Andate in Armenia

di Flavio Faoro



Andate in Armenia.
Andate prima che finisca, che l’occidente la divori, che le autorità restaurino i monasteri col cemento armato, che i villaggi popolati solo da anziani con gli occhi azzurri si vuotino del tutto, che le montagne di lava e ossidiana vengano scoperte dalle agenzie di trekking, che le fabbriche ex sovietiche arrugginiscano, che il centro della capitale Yerevan sembri Milano, con le stesse boutique, le stesse firme, gli stessi locali di lusso controllati dalla mafia.
Andate in Armenia.
Noleggiate un’auto robusta, non seguite troppo le guide, viaggiate con gli occhi e con la curiosità, non fidatevi delle carte, ignorate i cartelli scritti solo con l’alfabeto armeno, sorridete a chi vi parla solo russo, a chi non capisce nemmeno i vostri gesti, a chi, a sua volta, vi sorride.
Andateci, bevete la birra Ararat, mangiate i sontuosi korovats di carne grigliata, le verdure che hanno finalmente il sapore corrispondente al nome e al colore, il pane lavash disteso come un piatto, un vassoio, un foglio di carta per disegnare il vostro personale sapore, le albicocche e i melograni che occupano i ricami delle tende alle finestre, i disegni dei tappeti e il cuore delle persone.
Scoprite i monasteri sulle montagne, andateci camminando per le mulattiere roventi, per i prati ingialliti dal fuoco del sole, per i boschi radi e sonori di ruscelli.
Guardate i cardi azzurri dello stesso esatto colore del cielo, i grandi fiori gialli che crescono tra le croci di pietra katchkar vecchie di ottocento anni, i pastori che sorvegliano le vallate da secoli, sempre gli stessi, senz’altro, non può essere altrimenti, con le stesse pecore quasi fulve.
Gli orizzonti saranno lontani, pur in un paese così piccolo, e ci aiuteranno a intuire l’infinito dell’Asia, le sue dimensioni incommensurabili, le distanze del tempo e dello spazio, dimensioni che qui, inevitabilmente, si mescolano.
Ma diffidate dei monasteri segnalati dall’Unesco, mete ovvie dei pochi pullman di turisti russi o giapponesi, meraviglie in cui l’abbandono e la vegetazione fagocitano una protezione che non c’è, una tutela inesistente, una ovvietà di bellezza per cui ogni sguardo va condiviso con centinaia di scatti digitali.



Cercate invece quelli remoti, mal segnalati, magari crollanti, ma in cui pochi singoli fregi, o qualche bassorilievo con scene di animali, o la sublime eleganza delle pieghe di pietra di un tetto vi renderanno tutta la grandezza e la maestria di questi perduti artigiani, senza nome, senza memoria, senza storia.
Durante le vostre escursioni, contate, se ci riuscite, le aquile e i falchi, le ghiandaie che disegnano il cielo tra gli alberi, gli uccelli verdi e quelli blu, grossi, che volano paralleli alla vostra auto per lunghi secondi, quelli, feroci e grigi, che mangiano le gigantesche locuste, e le rondini, ancora moltitudini vorticanti, vocianti, stordenti, come in Italia decenni fa.



Salite ai Passi, alti come le nostre Dolomiti, incrociate i camion azzurri e rugginosi, carichi di fieno e di bambini sospesi sul carico ondeggiante, osservate il lavoro a mano, per distese eterne di covoni e cumuli d’erba, di uomini e donne come formiche nelle vastità verdi e ondulate.
Ed è inutile che vi dica che se vi trovate a passare in una notte di luna piena invernale, quando la luminosità quasi abbaglia, per il passo di Selim, con il suo caravanserraglio ancora fondamentale tappa lungo la Via della seta, non potrete non vedere le carovane di uomini e animali che salgono faticosamente dalla Valle delle Disgrazie, asservita alle divinità dei terremoti, e le capre, gli asini carichi, i muli recalcitranti tra le urla, le pecore da arrostire nel fuoco fumoso di sterco e legna nel buio degli stanzoni di pietra.



Nel sito di Carahunge (quasi un’esatta Stonehenge linguistica, kara significando pietra, in Armeno) chinatevi a osservare il sole attraverso i fori delle trecento pietre infisse in cerchi e curve settemila anni fa, immaginate le cerimonie, le notti di attesa degli allineamenti stellari previsti con mesi di calcoli, i solstizi e gli equinozi celebrati da sacerdoti ormai perduti con i loro riti, i loro dei, le loro visioni.
Intorno avrete spazi vuoti d’erba e di persone, lontane cittadine e laghi lucenti sotto il sole, villaggi di campagna per i quali nessuno, anche chiedendo, vi saprà indicare la strada.
E infine, andate in Armenia per vedere l’Ararat, la montagna sacra degli Armeni che gli Armeni non possono toccare, un supplizio di Tantalo feroce, una crudeltà ignobile, un’esibizione di forza e potenza arroganti e ottuse.
L’Ararat è lì.
Dietro il seghettato orizzonte di Yerevan, oltre la breve pianura e il fiume Arasse con il confine che la Turchia sorveglia con un esercito feroce, è lì a far da sfondo ai monasteri, alle antiche capitali perdute, al lucente aeroporto di Zvartnots e alle vicine rovine di quella basilica che fu l’edificio più grande del mondo, oltre ai parabrezza crepati dei taxi, oltre alle infinite fontanelle d’acqua gelida da cui tutti bevono, oltre alle colombe lanciate in aria dai turisti, ai galli sacrificati in liturgie remote, alle ragazze eleganti e scollate, agli uomini grassi e forti, alle vaste sopracciglia arcuate di questo popolo fiero, ricco di una storia dolorosa che lo fa unito, riconoscibile, complice, ovunque nel mondo.
Andateci, una volta, vi piacerà.

Letture consigliate: lasciate stare le guide, portatevele per le necessità pratiche, e anche per non seguirle e perdervi, apposta.
Leggete invece almeno questi romanzi:
La masseria delle allodole e La strada di Smirne di Antonia Arslan, edizione Rizzoli;
I quaranta giorni del Mussa Dagh, (più di 800 pagine, una grande, magnifica epopea, a torto poco conosciuta) di Franz Werfel, edizione Corbaccio;
Le terre di Nairì, di Pietro Kuciukian, edizione Guerini e associati.

Altri libri sono stati pubblicati sull’Armenia e la sua storia tragica e straordinaria, non sarà difficile trovarli in libreria o su internet (ma meglio comprarli in una libreria che amate, è ormai un gesto politico).
I romanzi e i racconti sono infatti trattati di sociologia privata, di storia e politica vissute, vi preparano le emozioni degli incontri, delle scoperte, delle visioni che farete lì.
Meglio, molto meglio delle guide.
Buon viaggio.

Flavio Faoro
Belluno, agosto 2011