La leggenda dell'uomo che amava i Sassi
di Rita Vassalli
Da inizio primavera o primavera inoltrata quando apprezzi la fioritura del
sottobosco, o autunno quando la luce e i colori fanno risaltare l’intera
area boschiva e gli scotani si tingono di rosso, lo puoi incontrare in
quel “micro mondo di trachite”.
Si aggira con fare inizialmente tranquillo, in quella dantesca cuspide
rocciosa del “sasso” e nelle osterie dei paesi vicini potevi sentire
parlare di lui nei tempi addietro e di come quei rilievi, curiosamente
ritagliati dalla corrosione, in certi periodi dell’anno si popolassero.
Il sasso o i sassi sono grandi macigni isolati, alcuni di questi veri e
propri spuntoni trachitici o guglie prismatiche buffamente modellate
dall’erosione, situati nel Parco regionale dei Colli Euganei.
Che sia un Salvanèo?
Lo spiritello dei boschi che si aggira per i Colli?
Ristretta l’area in cui lo si scorge e il fatto che quel luogo, dai
locali o su alcune cartine, sia chiamato Sassi del Prete o Forche del
Diavolo o Denti della Vecchia o Sassi della Strega, fa comprendere
perché chi si ritrova a passare di là e gli chiede informazioni sul nome
di quella zona avvolta da bosco di roverelle e castagni, si sente
semplicemente rispondere “questi sono i Sassi”.
Non si poteva fare a meno di percepire nel suo tono di voce e nella
prossemica, un altero orgoglio come di chi ha portato a nuova vita
qualcosa che per propria natura inanimata, vita sembrerebbe non avere.
Un amore nato molti anni prima e come tutti gli amori durevoli e ben
radicati, ne aveva offerto stagioni diverse.
La passione quando, poco più che trentenne li scoprì e ne iniziò la
frequentazione, l'intenso e profondo affetto maturato col tempo e
l’attaccamento spesso nostalgico nell’età dei ricordi.
Il luogo, formatosi circa 35 milioni di anni prima, doveva averne visti
di uomini che ne cercavano riparo.
Dapprima erano stati i bisogni primari a condurvi l’essere umano fin dal
paleolitico inferiore, poi, in una storia più recente quel bisogno di
tracciare confini nello spazio che ci circonda e sperimentare la salita
per poi capire magari la discesa in se stessi, aveva chiamato su quei
sassi alpinisti di zone limitrofe.
Fu durante l’abbattimento del bosco ceduo che sta ai piedi di queste
formazioni impedendone per anni al viandante di scorgerle, che l’uomo se
ne avvide.
Era l’inizio degli anni ’80 ed era ancora l’alba, una magnifica alba, di
una stagione della sua vita.
Come un cercatore d’oro che si rende conto di star esaurendo la propria
vena aurifera si trovava da quelle parti, alla ricerca di un luogo dove
coltivare e soprattutto trasmettere quella passione che gli ardeva
dentro.
E visto che di amore si parla, fu quasi colpo di fulmine!
Un posto tranquillo che per anni si animava, in certi periodi dell’anno,
di giovani e meno giovani uomini e donne che, come le formiche di
Vettori, andavano su e giù per quei sassi solidi e rugosi, per scoprire
e sperimentare, senza i patemi dell’altitudine e di una forte
esposizione, i primi rudimenti dell’arrampicata.
Ben più nobili piedi e mani avevano accarezzato quei sassi, e lui lo
sapeva bene.
Ma il suo immediato gesto d’amore fu proprio nello scrollare dal
torpore, a volte gelido della dimenticanza o persa considerazione, quei
sassi.
Che sia dunque uno gnomo delle rocce?
A differenza degli elusivi cugini delle foreste, se ti imbatti in lui
puoi convincerti sia proprio uno gnomo delle rocce, di quelli
naturalmente che praticano il taglio delle gemme perché poi le piante
non invadano il proprio regno. Lavoratore coscienzioso ed instancabile
per molti anni, ripuliva quelli che in cuor suo sentiva come i “suoi
sassi”, come l’ospite premuroso pronto a ricevere gli amici, non per
lucro, ma per sola benevolenza.
Aiutato da discenti e pari, per anni era salito e ridisceso da quelle
rocce, armato di forbici, cesoie, seghetto, brusche di ferro, corde e
moschettoni. Ma anche se gli attrezzi portavano a pensare ad un rude e
pesante lavoro, nulla di tutto ciò è mai trasparso nell’uomo.
Armato anche delle sole mani, come un giardiniere, alternava carezze a
raspate metalliche, quasi a farsi perdonare dalle rocce per averle così
bruscamente ripulite da muschi e licheni.
Poi, pervaso da raptus paterno, saliva sugli alberi circostanti per
potare là dove il ramo impediva al tepore del sole di riscaldare i sassi
deprivati della pelliccia muschiosa ...
Come l’innamorato che chiede alla donna di essere bella, si incuneava
tra le linee delle rocce a segare arbusti che ne deturpavano la vista al
forestiero
Ma come una bella donna che perde col tempo la sua verve, i Sassi furono
messi da parte nella frequentazione di estimatori.
Ma non da lui, e forse pochi altri, che ne continuarono a trarre
piacevolezza.
L’uomo torna in quel luogo, e ogni volta il suo cuore palpita, perché si
risvegliano in lui i sentimenti che da tempo non riesce a provare o
semplicemente sensazioni di pace interiore.
S’inerpica tra quegli spuntoni e già in preda ad una fanciullesca gioia,
estirpa, pulisce, pota, spazzola, sradica, recide … con quell’impeto da
soldato all’assalto.
Lo vedi sovreccitato e febbrile, incapace di stare fermo.
Ha in corpo malinconie montane e allegrie costiere.
Assorto nel suo lavoro dal quale si estranea per brevissimi attimi e con
quella che sembra una scrollata di spalle, scrolla dal proprio
caleidoscopio emotivo, un’infinità di pensieri che galleggiano e a cui
non sempre trovava le parole per esprimerli.
E allora lo puoi vedere con la rinnovata vigoria di chi recupera un
periodo della propria vita che lo ricongiunge con se stesso.
Ha trascorso tra quei sassi il tempo della ricerca di un antidoto
all’insostenibile solitudine di un tempo passato, cercando di ricomporre
il mosaico della propria vita.
Ed ora torna, in quell’angolo solitario, altezzoso e isolato, dove gli
alberi e arbusti sono avvinghiati in promiscui abbracci, dove le rocce,
anzi i sassi, hanno per lui nomi, alcuni dei quali appartengono al mondo
del fantastico o a un'ilare memoria televisiva in bianco e nero e che
magari, sotto l’effetto della luna piena, si tramutano come gli
alebrijes per l’artigiano messicano.
Ritorna per godersi un tramonto sul verde scacchiere della pianura,
volgere lo sguardo a volo d’uccello sulla sagoma tondeggiante del Monte
Venda o la parete rocciosa di Rocca Pendice che l’ha accolto in tante
arrampicate, planare tra querceti e castagneti, robinie e roverelle,
inebriarsi di campanellini di dulcamara e aglio orsino o vedere quel
piccolo mondo imbiancato dalla neve.
E se poi non è in compagnia dei soli suoi pensieri e le sue riflessioni,
si cala in quella dimensione giocosa che fa l’uomo libero da costrizioni
e rinnova la felicità di ritrovarsi.
Si direbbe che quei sassi, alti non più di dieci o venti metri, pur
avendo non solo una base, ma anche una cima accessibile a chicchessia,
potrebbero essere per l’uomo che li amava, quella montagna, o meglio
rilievo, che unisce simbolicamente il Cielo alla Terra, un micro mondo
dove per lui è esistito ed esiste del bene, del bello e del vero.
Rita Vassalli
La leggenda dell'uomo che amava i Sassi
Ferrara, agosto 2012