"La via dei diamanti" al Kabru IV (7.318 metri)
L'ultima straordinaria spedizione di Romano Benet e Nives Meroi
a cura di Melania Lunazzi
A pochi giorni dal loro rientro in Italia incontro Nives
Meroi e Romano Benet nell’ampia radura che circonda la loro bella casa
vicina al confine con la Slovenia, per raccogliere il racconto dell’ultima
spedizione in Himalaya al Kabru IV (7.318 metri) cima meridionale di una
articolata cresta di confine tra Nepal e Sikkim, a sud della catena del
Kangchenjunga. La cordata più alta del mondo ha ottenuto il risultato in
squadra con altri due alpinisti, lo slovacco Peter Hamor e lo sloveno Jan
Bojan, guadagnando la cima dopo una lunga serie di tentativi funestati dal
maltempo, nell’unica finestra meteorologicamente favorevole.
Il risultato è una nuova via, "Diamonds on the soles of the shoes",
il cui nome richiama il titolo di una nota canzone di Paul Simon e si ispira
al tracciato costellato di ghiaccio vivo e a una sorpresa incontrata durante
la discesa.
La salita è stata compiuta nello stile pulito che connota da sempre la
tenace coppia tarvisiana, senza portatori e senza ossigeno supplementare,
stile condiviso dall’amico alpinista Peter Hamor, mentre lo sloveno Jan
Bojan era alla sua prima esperienza extraeuropea.
Dal campo base la squadra ha raggiunto la cima portando le tende in spalla e
con tre bivacchi intermedi.
In discesa hanno dovuto affrontare un imprevisto bivacco notturno
all’interno di una grotta di ghiaccio e qualche spiacevole incidente, per
fortuna dalle conseguenze non gravi.
Il rientro alle tende collocate a 6.200 metri è avvenuto a ventiquattro ore
dalla partenza.
Come è nata la decisione di salire su questa cima?
Romano La guardavo e mi piaceva. Negli anni siamo passati sotto il
Kabru quattro volte, sempre al ritorno dal Kangchenjunga (la montagna dove
Romano ha dovuto fermarsi nel 2009 per i primi segni di una malattia e
l’inizio di un lungo percorso di guarigione, poi ritentata nel 2012 e infine
salita nel 2014, ndr).
Ho raccolto informazioni e verificato che era stato
tentato nel 2004 da una spedizione serba lungo quella che allora sembrava la
via più logica di salita, però ebbero un incidente e si ritirarono.
La vetta
principale del Kabru è stata salita da una spedizione militare indiana dal
versante del Sikkim, ma ignoro se da lì abbiano traversato fino alla cima
del Kabru IV.
Quindi una via nuova su cima forse inviolata. Avevate già tentato nel 2009
la salita al Kangbachen (7902) in questa zona.
Nives Sì, avevamo già salito metà della via ma da quel punto in poi
la parete era intagliata da una serie di crepacci paralleli come le onde di
un oceano. Sarebbe stato necessario l’uso di scalette, ma ovviamente non le
avevamo e così siamo tornati indietro.
Romano Per ritentare il Kangbachen ci sarebbero voluti altri due giorni di
spedizione con i portatori e costi ulteriori e così ci siamo fermati prima
(il Kabru è tra i settemila, il più meridionale, ndr).
E la squadra come è nata?
Nives Beni, la responsabile della nostra agenzia di riferimento a
Kathmandu, sapeva che anche Peter puntava alla stessa cima e così ha fatto
in un certo senso da Cupido, facendoci unire le forze.
Romano In realtà con Peter avevamo già tentato insieme il
Kangchenjunga nel 2012, l’anno in cui abbiamo sbagliato cima. Ci conosciamo
e condividiamo lo stesso tipo di alpinismo: sapevamo di andare sul sicuro
con lui. Anche con Jan Bojan, che è di Rateče (Slovenia, a due passi da casa
dei tarvisiani, ndr), ci conosciamo: abbiamo condiviso diverse salite di
ghiaccio qui nelle Giulie. Era alla sua prima esperienza e in una volta sola
le ha provate tutte, tutte le gioie e i dolori dell’alpinismo in Himalaya.
Quanto è lunga la via di salita?
Romano Sono 2700 metri di dislivello da risalire dal campo base, si
parte bassi, dai quattromila metri.
Normalmente per gli Ottomila si parte da
più di 5000 di quota.
Non è stato semplice trovare la via, vero?
Romano No. Nevicava ogni giorno e se non nevicava tirava vento forte.
Mi ero quasi convinto che saremmo tornati a casa senza risultati. Ogni volta
bisognava rifare la traccia nella neve fonda e battere da zero.
Nives Inizialmente abbiamo provato a seguire la via dei serbi, però
l’attacco con la cascata di ghiaccio iniziale non esisteva più. Le rocce
erano scoperte e con scariche di sassi continue: una vera roulette russa.
Romano C’era inoltre da oltrepassare una grande area di crepacci e seracchi,
con due seraccate separate, una sorta di Icefall come sull’Everest. Un
giorno siamo saliti sulla montagna di fronte e da lì siamo riusciti a
intuire una possibilità di salita a sinistra.
Quando sei lì, in mezzo ai muri di seracchi, non sai, dopo averne superato
uno, quanti altri ne troverai e se alti appena una manciata oppure decine di
metri, se verticali o strapiombanti, se di neve o ghiaccio verde… e se
riuscirai a passare o no.
O magari ti imbatti in crepacci difficili o impossibili da oltrepassare.
Perché il problema non è la profondità – quella fa solo impressione – ma
quanto sono “spalancati”: se basta un salto, se devi percorrerne i bordi in
cerca di un ponte di neve che dia almeno un minimo di sicurezza, o se è
necessario ricorrere alle scalette, che ovviamente non usiamo. In questa via
i due terzi della salita sono dentro la seraccata e gli ultimi mille metri
si salgono “all’aperto”.
Nives, Peter e Romano insieme hanno unito il loro fiuto e il loro senso di
orientamento e han trovato la via in quel labirinto.
Quando è stato deciso il giorno della salita?
Romano Peter aveva contatto costante con un meteorologo portoghese di
riferimento che ci seguiva e ha previsto l’unica giornata di tempo stabile.
Era l’unica finestra ed è stata indovinata.
Abbiamo provato ed è andata bene. Bastava un errore di previsione di poche
ore e non ce l’avremmo fatta.
Al di sopra della seraccata come era la via?
Romano Tecnicamente più difficile della parte bassa, ma siamo andati
su dritti verso l’obiettivo.
Dopotutto siamo alpinisti…
Nives C’era parecchio ghiaccio brutto e non è stata una passeggiata.
Come sempre poi, gli zaini erano pesantissimi con dentro tutto il materiale
per i bivacchi e per la scalata. Ma è così quando il rapporto con la
montagna non è “virtuale”, quando è ancora fisico, diretto e senza
scorciatoie.
Cosa si vede dalla cima?
Romano Dalla cima vedi bene a nord est il Kangchenjunga e altri
settemila poi verso sud l’India e Darjeeleng mentre a nord Makalu, Everest,
Lhotse e a ovest altre montagne sconosciute.
In discesa avete avuto imprevisti?
Romano A noi alla prima doppia si è incastrata la corda e così le
successive sono state sempre calate da dieci metri, tutte su abalakov. E il
ghiaccio era brutto, duro. Abbiamo iniziato a scendere alle sei e alle sette
è venuto buio. In un certo senso è anche meglio scendere al buio, così non
ti fai condizionare dall’esposizione. Peter e Jan erano più sotto di noi,
ovviamente scendevano più veloci con la corda intera.
Avete percorso sei ore in discesa al buio finché avete dovuto affrontare
un bivacco.
Nives Ad un certo punto durante le nostre calate in doppia vedevamo
le luci delle frontali di Peter e Jan ferme. Credevamo, invidiandoli
parecchio, fossero già arrivati alle tende, ma quando ci siamo avvicinati ci
siamo resi conto che c’era una sorpresa.
Romano Ormai era l’una di notte e li abbiamo raggiunti. Si erano
fermati all’interno di un seracco che ospitava una grotta di circa sette
otto metri di altezza e cinquanta di profondità. Ho pensato subito che se si
erano fermati lì c’era qualche rogna. Sotto di noi c’erano dei salti, ma al
buio non si capiva quanto profondi potessero essere e nemmeno potevamo
vedere le tende e sapere che direzione prendere e così Peter ha deciso di
fermarsi.
La grotta era tutta ammantata di cristalli di ghiaccio che
brillavano alla luce delle frontali.
Uno spettacolo: sembrava una scena del
film La storia Infinita. Ero talmente stanco che non ho fatto neanche una
foto di quei cristalli purtroppo, anche se avevo la macchina al collo.
Bisognava far fronte alla notte da passare, fermi al freddo.
Nives Tralasciando la paura di dover affrontare il nostro primo
bivacco fuori in Himalaya, la grotta era davvero bellissima, con concrezioni
di ghiaccio e stalattiti che brillavano. Comunque io mi sono buttata
immediatamente addosso a Romano per tenermi più calda (ride).
Romano La nostra fortuna è stata essere arrivati lì all’una e non
prima, dato che alle quattro del mattino fa già luce. Forse con più ore di
bivacco notturno ne saremmo usciti tutti con qualche congelamento.
Ho
cercato di muovere continuamente mani e piedi, tremavo senza controllo. Non
ho mai patito così tanto il freddo e ho intensamente desiderato un tutone da
Ottomila. Con Peter scherzavamo: si sente dire che quando muori per
assideramento non te ne accorgi, ma le quattro cinque ore prima di morire te
ne accorgi eccome! (ride di gusto) Nives si è anche addormentata: l’ho
invidiata, mentre Jan ha riportato congelamenti a mani e piedi per fortuna
non così gravi da rendere necessarie amputazioni.
Alle prime luci avete ripreso la discesa fino alle
tende. Erano vicine?
Nives Eravamo vicinissimi alle tende, un paio di doppie ed eravamo
giù. Abbiamo deciso di pernottare lì e di rimetterci in cammino l’indomani
mattina molto presto, per evitare i rischi dati dal forte riscaldamento
diurno, nel percorso fino al campo base.
E poi è successo l’incidente a Nives poco prima di
arrivare alla base della parete.
Romano Stavo preparando una doppia e ad un tratto Nives è sparita.
Una scivolata di una decina di metri e dopo un salto è atterrata su dei
sassi. Ci ho impiegato un po’ a raggiungerla, con un lungo aggiramento.
Nives Ho perso aderenza sul ghiaccio, ho cercato di fermarmi in
qualche modo, poi ho visto che andavo verso un salto e lì mi sono detta:
speriamo bene. Nell’impatto sulle rocce mi sono procurata un trauma al
torace e mi ci è voluto un po’ per riprendere fiato. Ma si sa che finché il
corpo è caldo bisogna approfittare e continuare a muoversi prima che il
dolore aumenti e così ricaricato lo zainone in spalla ho proseguito la
discesa.
Arrivati alla base c’era da attraversare il ghiacciaio e da lì, prima di
raggiungere il campo base, bisognava risalire una ripida rampa lunga una
ventina di minuti e milleduecento passi: li ho contati ad uno ad uno!
"La via dei diamanti" al Kabru IV (7.318 metri)
L'ultima spedizione di Romano Benet e
Nives Meroi
A cura di Melania Lunazzi
(tratto dal sito Montagna.tv)
Fusine in Val Romana (Udine), giugno 2023
Kabru IV (Kabru South) – 7.318 metri – Parete Ovest
DIAMONDS ON THE SOLES OF THE SHOES (D+, 60°) – Prima ascensione
Romano Benet e Nives Meroi (Italia), Peter Hamor (Slovacchia), Jan Bojan
(Slovenia)