Tentativo in autonomia solitaria alla normale del Castore

di Michele Malservigi


La partenza è alle ore 3:30 da Ferrara, l'arrivo nel parcheggio degli impianti a fune di Staffal è alle ore 8:45.
La “macchina del teletrasporto”, ha iniziato da poco il suo lavoro.
Diverse persone, per la maggior parte in pantaloncini corti e scarpe da tennis, si ritrovano in questo parcheggio, poi camminano verso la “macchina del teletrasporto” che in un batter d’occhio li proietterà in quota, dove magari ad attenderli, anziché i fiori troveranno la neve.

C’è anche chi va a scalare le montagne.
Accanto alle loro auto o ai loro Van, si addobbano di tutto il necessario con una frenesia modello lavoro a cottimo, poi scattano selfie e camminano spediti verso la “macchina del teletrasporto” e via, in breve tempo anche loro saranno proiettati in quota.
Quindi a chi sale a Indren e conquista un 4.000 metri, toglieremo 1.480 metri di dislivello e a chi sale al Bettaforca di metri ne toglieremo 800. Però, prima di criticare gli altri, credo sia sempre meglio guardare se stessi.

Scendo dal mio furgone, mi sento un mix tra Steven Segal e il ragionier Fantozzi.
Assaporo l’aria e mi riempio gli occhi di ciò che mi circonda.
Un po' a disagio e con un leggero senso di vergogna, mi carico sulle spalle uno zaino di circa trenta chilogrammi, completo di tenda tre stagioni, sacco a pelo, fornello, spezzone di corda, fettucce, imbrago, viti, ferramenta varia, due piccozze (da neve perchè più leggere), ramponi, casco, radiotrasmittente, GPS, bussola, tre litri d’acqua, sali minerali nel caso dovessi sciogliere della neve, una maglietta ed un paio di calze di ricambio, kit di pronto soccorso, guanti, guanti in lana cotta, copertura in goretex per guanti in lana cotta, sovrapantalone, frutta secca, tisane e due buste di zuppa di cereali.
Mi incammino verso il fondovalle per intraprendere il sentiero numero 1, attraverso il paese con il mio zaino che triplica la forza di gravità, senza sentirmi il migliore o il peggiore, inizio già a “dialogare con la montagna”.
Avrei voluto salire ad impianti e rifugi chiusi, come sono solito fare, ma va già bene essere in pedana per provare una delle mie zingarate.

Il programma mi è ben chiaro da giorni: salirò come un bradipo il sentiero 1, raggiungerò il Passo della Bettolina Superiore dove piazzerò la tenda la prima notte. Il giorno dopo, portando con me lo stretto necessario, verso le tre del mattino partirò con luna piena e pila frontale, alle sette sarò sul Castore ed alle undici di ritorno al campo base, che trasferirò per la notte sul sentiero 1, nei pianori sotto il laghetto. Ma così non è andata.

L’operazione “bradipo” ha funzionato. Partendo alle nove dal parcheggio, ho percorso il sentiero 1 e raggiunto in uno spettacolare ambiente selvaggio il Passo della Bettolina Inferiore in cinque ore e senza incrociare anima viva, a parte un signore di Pavia che ho incontrato poco prima dei pianori antecedenti il laghetto, dove avevo progettato di bivaccare l’indomani notte, una volta sceso dal Castore.
Il signore aveva preso gli impianti per salire e ora stava scendendo a valle.
Nello scambiare due chiacchiere, mi chiese se stessi andando al rifugio ed io risposi che mi sarei fermato per la notte con la tenda al Bettolina Superiore. A quel punto mi disse: “Ah, bello con la tenda, lo farei anch’io! Sai… qui sopra, prima del laghetto, ci sono dei pianori meravigliosi dove passare la notte”.
Risposi che era mia intenzione dormirci il giorno dopo.
Sul sentiero che collega Passo Bettaforca al Rifugio Quintino Sella, trovo una piccola processione di "pellegrini" con vestiario da riviera romagnola. Soddisfatto della mia prestazione, mi dirigo verso l’omonimo Passo Superiore, dove avrei dovuto piazzare il campo base. Avrei...
Una volta raggiunta la meta, un po' affaticato ma non troppo, lo Steven Segal che c’è in me ha deciso di raggiungere il rifugio Quintino Sella.
Mentre la processione continuava, salgo la costa su neve e raggiungo l’omone di pietra che “apre le porte al paradiso”. Sto per improntare senza difficoltà, la cresta attrezzata che porta al rifugio, faccio quattro passi nei gradoni solcati nella neve e ragiono che affrontare quel tratto innevato con un peso del genere sulle spalle, la stanchezza del viaggio in auto e le ore di marcia sino a quel momento, forse non è molto saggio, anche se veder spuntare la cima del Cervino in primo piano, mi carica di brutto.
Nel frangente in cui prendo la decisione di retrocedere, ad unisono, con un interplay alla Weather Reaport, nel fronte del Ghiacciaio del Lys, l’acqua fa esplodere una massa di ghiaccio incredibile, con un boato adrenalinico.

Ripercorro a ritroso il percorso dell’andata sino al Bettolina Superiore che raggiungo alle sette di sera, mentre nel frattempo, si alza un forte vento. Monto la tenda con manovre funamboliche.
Mi ci riparo dentro per riposare un poco e chiamare a casa per salutare, ma è impossibile ed Eolo inizia a far sul serio. Decido di cercare un riparo più in basso, sempre in funzione di salire il Castore il giorno seguente.
Trovo una bella piazzolina ma non posso piantare i picchetti e devo decidere se piazzarmi in mezzo alla neve oppure riempire la tenda di sassi come zavorra. Non so se ascoltare Fantozzi o Steven Segal e ... Ba Ba Baaaaaammm ... tre grossi pezzi di ghiaccio scuro vengono sparati in aria dal fronte del Petit Glacèr de Vèraz e tonfano a valle con decisione.
Solo reazioni fisiche? Hanno minato i ghiacciai? Un caso? Un segnale?
A quel punto decido di ascoltare la montagna e mi sposto ancora più in basso, sempre più in basso, riprendo il sentiero 1 spinto dal vento che porterà via anche la mia salita al Castore.
Alle nove di sera arrivo ad un pianoro con acqua fresca, dove non spira il vento, proprio dove avevo pensato di fermarmi l’indomani, al ritorno dalla cima.
Ceno, mi do una lavatina e via dentro il sacco a pelo.

Il giorno dopo mi sveglio alle cinque, un po' di amaro in bocca per la rinuncia, ma comunque la soddisfazione di essere in un posto fantastico. Faccio colazione con frutta secca ed una tisana mela cannella dal retro gusto di zuppa ai cereali, mi lavo i denti, smonto il campo assicurandomi di non aver lasciato traccia, faccio un po' di allungamenti e con le gambe modello fenicottero, mi incammino verso valle.
Nel tragitto, come a volte mi capita, le ho pensate tutte: abbandono qua lo zaino ..., ... se arrivo a casa vendo tutta l’attrezzatura, ... ma guarda te invece di star con la famiglia o di andar a lavorare, ...con tutto quello che avrei da fare!
Come se non bastasse, poco prima di arrivare a Staffal, nel bosco incontro un anziano.
Si ferma, mi sorride, anzi sghignazza e mi chiede: “Mi scusi, ma ha fatto l’attraversata delle Alpi? Da dove è partito con quell’equipaggiamento?
Al che, dopo aver raggiunto l’apice fantozziano ed essermi sentito un “maglione”, gli sorrido e rispondo: "Vengo da lassù e sto andando a casa". E ci salutiamo.
Finalmente arrivo al furgone, quasi fatico a voltarmi indietro per salutare la montagna, ma spesso, bisogna “mettersela via”. In fondo ho salutato il signore nel bosco che si è preso gioco di me.
Così mi volto, alzo lo sguardo, saluto la montagna e la ringrazio per tutto.

Poi, dopo aver bevuto il caffè più buono del mondo, stavo già pensando a come ripetere quella meravigliosa esperienza.
Che spettacolo!!!

Michele Malservigi
Tentativo in autonomia solitaria alla normale del Castore
Staffal, 6 e 7 luglio 2020