Albe in Dolomiti - Cimon della Pala
di Francesco Pompoli
Finalmente ho trovato un compagno per la prossima alba, anche se al
primo orario di partenza proposto mi ha guardato con incredulità…
troviamo un compromesso per le 2:30, anche se sarà difficile raggiungere
la cima per le
6:00 dato che la salita è più impegnativa delle
precedenti, avremo attrezzatura da arrampicata ed io mi caricherò anche
il materiale per raggiungere un bivacco la notte successiva, dopo una
lunga traversata delle Pale.
Fabrizio lavora al centro visitatori del Parco di Paneveggio, a San
Martino, e deve essere in ufficio alle nove esatte, saliremo insieme il
Cimon della Pala e poi le nostre strade si divideranno.
In piena notte arriviamo in auto a Malga Fosse, poco sotto Passo Rolle.
Da
qui partiamo per raggiungere l’attacco della ferrata Bolver Lugli, sulla
spalla Ovest del Cimon della Pala, e ci perdiamo immediatamente nel
prato sotto la malga: non vediamo il bivio per il sentiero e ci
abbassiamo troppo su una delle tante tracce scavate dalle mucche: sono
gli inconvenienti del girare di notte, ma rimediamo presto e cominciamo
a prendere quota fino ai 2300 metri dell’attacco della ferrata.
La prima
parte è priva di protezioni, si sale con attenzione seguendo ometti e
qualche segno rosso, poi all’inizio delle vere difficoltà ci infiliamo
l’imbrago e approfittiamo per fare qualche foto del fondovalle
illuminato e del primo chiarore che spunta nella notte.
Alle 6:00 usciamo dalla ferrata, a circa 3000 metri, e il cielo in lontananza comincia a schiarire e mostrare i colori che precedono l’alba, ancora freddi e tendenti al blu-violaceo.
So che non arriveremo in vetta al sorgere del sole, ci aspetta ancora la via normale al Cimone: il primo traverso facile, il passaggio all’interno della grotta con il caratteristico “bus del gat”, la risalita del franoso canale fino a raggiungere la prima luce dell’alba già sorta, la parete piuttosto liscia e verticale con un cavo metallico a cui assicurarsi.
Per l’ultimo tratto decidiamo di legarci.
Un primo tiro di una decina di metri per un diedro con un passaggio più
ostico, una successiva paretina di terzo grado di circa venti metri fino ad
una forcellina.
L’ultimo spigolo, è ancora di terzo grado, segue l’affilata cresta fino a giungere sulla larga cima, alla croce di vetta.
Sono le 6:40, abbiamo tempo per qualche foto e per mangiare
qualcosa, poi scendiamo facendo tre doppie e ripassiamo per il “bus del gat”
raggiungendo il bivacco Fiamme Gialle.
Fabrizio deve rientrare, ha meno di due ore per scendere in paese e lo farà correndo,
arrivando due minuti prima delle nove davanti all’ufficio. Io invece ho
tutta la giornata davanti, o meglio, due giornate, e mi rilasso davanti
al bivacco godendomi il panorama e mangiando qualcosa.
Ora sono di nuovo solo, e la mia meta è lontana: il bivacco Reali sotto
la Croda Granda, all’estremo sud-est del gruppo delle Pale di San
Martino.
Stanotte, infatti, voglio godermi le stelle cadenti in quota,
sarà la notte di maggiore intensità del fenomeno e la luna praticamente
assente; prima e dopo la notte stellata, vorrei raggiungere la cima
della Croda Granda per vedere il tramonto e la successiva alba.
E’ ora di partire, non ho idea di quanto ci vorrà per l’intero giro, né
di che distanza dovrò affrontare.
Scendo per la valle dei Cantoni,
risalgo per il Passo Bettega e raggiungo il rifugio Rosetta, dove mangio
uno strudel e cerco, senza fortuna, di acquistare delle birre in lattina
per la serata in bivacco: solo bottiglie di vetro, e non è il caso di
portarsele in giro per due giorni …
Riprendo il sentiero per l’altipiano,
il Passo Pradidali, il triste ghiacciaio ormai scomparso della Fradusta,
con il lago glaciale solitamente verde smeraldo quasi asciutto.
Avrei voglia di salire sulla cima della Fradusta, però il caldo è atroce
e l’acqua scarseggia, preferisco puntare subito alla Cima di Manstorna,
che non ho mai salito, e quindi proseguo deciso verso il Passo Canali.
Poco prima del Passo, sulla destra, le due cime di Manstorna, separate da
una forcella.
Ho qualche dubbio sulla direzione di salita per la cima
occidentale, la più alta di pochi metri.
Sembra che l’itinerario più
facile obblighi ad un lungo traverso verso la cima di Lastei, per poi
salire sul versante ovest.
Da sotto però mi sembra possibile salire
anche dal versante est, e raggiungere entrambe le cime dalla forcella
che le divide; una parete appoggiata molto facile, di circa 300 metri di
dislivello, mi consente di arrivare arrampicando alla forcella, dove
cerco inutilmente un passaggio per la cima principale.
La difficoltà non
sembra trascurabile, sicuramente superiore al terzo grado, e non ho
voglia di prendermi dei rischi in totale solitudine.
Ripiego sulla cima
Orientale, dalla quale il panorama sulla sottostante Val Canali è
splendido, è ormai mezzogiorno e ne approfitto per mangiare un panino,
mentre osservo le cime più lontane.
L’acqua scarseggia, e la calda estate ha praticamente sciolto tutti i nevai dell’altipiano, che si è quindi trasformato nel deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Torno al Passo Canali, mi aspetta l’ultimo tratto del mio viaggio odierno: scendo sul sentiero fino alla base della cima del Coro, da cui si dirama un ripidissimo sentiero che risale il Vallon del Coro fino alla base della ferrata Fiamme Gialle. Ancora niente acqua, ormai sono riarso… la ferrata è più lunga e impegnativa di come me la ricordavo, forse la stanchezza comincia a giocarmi qualche scherzo… a metà ferrata mi ritrovo davanti dei camosci allibiti dalla mia presenza, siamo ad agosto in uno dei gruppi più famosi delle Dolomiti, ma sembra di essere nel libro di Buzzati: un deserto!
Alle tre raggiungo il bivacco.
Poco sotto, da un nevaio piuttosto sporco,
cola un piccolo rivolo di acqua che preferisco non osservare con troppa
attenzione: devo bere assolutamente, e mi dovrà servire fino a domani.
Mi rassegno e riempio la borraccia bevendo avidamente.
Non sarà
la birra che desideravo, e neppure acqua minerale, ma è comunque
fantastica, o almeno così mi sembra per la sua freschezza!
Il bivacco contiene sei posti letto e sono da solo.
Metto al sole
le coperte ed i materassi, mangio qualcosa, leggo un libro e aspetto che
la giornata volga al termine per ripartire per la cima della Croda
Granda e goderne il tramonto.
Risalgo con calma la via normale, cercando di memorizzarne i punti
critici dato che dovrò discenderla dopo il tramonto e risalirla
domattina al buio.
Superata la forcella, la via normale risale una
parete seguendo tracce di sentiero e tratti di facile arrampicata:
Sistemo qualche piccolo ometto per evidenziare la traccia, e giungo
sulla cima con il sole ancora alto, circondato da un panorama
mozzafiato.
A ovest tutto il percorso che ho effettuato, l’Altipiano delle Pale, la catena Nord occidentale con il Cimon della Pala a svettare sulla sinistra, a sud ovest la catena meridionale con la Pala di San Martino, cima Canali e il Sass Maor, verso sud la Val Canali con il Sass d’Ortiga, le Vette Feltrine e il gruppo del Cimonega, a est l’Agner, la Moiazza, l’Antelao, il Civetta, il Pelmo e la Marmolada.
Il tempo è splendido, mi godo la cima leggendo il mio libro, mi diverto a fare foto ad alcune zurle che si inseguono tra le rocce, mentre lentamente la luce cambia colore e vira verso tonalità più arancioni.
La pace quassù è totale, impossibile da descrivere a parole, sento che questo è il mio mondo e trovo il mio equilibrio e la mia serenità.
Vorrei sospendere questa sensazione per sempre, se non rimanendo qui almeno tenendo nel cuore questa bellezza. L’unico mezzo che ho è la macchina fotografica, con la quale cerco di fermare questi momenti magici.
Ascolto le canzoni che più mi stanno accompagnando in questo periodo, la splendida colonna sonora di Eddie Vedder scritta per il film-capolavoro di Sean Penn sulla storia di Chris McCandless “Into the Wild”, ed in particolare “Society”, di cui condivido con trasporto ogni singola parola: una severa critica alla nostra società consumistica ed una volontà di distacco dalla stessa che il protagonista Chris mette in atto dirigendosi verso l’Alaska, per vivere da solo nelle Terre Selvagge del Grande Nord.
Il sole cala fino a sparire dietro la foschia all’orizzonte, è ora di
scendere per la notte.
Nel buio ritrovo i miei ometti e
raggiungo senza problemi il bivacco, dove trovo un inaspettato
affollamento: sono appena arrivate due coppie di ragazzi, saliti da Sagron per le stelle cadenti, e subito dopo giungono piuttosto trafelati
altri tre che hanno risalito la ferrata; due di loro sono primierotti,
mentre il terzo, stravolto dalla fatica, ha seguito gli amici
sottovalutando l’itinerario e l’evidente scarso allenamento.
Siamo otto
per sei letti, ed i ragazzi dormiranno con le loro ragazze, nell’invidia
generale!
Prima però portiamo fuori coperte e materassi, e ci stendiamo
tutti sotto le stelle per ammirare lo spettacolo della notte di San
Lorenzo: il cielo terso e privo di illuminazione artificiale ci consente
di vedere uno spettacolo indescrivibile, alcune scie talmente luminose e
lunghe da accendere interamente la parte di cielo che riusciamo a
scorgere. Dopo un’oretta decido di salutare la compagnia, sono stanco
dall’alzataccia e dalla lunga traversata, e domattina voglio ripartire
alle 4:30 per risalire in vetta e godermi un’altra spettacolare alba.
Fatico a dormire, a causa del solito male di schiena, però ripenso allo
spettacolo della giornata trascorsa, cominciata ben prima dell’alba e
terminata ben dopo il tramonto… non si può dire che non l’abbia vissuta
appieno e sono davvero appagato per la lunga avventura di oggi.
Francesco Pompoli
San Martino di Castrozza, agosto 2015
Itinerario
Distanza 28,5 chilometri – Dislivello positivo 3.100 metri
Percorrenza complessiva
ore 14e30, escluse le soste lunghe.