Dov’è finito il martello?

di Roberto Avanzini



Inverno 1986, a metà di una placca “boscosa” sto lottando per uscire dall’amabile cespuglio spinoso che con un autentico colpo di genio ho deciso di rinviare. Dopo cinque minuti e molto dolore riesco ad abbandonare il suo confortevole abbraccio e a mettere un dado nella fessura successiva. A quel punto devo eseguire la consueta operazione di tirarmi su l’imbrago basso, (prestato, perché allora faceva molto “California”), pantaloni e mutande che ormai stanno raggiungendo le ginocchia. Motivo di questo costante cavallo basso dei pantaloni è l’esuberante, e spesso inutile, quantità di materiale che mi porto addosso, praticamente tutto quello inventato per l’arrampicata, friends a parte, per chiare ragioni economiche. Infatti sto aprendo una delle quattro vie nuove che ho fatto in vita mia (3°, tanto per chiarire subito il mio livello).
A metà della placca a mio lato noto uno spit nuovo piazzato sulla via ripetuta con Andrea la settimana prima. Orribile affronto! Infatti ai tempi facevo parte della schiera di quelli che vedevano gli spit come una roba da rammolliti.
Segue veloce pendolo e gran smartellamento per togliere l’immondo sfregio e nuovo innalzamento dei pantaloni ad un livello almeno sufficiente per non offendere il buongusto.

Autunno 2003
Con occhi umidi e bramosi guardo nella vetrina della ferramenta un meraviglioso De Walt giallo e nero, ovvero un trapano a batteria che fa bellissimi buchi per meravigliosi tasselli fix della sublime tenuta di 2200 kg cadauno. Finiti gli aggettivi positivi ne rimangono molti di negativi per il prezzo del gioiello, che un destino cinico e baro vuole assolutamente al di fuori della portata del mio stipendio.

Tra questi due fatti:

Inverno 1993
Mi affaccio con gli sci sull’imbocco di un canale tra una serie meravigliose pareti di porfido e ne rimango rapito, il gioco di luci e ombre che un cupo cielo di gennaio crea su diedri e fessure mi lascia senza parole, mi dico che devo tornare assolutamente in estate per cercare di salire su questa meraviglia.

Insomma, veniamo al punto!

Argomento del racconto non è la mia involuzione o evoluzione alpinistica, che giustamente non interessa a nessuno, ma il fatto che il mio mutato atteggiamento riguardo l’uso delle protezioni fisse è stato un percorso comune a moltissimi arrampicatori, ...ma non a tutti.
Recentemente un gruppo di bravi alpinisti ferraresi lancia una proposta decisamente controcorrente, ovvero di lasciare libera da spit una zona meravigliosa delle montagne trentine, una proposta che ha quanto meno un merito, ovvero di far riflettere. Una proposta che, personalmente mi mette un tarlo in testa. Io adesso adoro gli spit, adoro arrampicare pensando solo a muovermi bene, inoltre già così per me il rischio è sufficiente, infatti sono decisamente fifone.
Inoltre amo quella zona, trovo l’arrampicata su porfido difficile ma molto estetica e ho un amico dotato di un bel trapanone a batteria. Mettete assieme le tre cose e aggiungete il fatto che sugli spit come me la pensano migliaia di arrampicatori e secondo voi cosa può accadere?
In realtà accade che la proposta “no spit zone”, mi spiazza completamente, tanto che decido un “embargo” di un anno sui miei propositi trapanatori, e per tutto il 2003 lascio perdere e cerco di chiarirmi le idee. La questione non è l’annosa e noiosa questione spit no o spit si, perché per me è spit si, chiaramente e decisamente. La vera questione è spit dove e come, e la proposta dei ferraresi è un bel chiodo (tradizionale) che costringe tutti quelli che amano quelle rocce rosse e grigie ad operare una scelta, nel suo piccolo difficile ma significativa. Inoltre è una scelta di salvaguardia, che cade in una regione alpina che si sta trasformando in un luna park turistico e non può lasciare indifferenti. Ben vengano proposte che costringano le persone a riflettere, soprattutto poi se sono accompagnate dai fatti, cioè la realizzazione di belle vie in stile tradizionale.
Non so come andrà a finire, ma spero che se compariranno dei tasselli siano solo alle soste o dove non c’è altra possibilità, magari messi dal basso, come personalmente vorrei fare, e non spuntino vie da palestra.
Ma molto probabilmente non farò proprio niente, un po’ per salvare un piccolo pezzo di paradiso da eccessiva frequentazione (a tal proposito, speriamo che non esca mai una guida alpinistica del Lagorai) e un po’ perché la proposta mi piace (ma non lo ammetterò mai). Continuerò semplicemente a guardare quei bei diedri da sotto e a immaginare vie che non salirò, che forse alla fine sono le più belle.
A meno che non riesca a ritrovare i dadi e il martello, ma ormai non li vedo più da moooolto tempo!

Roberto Avanzini

Ottobre 2003