Cosa porti con te se pensi di non tornare più?

di Raffaele Ferri


Sono nato e cresciuto in pianura in una famiglia numerosa, tra fratelli e cugini, a pochi chilometri da Ferrara, città dove ho studiato, lavorato e vissuto per diversi anni.
Nel paese emiliano in cui vivo frequento le scuole sino alle medie e, ogni anno, durante le vacanze estive trascorro qualche settimana in Trentino sull’altopiano di Pinè con la famiglia.
Qui si va spesso nei boschi in cerca di funghi e piccoli frutti, alternando brevi escursioni in montagna, alle quali partecipo con scarso entusiasmo per la fatica delle salite.
Preferisco decisamente il mare...

Terminate le scuole medie proseguo gli studi all’Istituto tecnico industriale e all’età di sedici anni, durante le vacanze estive del 1989, partecipo ad un trekking organizzato dal Club Alpino Italiano di Ferrara sulle Dolomiti bellunesi del Cadore.
Durante questa settimana di vacanza indimenticabile, mentre apprendo con entusiasmo i rudimenti dell’arrampicata e dell’alpinismo in generale, la fatica passa decisamente in secondo piano.
In questa occasione mi rendo conto, con stupore, che i limiti naturali della montagna per me non lo sono, anzi, diversamente dalla “piatta pianura”, i rilievi alpini mi offrono l’opportunità di conoscere ambienti nuovi in cui mi sento pienamente a mio agio.

Continuo così l’attività estiva in montagna con il CAI sino al diploma, ma sento che non mi basta.
Quindi decido di frequentare corsi di alpinismo e roccia e di assolvere il servizio di leva come ufficiale degli Alpini, prima ad Aosta, poi sulle montagne del Veneto e, stranamente, anche della Sicilia!
Terminato il servizio militare, anziché proseguire gli studi, preferisco dedicarmi al lavoro con l’intenzione comunque di acquisire competenze e professionalità nel settore della progettazione degli impianti elettrici, mentre nel tempo libero continuo a coltivare la passione per la montagna anche come accompagnatore di alpinismo giovanile del CAI.
Negli anni ho cambiato diverse realtà lavorative.
Ho maturato una ricca esperienza collaborando con alcuni professionisti della mia città e dal 2005 ho intrapreso con entusiasmo un’attività autonoma ottenendo buoni risultati.
Comincio così a costruire la mia vita professionale e personale, insieme alla mia ragazza, a Ferrara.
Tutto precede al meglio fino a quando la crisi globale del mondo del lavoro, iniziata oltre oceano già nel 2008, un anno dopo comincia a farsi sentire pesantemente anche qui in Italia e nella mia città. In meno di un anno la mia compagna di vita perde il lavoro per ben due volte ed anche la mia attività è in difficoltà.

La professione che svolgo mi consente di lavorare un po’ ovunque e nell’autunno del 2010, per necessità, inizio a collaborare con qualche azienda trentina facendo il pendolare: tre giorni a Storo, in provincia di Trento, e due giorni a Ferrara, ma so che non potrò farlo per molto tempo.
E’ faticoso: le preoccupazioni aumentano sia al lavoro, sia in famiglia e nel dicembre del 2010, tutti i miei progetti di vita vanno in frantumi …
Qualcuno dice che quando si cade si raccoglie sempre qualcosa!
Belle parole, ma io ora cos’ho da raccogliere?
Durante le festività natalizie dello stesso mese di dicembre, una delle ditte con cui collaboro a Storo mi propone un’assunzione a tempo indeterminato a partire dalla prima settimana di gennaio.
In azienda c’è necessità di un tecnico con esperienza ed i titolari ritengono che io sia la persona adatta.
Penso: necessito di un lavoro stabile, sono tornato “forzatamente” single e ho pochi giorni di tempo per decidere della mia vita futura.
Che fare?
Accetto la proposta di lavoro e di partire per il Trentino realizzando almeno il sogno nel cassetto di andare a vivere in montagna.
Quindi, caro Raffaele, “zaino in spalla”.

A pochi chilometri dal nuovo posto di lavoro trovo un appartamento che fa per me. E’ modesto, ma accogliente e questo mi basta.
E’ appena stato ristrutturato; all’interno per ora c’è solo una rete con il materasso; l’impianto di riscaldamento è spento da mesi.
Per me è comunque sufficiente per viverci subito in attesa che sia arredato e reso confortevole.
Durante le mie avventure in montagna ho bivaccato più volte sotto le stelle sia d’estate, sia d’inverno e questa sistemazione temporanea in confronto è un albergo a quattro stelle, quindi mi adatto senza difficoltà.
La partenza è fissata per il 9 gennaio, non ho tempo per organizzare un trasloco completo e penso a cosa portare con me. Scelgo l’essenziale: una valigia con abiti per una settimana, il sacco a pelo, un libro, il mio cappello alpino come portafortuna e un bel po’ di fiducia!
Mi ritrovo così da solo in un luogo quasi sconosciuto ...
Al lavoro mi affidano il ruolo di responsabile del settore tecnico di un’azienda che conta circa cinquanta lavoratori, una delle principali della Valle del Chiese.
Mi confronto quotidianamente con tante persone che hanno bisogno di conoscermi e che hanno abitudini di lavoro molto diverse da quelle che ho conosciuto in città.
I primi mesi sono duri non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche di adattamento al nuovo ambiente e qualche volta a casa la stanchezza e la solitudine sono difficili da gestire.
Cerco di socializzare con i colleghi e occasionalmente il mio atteggiamento espansivo emiliano (o da “italiano”, come direbbe qualche anziano qui) cozza con il carattere piuttosto introverso dei valligiani.
Mi farebbe piacere scambiare due parole con qualcuno anche dopo il lavoro, ma l’inverno qui è lungo e appena fa buio la gente si chiude in casa al caldo con la famiglia.
Ingenuamente ero convinto che l’unica cosa che separasse Ferrara dalla Valle del Chiese fossero le montagne e poco più di duecento chilometri percorribili in tre ore di auto.
Come ogni abitante di pianura, ho sempre frequentato l’ambiente montano da turista o da “alpinista della domenica” tralasciando invece tutto ciò che riguarda la quotidianità della vita di montagna; ora però devo cambiare punto di vista e modificare il mio desiderio di vivere In montagna in un desiderio di vivere La montagna, perché in questo luogo ho deciso di ricostruire la mia vita.
E’ pieno inverno.
Ho comunque bisogno di incontrare gente e di farmi conoscere, perciò ogni occasione di incontro e di aggregazione è importante.
Con la discrezione di chi si sente un ospite, inizio quindi a frequentare varie attività sociali extra lavoro tra le quali ce n’è una a me famigliare, ovvero la sezione locale del CAISAT.
Successivamente mi dedico casualmente anche a qualcosa di nuovo.
La prima novità è il carnevale tradizionale di Storo, ricorrenza molto sentita in questo paese, in cui vengo invitato a far parte della giuria per votare carri e gruppi mascherati provenienti da diverse località della valle.
In primavera la seconda novità è iniziare a cantare in un coro di montagna!
Un po’ alla volta mi accorgo con piacere che in un ambiente dal clima e dal carattere freddi spesso si celano persone ospitali con un animo caldo e genuino.
Persone capaci di gioire ancora di cose semplici, cose di cui forse oggi si è persa traccia nelle città dove, pur essendoci tante opportunità, c’è tanta fretta e, sebbene si entri in contatto con decine di persone diverse ogni giorno, ci si rapporta solitamente ad un livello superficiale e poco appagante.

Anche qui i ritmi sono veloci, ma quando lasci il posto di lavoro per tornare a casa sembra che il tempo si sia fermato ad una dimensione più naturale e a misura d’uomo. Quella dimensione che ho cercato per anni lontano dalla città nelle escursioni o arrampicate in montagna ora è dietro casa mia.

Lentamente mi rendo conto che quel che ho lasciato a Ferrara, affetti famigliari a parte, un po’ alla volta cessa di mancarmi e, ogni giorno che passa, per me qualcosa diventa superfluo e qualcos’altro diventa essenziale.
Ancora oggi gli abitanti nativi della valle mi chiedono come io sia finito in questo luogo dove non c’è nulla …
Beh, dopo aver vissuto trentasette anni in una città di pianura in cui spesso tutto sembra indispensabile e ci si riempie di “accessori” per non essere esclusi dalla società che corre, penso a una semplice frase dal famoso alpinista, scultore e scrittore Mauro Corona: “Vivere è come scolpire, occorre togliere, tirare via il di più per vedere dentro”. Chissà se sarei capito dai valligiani dicendo loro che quando sono caduto ho inconsapevolmente raccolto ancora una volta la mia vita!

Sono trascorsi quasi due anni da quando son partito per l’Alpe Trentina.
Faccio visita a parenti e amici a Ferrara ogni due mesi circa, ma ogni volta che percorro la strada della Val Sabbia che da Brescia mi conduce in Trentino, giunto in prossimità dell’ultimo paese bresciano sulle rive del Lago d’Idro, mi si apre il cuore alla vista di Darzo, un piccolo borgo su una collina soleggiata che sta poco oltre il confine.
Lì ora c’è casa mia, con il Brenta distante che le fa da sfondo.

Raffaele Ferri
Darzo (TN), ottobre 2012