatte.
Al termine dell’arrampicata pausa mangereccia giù in paese in un
piazzalino tranquillo, ma qui è difficile raccontare, sono momenti che
vanno vissuti e gustati.
Lì si chiacchiera di tutto, si scherza, ci si scambiano impressioni,
nessuno ha fretta di correre a casa, nemmeno io che sono quello che ha
più strada da fare, perché il breafing finale è parte integrante delle
esercitazioni didattiche, sono momenti di forte socializzazione e questa
è una cosa che non s’insegna, né si impara, la si può soltanto coltivare
sperimentando e assaporando il piacere dello stare insieme.
Istruttore part-time: mi avvalgo della facoltà di… non partecipare
Diciamo che mi sento di avere dato il mio pieno contributo alla prima parte a carattere
“formativo” del 31° Corso di alpinismo e, ora che siamo alla fine, posso
dire che alle ultime tre uscite da due giorni sono invece mancato,
accettando gli inviti di Lucio a risparmiarmi viaggi, levatacce e
fatiche. Lui lo ha sempre fatto da amico quale è, mai dicendomi “stai a
casa sei in esubero”, ma lasciandomi liberamente decidere quando ciò si
è verificato e, tenuto conto che il bilancio economico di un corso non
ha motivo di assegnare rimborsi spese che risultano superflui, ho
accettato la proposta di evitarmi fatiche inutili a me e spese superflue
al corso.
Beh, un po’ dispiace, soprattutto oggi che li so tutti in Marmolada
mentre io sono a casa a scrivere queste note al computer, ma è giusto
essere realisti e razionali, là dove si riesce.
Mi consolo con una telefonata a inizio pomeriggio e sento un Lucio che,
quasi entusiasta, mi comunica che sono già a Canazei sulla via del
ritorno, che quattro cordate sono arrivare su Punta Rocca dopo avere
rinunciato a Punta Penìa causa forte vento e che sul ghiacciaio hanno
incontrato i gruppi delle Scuole di alpinismo di Lucca, della
“Pietramora” di Faenza e della “Angela Montanari” di Ferrara. Bene.
Spero sia stata una buona giornata per tutti.
Per concludere, una dedica e un invito…
Il mio “penultimo
impegno” è stata la lezione a tre voci (con Lucio e Giulio) sulla
“Storia dell’alpinismo”, tenuta giovedì 16 giugno scorso, spero che
“l’ultimo” sia la cena di fine corso da organizzare a breve, nella quale
ritrovarsi per trascorrere una sera in amicizia e allegria.
Dedico le modeste note che ho scritto a tutti i miei amici piacentini (e
delle zone limitrofe) e l’invito che faccio è che dopo avere letto
queste righe siano loro a raccontarmi la parte finale del corso, magari
allegando anche qualche bella fotografia, perché so che tra loro si
nascondono “buone penne” e pure qualche valido (se non ottimo)
fotografo.
La mia fatica di istruttore pendolare part-time è conclusa, metto
nell’archivio dei ricordi un’altra bella avventura e a chi mi dice “sei
matto, ma chi te lo fa fare?”, rispondo che lo so bene, ma non è
questione di razionalità, e nemmeno di essere matti.
E’ che se dentro di te hai la motivazione per farlo, lo fai e basta, e
come ho sentito dire da qualcuno in Veneto, “tutto el resto che se
ciàve!”.
Gabriele Villa
31° Corso di Alpinismo del CAI di Piacenza -
Diario semiserio di un istruttore pendolare part-time
Ferrara, domenica 26 giugno 2011