Pasubio, una domenica d'estate, cent'anni dopo (2° parte)
di Luigi Negri
All'interno del rifugio, che in quei
lontani e drammatici giorni, fu caserma del contingente italiano, code alla
cassa e ressa ovunque. Chiediamo se c'è un tavolo libero e ci viene indicato
di salire al piano superiore.
Miracolosamente il tavolo c'è e prendiamo
posto. Ci sistemiamo e una certa rilassatezza inizia ad avvolgerci.
Gli efficientissimi e giovani camerieri, in breve tempo ci servono qualcosa
da mangiare e un po’ di vino.
Mentre pranziamo, la conversazione riprende a scorrere libera e fluida,
riportando alla luce fatti appresi, letture, ricordi e quant'altro emerga, a
volte anche a caso, dalle nostre memorie.
A: "Lei che è un pianista, lo
sapeva che sul Vioz il capitano della compagnia dava concerti di pianoforte
e violino con l'ufficiale medico... ?"
L: "Si, succedevano cose simili
anche al rifugio Lobbia Alta... Pensi che un pianoforte a coda, requisito a
Riva del Garda, dove gli abitanti erano sfollati, fu portato nella
postazione austro-ungarica sulla cima del Cadria...
Diversi anni dopo, il proprietario, anch’egli un maestro di musica, lo
ritrovò in una casa nelle Giudicarie.
Chiese dove l'avessero trovato e quando seppe che l'avevano tirato giù da
quella quota, rivelò che quel pianoforte era suo, ma dopo quella impresa
convenne che era diventato loro di diritto."
A: "Sembra incredibile... Immagini quando, in mezzo alle montagne, dalle postazioni austriache salivano le note di Schubert... e subito dopo, da quelle italiane, in risposta, un grammofono sparava il Rigoletto... succedeva anche questo... era un altro mondo... a volte, tra nemici, ci si prendeva anche in giro... si rivaleggiava ancora in modo quasi cavalleresco... Ricordo di aver letto di un aviere austriaco di cui ho dimenticato il nome, un triestino, che costrinse all'atterraggio un pilota francese... Bene, prima lo dichiarò prigioniero e poi lo invitò a cena all'Hotel Excelsior..."
L: "Era veramente un altro mondo... L’aereo poi, a quei tempi, rappresentò l'inizio di una modernità che avrebbe ridotto l'uomo a bullone senz'anima di ingranaggi incomprensibili... La gente si chiedeva chi fossero quei matti che andavano a farsi sparare volando su un aggeggio che il più delle volte finiva per prendere fuoco... Credo che cent'anni fa per i contadini del Friuli fu come se si fosse dichiarata guerra ai Marziani..."
A: "Quello che probabilmente veniva da pensare era che in quella guerra tritacarne non ci fosse più posto per l’essere umano… E' stata poi la stessa conclusione a cui nel 1932 giunse Cèline dopo aver visto di là dall’Atlantico gli esordi della catena di montaggio… L’uomo ridotto a ingranaggio, a merce, carne da macello... Basta visitare i musei della guerra di Redipuglia o anche della Marmolada o del Pordoi per vedere le tagliole e le mazze ferrate con cui venivano finiti i feriti sui campi di battaglia... le maschere antigas che dovevano ripararti dal Fosgene col suo ingannevole odore di fieno, che sembrano guardarti come il cavaliere di Guerre Stellari... e i reticolati di filo spinato, che furono collaudati sulle bestie dai cow-boys del Texas, prima di essere usati sugli esseri umani... Pensi che ce n'erano circa trecento tipi..."
Entra un gruppo di persone vestite
in maniera impeccabile, secondo i dettami della moda del perfetto
escursionista. Si sistemano nel tavolo a fianco e l’attenzione di "A" viene
catturata da un signore sulla quarantina dalla gestualità decisa di chi
sembra non avere tempo da perdere, al tempo stesso felice artefice e ignara
vittima di tempi sempre incalzanti. Incuriosito, mi metto anch’io ad
osservarlo con discrezione.
Sento la voce di “A” accompagnare il mio sguardo...
A: "Ha al polso un orologio che sembra un quadrante staccato da un
pannello di controllo di un sommergibile nucleare e poi tempestato di
brillanti sufficienti a far vomitare una fotomodella...
Probabilmente, quella clessidra atomica oltre rivelarti l'ora esatta di Los
Angeles e di Timbuctù, a farti navigare in rete come un pesce, funziona
anche da microonde ed è sicuramente progettata per giorni non di 24 ore ma
di... aspetti un attimo... 1440 minuti.”
Ci scappa una piccola risata e, di comune accordo, dedichiamo un brindisi alla Dea Tecnologia, che ha scalzato gli altri Dei a colpi di, molto tecnologici, calci in culo. Dopo il tintinnio dei calici, indotto dalla interessante e aritmetica considerazione, la conversazione riprende.
L: "Sa una cosa che mi fa
arrabbiare? Che anche dopo Caporetto, il valore dei nostri soldati sia
riconosciuto nei memoriali del nemico con più frequenza che nei rapporti dei
nostri alti comandi.
Mentre Cadorna accusava i suoi di disfattismo, il generale austro-ungarico
Borojevic li difese dicendo che essi avevano ceduto 'perché avevano
sentito venir meno il comando'... Leggere 'Tappe di una disfatta' di
Fritz Weber per rendersene conto... e per capire cosa avvenne sul Piave.”
A: "Che si crede, di fregarmi? Ho una copia della prima edizione, si rassegni... Piuttosto, trovi, se è capace, 'Storia della prima guerra mondiale' di A.J.P. Taylor... imperdibile ma introvabile, a quanto ne so... Io ce l'ho, non si preoccupi. Se non riesce a trovarlo starà senza."
L: "Apprezzo generosità e altruismo, due qualità encomiabili. Quindi sappia che, se per qualche imprevedibile e saggia mossa del destino, dovesse smarrire la sua copia, avrà tutta la comprensione mia e della mia copia."
Le risate sgorgano spontanee come i colpi di fioretto e la conversazione riprende.
A: "Sembriamo Cyrano... 'e alla
fin della licenza, io non perdono e tocco...'. Cosa stavamo dicendo?
Ah,
si... Comunque è vero... c'era più rispetto e considerazione per i nostri
soldati da parte del nemico che non dai nostri comandi... Ricordo un fatto,
riportato anche nello splendido film di Monicelli 'La Grande Guerra':
quando il battaglione Val Cismon, sfuggito alla cattura di Rommel nei pressi
di Longarone, passò per i pascoli di casa sua marciando verso il Grappa, il
comandante dette loro due ore di libertà per salutare le famiglie. Due ore
dopo i ragazzi erano tutti pronti a partire, non ne mancava nessuno. Ha
presente l'ottava elegia di Rilke...?
Ecco, quel fatto me la riporta alla
mente."
L: " ... 'Così viviamo, per dir sempre addio'... termina con queste parole se non ricordo male..."
A: "Corretto. Struggente... Penso che quei ragazzi debbano aver provato esattamente questo..."
L: "Lo penso anch'io... quanta infinita solitudine..."
A: "Partire sapendo di andare a morire... una bella gita, come dicevano Cochi e Renato."
L: "Esatto... Guardi, un fatto che invece ha sempre colpito la mia immaginazione, forse perché legato alla musica, è ciò che avvenne sulla Cengia Martini, sul Piccolo Lagazuoi... La cengia, situata in una posizione impossibile sotto il Piccolo Lagazuoi, viene presa dal battaglione Val Chisone comandato dal generale Martini. I Crucchi..."
A: "Lo sa da dove deriva il termine 'Crucco'?"
L: "A pensarci bene, no..."
A: "Dai croati... Andavano in giro nelle nostre pianure a mendicare pane... Kruh, in croato... Scusi se l’ho interrotta, gentile amico... mi era tornato in mente questo particolare."
L: "Non lo sapevo, lo terrò a
mente... Beh, dicevo, i crucchi, gli austro-ungarici tentano di stanare i
nostri in tutti i modi, con pietre, cannoni, mine... ma niente da fare.
Quelli di sotto li prendono in giro... li sentono urlare 'Mira più giusto!' oppure 'Grazie per averci allargato la cengia' o ancora 'Fritz, metti gli
occhiali!'.
Mi pare nel maggio del '17, nel cuore della notte, arriva
l'esplosione più forte. Quelli di sopra sono sicuri di aver spazzato via gli
italiani, ma dopo un po' sentono, stupefatti, levarsi le note di una
fanfara. E' il comandante che ha chiamato a raccolta i pochi strumenti del
battaglione per intonare 'O tu Austria che sei la più forte / vieni avanti
se hai del coraggio'. Ma il bello è quello che succede a valle. Gli alpini
del battaglione Pieve di Cadore, che si trovavano alla base del canalone
Falzarego, svegliati dal suono della musica, chiedono al comandante che cosa
stia succedendo sul Lagazuoi. E il comandante risponde: 'Sono i vostri
camerati sulla cengia che vi dicono che sono vivi.' Allora nessuno trattiene
più i soldati che in piena notte partono come una fiumana verso la cengia
solo per abbracciare i compagni e unirsi al loro canto. Un testimone
austriaco scrisse: 'Pensavamo di avere a che fare con gente come noi e
invece erano più forti'...”
A: "La cengia Martini... l’ho
percorsa diverse volte... Ascoltando il suo racconto, mi è tornato in mente
un episodio che mi colpì molto quando, durante un corso, feci la via ferrata
che porta a Cima Capi, il cosiddetto spigolo Susatti, a precipizio sul lago
di Garda.
Ricordo che sotto di noi, si vedevano veleggiare minuscoli
surfisti e piccoli traghetti solcavano le acque del lago. Era una splendida
giornata della tarda primavera di diversi anni fa. Bene, quella stessa
salita fu effettuata da un reparto di finanzieri, per conquistarne la cima.
Salirono di notte, nella completa oscurità, sotto una pioggia battente e la
mattina seguente vennero sterminati uno ad uno dai cecchini..."
L: "Potremmo stare qui seduti per
ore in piacevole compagnia a raccontarci tanti altri episodi... Ma, il tempo
è tiranno e, purtroppo, dobbiamo incamminarci sulla via del ritorno. Se non
ha nulla in contrario, mi permetto di aggiungere solo questa... Il San
Michele, in Friuli, è un immenso cimitero di ungheresi. Nel '16 sul terreno
di battaglia, rasato dalle esplosioni, era rimasto in piedi un solo albero,
un gelso. Per gli italiani era solo un punto di riferimento delle
artiglierie... Punta a destra o a sinistra dell'albero isolato, gridavano al
telefono gli ufficiali...
Per gli ungheresi era invece un orgoglioso segno
di appartenenza, carico di significati. Quella pianta pativa e resisteva con
loro, era anche la personificazione dei caduti. Così, quando Cadorna iniziò
lo sfondamento della sesta offensiva, il 46° reggimento degli Honved lo segò
e se lo portò dietro nella ritirata. Imbandierato e decorato con targhe in
bronzo, fu condotto in retrovia, affiancato agli altari nelle messe da campo
e poi, a guerra finita, fu trasferito in un museo in Ungheria dove nel '45
fu nascosto ai russi vincitori. Ho saputo che qualche anno fa, con una
cerimonia commovente, è stato riportato per qualche mese nella terra dove
nacque, in un museo di San Martino. Nella loro lingua, piena di dieresi e
di consonanti, si poteva leggere sul tronco: Sulle pietre di Doberdò è
stato sparso il sangue degli Honved."
A: "E' una bellissima storia di cui avevo sentito parlare solo vagamente... Pensi al valore simbolico dell'albero che risorge... pensi all'albero sacro dei popoli del nord, al totem degli indiani d'America... pensi alla foresta che cammina di Macbeth... forse è proprio per il legame tra rami e radici, cielo e inferi, luce e tenebra..."
Il nostro scombiccherato ma
appassionato colloquio ci ha fatto perder di vista l'ora... Ci accorgiamo che
le sedici sono trascorse da un po' e per tornare alla macchina serviranno ancora
due ore buone. Ci alziamo da tavola per rimetterci in cammino. Iniziamo a scendere sulla
carrareccia che riporta a Bocchetta Campiglia, abbandonando il luogo dove
gli italiani nel '16 bloccarono la Strafexpedition a un soffio dalla
pianura. E lo fecero con forze minime, nonostante Cadorna fosse stato messo
sull'avviso con un certo anticipo. Il generale non aveva voluto ascoltare
nessuno, nemmeno Cesare Battisti che pure era nato su quelle montagne e
aveva notizie precise dal Trentino.
'Il generale – gli fu detto dopo una
lunga anticamera - non ha bisogno del tenente Battisti'. Il tenente
Battisti fu poi fatto prigioniero proprio in questa zona.
Scendiamo per tornanti che sembrano
attorcigliarsi su un purgatorio di anime perse.
La nostra attenzione viene attratta
da urla provenienti oltre la curva che il sentiero opera a pochi metri dal
punto in cui ci troviamo, nascondendo ai nostri occhi il prosieguo del
cammino. “A” sostiene che, superata la curva,
con ogni probabilità ci troveremo di fronte a Tarzan. La speranza è che
oltre a Chita, ci sia anche Jane.
Superata la curva, ci troviamo
invece davanti ad un signore che, emettendo una serie di muggiti e latrati,
sembra intenzionato a provare e a far provare con tutte le sue forze, la
sconvolgente sensazione dell'eco.
A: "Meraviglioso… Questo si che è
interessante... Il signore sembra uscito da un libro di Carver o di Palahniuk, da un film di Altman o da 'Il pensiero selvaggio' di Lèvi
Strauss. Un esemplare raro. Ma non tutto il male viene per
nuocere… Vede, quell'individuo destrutturato, probabilmente con il Q.I. di
un assorbente, ci sta ricordando, del tutto involontariamente, che la guerra
in montagna cambiava di acustica, diventava eco...
Il cannone faceva “Bomborombombom" ... Il cecchino faceva “Ta-pum" ... I colpi rimbombavano tra
le montagne... adesso rimbombano le cazzate, mi perdoni se non mi sono
espresso in Alessandrini. Comunque, il meccanismo dell'eco è il medesimo,
giuro."
Osserviamo il signore con affettuosa perplessità mentre egli continua nella sua esibizione con un’espressione soddisfatta ricamata sul viso. Una signora con due cagnetti assetati si ferma accaldata di fianco all’aspirante tenore, redarguisce le bestiole in dialetto veneto e si dà una sistematina alla messa in piega. Purtroppo non ritiene sia il caso di consigliare il compagno affinché, con una forte respirazione, possa ossigenare i propri neuroni, evidentemente affaticati. Pensoso, mi fermo un attimo, estraggo il termos dallo zaino e mi concedo un sorso di quella che gli inglesi ritengono la soluzione a tutto: un goccio di latte e due zollette di zucchero nell'abisso del tè.
A: "Non mi dica che non sa che il termine cecchino viene da Cecco Beppe..."
L: "No, a dire il vero non lo so... vuole un sorso?" - ammetto.
A: "Dicevano che era il figlio cattivo dell'imperatore... Sparava due o tre colpi al giorno seminando il terrore perché nessuno capiva da dove venissero... Poi anche i nostri hanno imparato il giochino... Si, grazie... sento il sangue che mi si sta coagulando nelle vene... ma non perdiamo troppo tempo... non vedo l’ora di reimmettermi in questo fiume umano di escursionisti tatuati e vocianti che con le tonsille vibranti lanciano jodel e richiami urlati a cagnetti agghindati e assetati... Sembrano grottesche caricature degli antenati dell’uomo. Hanno sostituito la clava con lo smartphone. Il loro principale obiettivo sembra essere la pettinatura, il look o l'evidenziazione dell'ultimo tatuaggio... Si ha l'impressione di trovarsi di fronte a individui che non leggerebbero un libro neppure se li salvasse dalla deportazione... E si ritengono moderni, anticonformisti e liberi... Invece sono decrepiti come i piani quinquennali del PCUS...! Il Titanic affonda e l'orchestrina continua a suonare... Gentile amico, mi perdoni se rimarco ma, come dice il proverbio... La lingua batte dove il Niente duole..."
L: "Dove il Niente duole... Mi ha fatto piacere constatare il suo interesse per la Grande Guerra, la Madre di tutte le guerre..."
A: "Mah... Ne sentivo parlare dai
miei nonni che l'hanno fatta entrambi... ma lo facevano poco e a malavoglia,
forse anche questo ha stimolato la mia curiosità.. Poi, al mio paese, c'è
una statua in bronzo che raffigura un enorme fante che regge la bandiera.
Guardandola, da piccolo, pensavo che i fanti fossero una specie di
giganti... Quando vidi le prime foto della guerra rimasi malissimo... Pensi
che al ritorno non pesavano più di quaranta chili...
e portavano zaini che pesavano
altrettanto. E dopo ore e ore di salite avevano ancora la birra in corpo per
andarsi a scannare con il nemico... incredibili... Poi, quando da bambino, ho
cominciato a passare le vacanze in montagna, durante certe passeggiate mi
capitava di trovare qualche bossolo, nastri arrugginiti da mitragliatrice,
frammenti di cavalli di Frisia, vecchie suole chiodate... Ricordo sul Col di
Lana, sul Cauriol, a Cima Bocche, Tofane... e ho cominciato a chiedermi cosa
fosse mai avvenuto di così misterioso e grande..."
L: "Direi che, per quello che mi riguarda, sia stata la letteratura ad avvicinarmi maggiormente a questo evento... innanzitutto Remarque… Poi il sapere che intellettuali raffinati come Wittgenstein, Gadda stesso, partito volontario, cercarono con ostinazione la prima linea, avendo la convinzione che solo lì avrebbero trovato sé stessi..."
A: "Bell'argomento... Gadda scrisse
che in guerra aveva passato alcune delle ore migliori della sua
vita... scrisse di aver provato ‘una compiuta immedesimazione del mio essere
con la mia idea: questo, anche se la terra trema, si chiama
felicità.'... Sembra incredibile possano essere parole di Gadda... Cèline,
anche lui volontario…
Però leggendo i primi capitoli del 'Viaggio al
termine della notte', si ha una descrizione puntuale, cruda, quasi
chirurgica di ciò che significava trovarsi al fronte. Conseguenza di questa
presa di coscienza, il disincanto e il crollo di ogni entusiasmo che lo
aveva spinto, diciassettenne, ad arruolarsi... Ma, per quello che riguarda la
guerra in generale, volendo dare una sbadilata nel passato remoto, una bella
sorpresa la troviamo nell'Iliade..."
L: "L'Iliade è certo una storia di guerra senza mezze misure... è stata composta per cantare le gesta di un umanità combattente e per farlo in modo da durare in eterno... L'Iliade è un monumento alla guerra... vengono cantati i colpi e le ferite come opere di un artigianato atroce ma sapiente."
A: "Giustissimo. Però ad un certo punto, nel IX libro, c'è una riflessione che tento di ricordare a memoria anche se dubito di riuscirci con esattezza e che recita più o meno così : 'Niente per me vale la vita: non le ricchezze che Ilio possedeva prima della guerra, non i tesori dietro i muri di pietra del tempio di Apollo; si possono rubare buoi e pecore, si possono acquistare tripodi e cavalli dalle folte criniere ma la vita dell'uomo non ritorna indietro; non si può riprenderla quando ha passato la barriera dei denti.' L'ho sempre trovata una splendida riflessione soprattutto sapendo chi l'ha pronunciata... Sembrerebbe detta da Andromaca per quanto c’è di femminile e di lontano dalla guerra... Ma è ancora più sorprendente scoprire che a pronunciarla è stato Achille cioè il sommo sacerdote della religione della guerra. Mica cotiche!"
L: "E' come se volesse lasciarci intravedere un tipo di civiltà di cui i Greci non furono capaci ma che avevano intuito poter essere e che tenevano custodita in un angolo segreto del loro pensiero. Forse l'Iliade ci propone di portare a compimento quell'intuizione... Sembra proporcelo come compito, quasi come dovere..."
A: "Sembrerebbe proprio così... Ma non dimentichiamo che l'Iliade, oltre ad essere una grande enciclopedia, fa qualcosa che per noi può essere quasi intollerabile... canta la bellezza della guerra... e lo fa con una forza e una passione tali che ci costringe a ricordare qualcosa di fastidioso ma vero. Cioè che per millenni la guerra è stata la circostanza in cui l'intensità della vita si sprigionava in tutta la sua potenza e verità. Ecco Gadda, ecco Wittgenstein, ecco Cèline, ecco Hemingway... andare al fronte in una guerra disumana con la convinzione che solo dentro quel fuoco avrebbero trovato sé stessi..."
L: "Nel Poema, i Greci ci mettono
davanti due mondi possibili, uno di fronte all'altro, ognuno con le sue
ragioni.
Più dure, cieche quelle di Ettore, più umane, più moderne quelle di
Andromaca...
Non è stupefacente che una civiltà
maschilista e guerriera come quella dei Greci abbia scelto di tramandare per
sempre la voce delle donne e il loro desiderio di pace?"
A: "Si, è stupefacente, ma quel che forse vuole suggerirci l'Iliade è che nessun pacifismo, oggi, deve dimenticare o negare quella bellezza, come non fosse mai esistita. Dire e insegnare che la guerra è un inferno e basta è solo una inutile e dannosa menzogna. Potrà sembrare atroce, ma è necessario ricordarsi che la guerra è un inferno, ma bello. Da sempre gli uomini ci si buttano come falene attratte dalla luce che le uccide... per questo, il compito di un vero pacifismo dovrebbe essere quello non tanto di demonizzare la guerra, quanto capire che solo quando saremo capaci di un'altra bellezza potremmo fare a meno di quella che la guerra ci offre da sempre. Più che contrastare o contestare, bisogna creare... Riuscire a costruire una bellezza che si sostituisca a quella offerta dalla guerra è forse l'unica strada verso una pace vera. Riuscire a dare luce alla penombra della nostra esistenza senza ricorrere al fuoco della guerra... Riuscire a cambiare il proprio destino senza doversi impadronire di quello di un altro; essere capaci di mettere in movimento il denaro e la ricchezza senza dover ricorrere alla violenza... Ecco, adesso mi sembro Petrolini... Per piacere lei dica “Bravo!” e io "Grazie!". Scusi eh, ma mi son fatto prendere dalla foga... non vorrei mi venisse un ictus… Orsù, beviamo... mi sembra di avere il deserto di Gobi in gola..."
Scoppiamo in una ennesima risata che ci riporta a terra... Scendendo di quota, in questo tratto riparato, il caldo ribadisce la sua presenza, e ci fermiamo a dissetarci.
L: "Chissà se prima o poi, si
riuscirà a portare via Achille dalla guerra... Ma come dice lei, non saranno
certo la paura o l'orrore a riportarlo a casa...
Dovrà essere solo per merito
di una bellezza diversa, più accecante della guerra, ma infinitamente più
mite..."
A: "Ora mi ha fatto ricordare ciò che sosteneva Calvino in uno dei suoi libri migliori, per me, ovviamente... 'Le città invisibili'. Proprio nel finale... quando parla dell'inferno... della pazienza... del ricominciare da capo... Ha presente?"
L: "A dire il vero no... racconti, la prego..."
A: "Raccontare? No… se lo vada a cercare caro amico... c’è più soddisfazione. Per oggi ne abbiamo dette abbastanza... Lo legga... poi mi dirà."
L: "Già, il vero grande problema è
l’ignoranza, non solo quella conclamata, ma soprattutto quella rivendicata…
L’ignoranza sembra non essere più avvertita come un impedimento o un
ostacolo da superare. No, l’ignoranza è diventata un vanto, un tratto di
disinvoltura e spontaneità che distingue da chi 'parla bene' e, se parla
bene, è solo per fottere il popolo… Adesso mi scuserà lei per il
francesismo... Ma per capirlo, del resto, bisogna aver letto un paio di
libri e avere curiosità del passato, magari sollevando la testa
dall’indistinta ciancia internautica che alla lunga inebetisce…"
A: "Gentile signore, la nostra cultura si è alleggerita di libri... eravamo convinti che lì fosse il tesoro della nostra cultura ma oggi non è più così. Un rapporto lungo come quello che si deve intrattenere con un libro sta uscendo dai nostri orizzonti. Conosco insegnanti che quando dicono agli studenti che per un certo esame devono leggersi un determinato libro, si sentono chiedere 'ma, prof. un libro intero?'... Oggi la disponibilità di dati è diventata esponenziale e questo è meraviglioso. E' però una selva in cui pochi sanno districarsi, considerando anche lo stato di impoverimento dei nostri pubblici insegnamenti... Va bene dai, lasciamo andare... ma non mi dica che lei pretende di essere nato in Italia senza volerne pagare le conseguenze...! Ma mi pare di vederla teso e leggermente alterato... la prego, ritrovi il controllo di sé stesso... alla sua età è un attimo capitolare. Faccia un bel respirone e andiamo avanti confidando nella buona sorte e nella comprensione degli dei."
L: "Ha ragione, ma non si preoccupi, mio buon amico... sono sostanzialmente assuefatto a queste considerazioni... e, soprattutto, per il resto, ho le pastiglie con me..."
A: "Saggio e previdente… ne sono
piene le fosse, se può confortarla... Vede, penso che usciamo da un
ventennio al tempo stesso ingenuo e burino, dove mostrare la dentiera alle
telecamere e dire 'Guardate quanto sono figo' pareva bello e giusto... ma,
obiettivamente, e sono d'accordo con lei, sembrerebbe l’ora di finirla...
Per esempio non sarebbe male essere capaci di domare o mitigare (anche
questa è educazione) quei sentimenti viscerali che il web fa sprigionare al
pari dei già citati rutti... Tutto è diventato vasto e confuso…
Una frase
politicamente scorretta, ha un senso se sta nel suo contesto, anche se è una
battuta fra amici…
Se però, si gonfia viralmente, uscendo dall’habitat in
cui è nata, diventa un macigno. Quando i linguaggi si mescolano in modo
improprio, cambiano di senso... Siamo carenti nel comprendere questo...
Certo, le opinioni becere sono sempre esistite, non le hanno create i social-network. Diciamo però che i social-network le hanno rese visibili,
dunque le stimolano… Ma il ragionamento annoia, la sfumatura non seduce...
Se uno dice che aveva ragione Hitler o che tizio è scemo o che le donne sono
tutte mignotte, un minuto dopo sarà la star del social-network..."
L: "Guardi, in Italia, dove impera la venerazione del vincente, niente è meno vincente dell’educazione e delle regole, specie da quando queste sono state declassate, con grande favore popolare, a fastidioso impiccio se non a rancorosa trama degli invidiosi per impedire il successo degli abili e dei disinvolti. Appigliarsi all’educazione e alle regole, in Italia è davvero una debolezza da vecchio signore. Nella migliore delle ipotesi si viene giudicati come patetici uomini d’altri tempi. Nella peggiore uno snob. Nella peggiorissimissima un radical chic".
A Bocchetta Campiglia le auto
all'interno del parcheggio si sono diradate... Alcuni alpini stanno
preparando 'costesine, poenta e fasoi' e ci chiedono se vogliamo
favorire... Gli rispondo che siamo due fanti e un granatiere... Mi risponde
'basta che portei del vin bon...'.
Ricambiamo con un sorriso la loro
cordialità e mi soffermo ancora a pensare a come potevano resistere quei
ragazzi in grigio-verde lassù, al pensiero che oltre al buio, ai fulmini,e
alla pioggia e neve, ci fosse anche un nemico pronto a scannarli. Quanta
infinita miseria.
Il nostro giro è terminato.
Riconosciamo di aver parlato molto e certamente anche a sproposito... ma va
bene così. Tutti conveniamo che è stata un'esperienza piacevole...
A: "Come avevo premesso, speriamo che tra le innumerevoli puttanate sia scappato detto anche qualcosa di buono, che ne dice, degno discepolo di Euterpe...?"
L: "Fossi in lei non ci conterei molto...!"
Il nostro lungo colloquio termina
sorridendo, così come, per un motivo o per l’altro ci è capitato di fare
spesso nel corso della giornata. Ci lasciamo con il proposito di cercare di
ritrovarci su un altro monte, per ritornare a parlare della Grande Guerra,
magari con l'aiuto di Achille, Musil, Moby Dick, Charlie Brown, Saroyan,
Beethoven, Federer e di quanti, in questa occasione, e per loro fortuna,
abbiamo lasciato in pace.
Ovviamente prendendoci sempre alla leggera,
scherzando e cercando di non fare i vecchi tromboni che scuotono la testa
in mezzo a giovani (nemmeno poi tanto giovani) travolti da un mondo
sempre più veloce che tutto insegue e poco o niente sa. Sperando che, nel
frattempo, su qualche cucuzzolo o in qualche spelonca, qualcuno, per conto
suo, stia elaborando i germi di un futuro migliore, ci salutiamo mentre il
giorno volge alla sera e “A” mi dedica quest'ultimo delicato pensiero.
"Le auguro di poter vivere in tempi interessanti, come recita una maledizione cinese..."
Luigi Negri
Pasubio, una domenica d'estate, cent'anni dopo (2° parte)
Milano, estate 2017