Emozioni e suggestioni sotto la parete della Sisilla

di Gabriele Villa


Si prepara lo zaino, si va in montagna con un'ottima "scusa" per sfuggire al caldo insopportabile di questo periodo africano che sta cuocendo gli abitanti della pianura padana e dei fondovalle alpini e prealpini.
Uno zaino leggero, senza corde, senza imbragatura, cordini, moschettoni, rinvii rapidi e tutti gli altri ammennicoli che si usano in scalata .... solo scarpette da avvicinamento, due magliette, una felpa, la pila frontale e due espansi. Materiale anomalo, ma non troppo, perchè non si va ad arrampicare; stavolta si va "a teatro", solo esercizi per la mente, non per il corpo.

Una locandina ricorda ai frequentatori l'appuntamento della serata, la rappresentazione "Due amori di Renato Casarotto" che avverrà nell'arena naturale del Sengio della Sisilla, cioè all'aperto, sotto la parete di roccia che sovrasta il Passo e il rifugio di Campogrosso.
Sotto la locandina, un semplice foglio in A4 con i dati essenziali, senza nemmeno entrare nei dettagli perchè lo spettacolo è per appassionati, per gente che non ha bisogno di farsi spiegare chi era Renato Casarotto, sua moglie Goretta Traverso e conosce anche la loro storia alpinistica e umana. Anche le firme, (Alberto e Davide, gestore del rifugio di Campogrosso) sono messe per un atto dovuto e non con intenti pubblicitari. Chi conosce Alberto Peruffo sa della sua capacità di organizzare eventi fuori dalle righe e questo ne sarà un altro esempio.
Un piatto di bigoli con il sugo di anitra presso il rifugio aiuterà a placare lo stomaco, poi un sonnellino sugli espansi all'ombra, nel pomeriggio, rimuoverà un po' di stanchezza e una breve passeggiata sul sentiero verso le guglie del Fumante farà godere dell'aria fresca delle Piccole Dolomiti in attesa dell'appuntamento serale.

Sono passate le diciotto quando saliamo verso la parete della Sisilla e arriviamo al luogo dove stanno allestendo il "palcoscenico": i fari per le luci di scena, un piano per l'accompagnamento musicale, un registratore con due casse acustiche per i pochi effetti speciali, un tavolino, un quaderno di appunti e poche altre cose. Anche il mio zaino Millet finisce sulla scena. "El sé come quéo che el gavéva Renato..." - mi dice Alberto.
Forse è solo una somiglianza, però il mio Millet è della fine degli anni '70, assolutamente in linea con il periodo storico e i materiali dell'epoca.
Tutto l'occorrente è ridotto al minimo e del resto si tratterà di un "monologo" della durata di poco più di un'ora che farà leva sull'intensità della storia e sulla capacità di Massimo Nicoli di raccontarla al pubblico.
Scendiamo nei pressi del rifugio dove mangeremo al sacco seduti su di una panchina fatta di un tronco d'albero e ci chiediamo, un poco dubbiosi, quanta gente sarà presente allo spettacolo: i frequentatori se ne sono andati quasi tutti e il Passo di Campogrosso si è liberato di tutto quel brulicare di gente che ha caratterizzato la giornata.
Quando siamo oramai verso la fine della nostra magra cena, cominciano ad arrivare auto e il parcheggio torna a riempirsi pian piano; hanno tutti una felpa, chi a tracolla e chi in mano, e si incamminano senza fretta sul sentiero che porta sotto la parete della Sisilla. Meglio affrettarsi, perchè di posto, lassù, non è che ce ne sia poi tanto. 

Quando arriviamo sembra un altro posto, tanto appariva scarno al momento della preparazione, tanto appare ora pieno del pubblico sistemato in ogni dove e in cui si coglie l'aspettativa fiduciosa di un evento atteso.  
Sono già un centinaio i presenti e ancora ne arriveranno perchè, come è stato annunciato, si attenderà il calare della luce per iniziare la rappresentazione, mentre il tecnico termina di mettere a punto le ultime cose.
E' presente Franco Perlotto, anche lui alpinista di casa qui sotto la parete della Sisilla e anche Goretta Traverso è arrivata ad assistere alla rappresentazione; da ultimo arriverà Giacomo Albiero, anziano Accademico del Club Alpino Italiano, compagno di cordata di Renato Casarotto in tante imprese dolomitiche: lui ha compiuto i novant'anni, arriva con alcune persone intorno che lo affiancano ma senza aiutarlo, va con le sue gambe e con l'aiuto di un paio di bastoncini telescopici. La gente che ben lo conosce gli rivolge un applauso di rispetto e ammirazione.

Dopo avere fotografato la "platea", sono riuscito a trovare un posto "centrale" rispetto a quello che dovrebbe essere il palcoscenico, seduto sull'espanso con la schiena appoggiata ad un cespuglietto di rododendri i cui rametti mi punzecchiano, non tanto amabilmente, la schiena. Si è fatto quasi buio, la luce di un faro illumina la scena.

Poi Alberto Peruffo presenta la serata e Davide, l'emozionatissimo gestore del rifugio Campogrosso, porge il suo saluto al pubblico e, infine, ecco Massimo Nicoli che può finalmente iniziare il suo monologo.

Penso a questa iniziativa dell'Associazione Gente di Montagna, di Bergamo, che assieme al Teatro Minimo di Ardesio ha elaborato l'idea di questo spettacolo teatrale che è l'occasione di raccontare l'alpinismo attraverso l'amore di un uomo verso la sua compagna e verso le montagne che lo hanno accompagnato in ogni giorno della sua vita.
Sul sito dell'Associazione si legge: "Si può raccontare di un grande alpinista e delle sue eccezionali imprese senza cadere nella retorica? Può uno spettacolo teatrale portarci tra le montagne più belle della Terra senza spingere troppo la fantasia? E' l'amore, forza conosciuta ma sempre nuova, capace di avvicinarci a tempi, luoghi e sentimenti che fanno parte della vita privata di una coppia?"
La risposta è sicuramente positiva e va dato merito a chi questa idea l'ha avuta e ha saputo farla camminare.

Lo spettacolo organizzato sotto le pareti della Sisilla, una parete che Renato Casarotto frequentava per allenamento, prediligendo la scalata della impegnativa linea tracciata da Raffaele Carlesso, ha sicuramente guadagnato in suggestione per un'ambientazione decisamente inconsueta e spettacolare.
Il resto lo ha fatto Massimo Nicoli prendendo il pubblico per mano ed accompagnandolo in un percorso ideale che partendo dal trittico del 1982, (anno in cui Casarotto concatenò in solitaria invernale tre vie impegnative nel bacino del Frêney, senza averle scalate in precedenza, raggiungendo la cima del monte Bianco e Chamonix dopo quindici giorni), è arrivato fino al 1986, anno in cui trovò la morte sul K2, cadendo in un crepaccio mentre, sempre da solo, tornava al campo base dopo avere tentato di salire la cima della montagna per la cosiddetta Magic Line.
Della sua tragica fine si trova traccia sui libri e sulla rete e chi non conosce a fondo l'alpinista Renato Casarotto può agevolmente colmare le sue lacune di conoscenza di uno dei più grandi alpinisti italiani.
Qui riportiamo solo un brano che ben sottolinea il rapporto simbiotico che legava Renato a Goretta.  

"In quella tragica estate del 1986, l’anno nero del K2 (ben 13 le vittime della montagna), Renato Casarotto, vicentino, uno dei più forti alpinisti italiani dell’epoca, era impegnato da solo sulla Magic Line, una nuova via sul lunghissimo spigolo sud-ovest del K2. A metà luglio, le condizioni della montagna apparivano però proibitive, con troppa neve accumulata che rendeva impossibile superare difficoltà su roccia valutate attorno al quinto grado.
Da qualche giorno avevano rinunciato anche i forti alpinisti della spedizione italiana di «Quota 8000» diretta da Agostino Da Polenza, che contava nomi come quelli di Gianni Calcagno, Tullio Vidoni, Soro Dorotei, Benoit Chamoux. Casarotto aveva ostinatamente cercato di aprirsi la via verso l’alto, arrivando a quota 8400 metri, vicinissimo alla vetta. Ma era stato troppo a lungo lassù e aveva deciso di rientrare, viste anche le pessime condizioni del tempo. Come sempre, al Campo Base, lo aspettava la moglie Goretta, continuamente in contatto con lui via radio. I due formavano una coppia perfetta, anche se apparentemente agli estremi opposti: tenera e gentile lei, un omone alto e burbero lui. Nella rude comunità del Campo Base, sembravano due sposini in luna di miele. Ultimamente, agli amici, Goretta aveva confidato che Renato, "il suo Renato", le aveva promesso che presto avrebbero avuto un bambino. "Basta, torneremo a casa", le aveva detto quella mattina stessa iniziando la discesa lungo le corde fisse
."

Va dato merito allo spettacolo "Due amori di Renato Casarotto" di non indulgere per nulla nella retorica che molto spesso si trova sulla carta stampata, ma di un raccontare asciutto che, pur sottolineando l'importanza delle imprese alpinistiche di Renato, non perde occasione di sottolineare il rapporto con Goretta e il ruolo di forza, di supporto morale e completamento che la costante presenza di lei aveva nelle imprese di lui, con palese evidenza.

Ho trovato uno scritto di Ivo Ferrari, irrequieto ma non disattento alpinista bergamasco, che su Gogna Blog dice:
"Scrivere 'grande, immenso, unico, ecc, ecc' sarebbe riscrivere il già scritto… io invece mi soffermo a volte sul personaggio 'Uomo', rimango sempre perplesso dalla sua naturale 'potenza', ma da sempre la cosa che più mi lascia confuso è l’Amore di Goretta per il suo Uomo, un amore che supera di gran lunga la forza di Renato, ore e ore, giorni e giorni con l’ansia dentro mentre lui si 'divertiva con la sua passione', mi sembra come l’altra faccia della medaglia, sicuramente una scelta di vita… ma che vita? Da anni cerco la risposta!"

Altro non si può raccontare di uno spettacolo che va visto e vissuto con partecipazione e immedesimazione.
Di certo mi ritengo fortunato di avere colto quest'occasione nella quale la suggestione ambientale è di certo stata spinta ai massimi livelli. A nessuno è sfuggito il momento in cui, nella serata stellata e assolutamente serena, si è alzato improvvisamente il vento che per alcuni minuti ha sventolato insistente nell'anfiteatro per poi quietarsi.
Molti lo hanno pensato e qualcuno lo ha anche detto: "Era lo spirito di Renato che è passato a salutarci". 
Forse anche questo è un pensiero retorico, ma sono certo che chi c'era non dimenticherà quel vento e nemmeno il leggero brivido che ha portato con sè e, almeno per un momento, ha attraversato tutti noi. 

Gabriele Villa
Emozioni e suggestioni sotto la parete della Sisilla
Campogrosso (Piccole Dolomiti). Sabato 18 luglio 2015