Chi trova un amico, a volte, trova un Granello Doro
di Gabriele Villa
Da ragazzotto, tanti anni fa, di fronte al saggio proverbio “chi trova un
amico trova un tesoro” avrei subito pensato al mitico tesoro dell’isola
dei pirati del celebre romanzo di Louis Stevenson che tanto aveva fatto
volare la mia fantasia e arricchito il mio immaginario.
Oggi pensando all’amico del proverbio non penserei mai a monete d’oro,
gioielli, pietre preziose, ma a tutt’altre cose perché l’esperienza di
vita mi ha insegnato ben altri valori, soprattutto quello dell’amicizia
la cui “preziosità” ha tutt’altro metro di misura.
A maggior ragione lo penso immaginando che il proverbio popolare tragga
le sue origini in tempi lontani molto diversi dagli attuali, in una
società prevalentemente contadina e agricola nella quale la preziosità
di un amico si poteva misurare in un aiuto manuale, fisico e ben
tangibile, piuttosto che nella classica “buona parola” quando si è in
difficoltà, o in una generica vicinanza in un momento di difficoltà, la
cosiddetta “ora del bisogno”.
Credo di averlo imparato a Pecol di San Tomaso agordino, negli anni
giovanili, vedendo la gente aiutarsi, nella povertà di mezzi di quegli
anni, con grande spirito di amicizia e l’esempio più evidente era
quando qualcuno doveva andare “a far legne”, cioè andare nel bosco per
portare a casa il legname di spettanza che avrebbe garantito il
combustibile naturale per il riscaldamento nei lunghi mesi invernali.
La vita mi ha dato modo di “ripassare quella lezione” quando, a distanza
di oltre trent’anni, mi sono trovato a recarmi presso una malga di
montagna ad aiutare un amico che, con la sua compagna, aveva lasciato la
città per trasferirsi lassù non solo per lavorare durante i mesi estivi,
ma per viverci tutto il tempo dell’anno.
Era la primavera del 2004 quando Maurizio e Carla lasciarono Ferrara e
se ne andarono a gestire Malga Sorgazza nel Tesino e, giustamente, gli
amici ferraresi si recavano spesso lassù a trovarli, un po’ per
trascorrere una giornata in montagna (la malga è a 1.450 metri di quota)
e anche per dare una mano a far legna perché c’era da garantire il
riscaldamento per l’intero inverno imminente e quello per Maurizio era
diventato l’assillo più importante.
La nostra era una specie di “armata Brancaleone” del bosco, tanta buona
volontà, ma poca esperienza del mestiere. Tuttavia la scorta di legna
era cresciuta, anche se non ancora a sufficienza, e il caso stava
preparando una bella sorpresa al mio amico Maurizio e a Carla nel senso
che stavano per trovare un tesoro sotto forma di un amico “prezioso”.
Per raccontare come sia nata questa amicizia prendo a prestito le parole
di Paola Favero che è andata a sua volta a Malga Sorgazza per conoscere
quella storia e raccontarla, alla sua maniera, in un articolo uscito sul
mensile Alp di dicembre del 2007:
…la porta si apre ed entra un gigante: «Granello Doro!
Come mai quassù?»
Intanto spieghiamo che il soggetto in questione,
assolutamente “local”, è alto un metro e novanta, è forte,
barbuto e si chiama davvero Granello Doro. Ma questo è
niente.
Il nostro Granello è uno dei più bravi e noti boscaioli del
Trentino che, dopo essersi specializzato in Svizzera, è
oggi talmente abile e preparato da essere tra i più richiesti
istruttori di taglio del Nord Italia.
«Ma tu com’è che sei diventato così amico di Carla e
Maurizio?»
«Ben… intanto loro due anche se son di Ferrara sono
proprio simpatici, e poi… come vuoi che facessi, che
lo lasciassi là ad arrangiarsi da solo con la legna e tutto
il resto? Ma se non era neanche bon di tagliarsi giù ‘na
pianta! Cittadini po’… simpatici ma proprio “gnoranti” di
quello che si deve fare in bosco!»
«Così gli hai insegnato a tagliarsi un albero, poi farlo a
pezzi, spaccarlo… insomma, tutto!»
«Beh, non esageriamo… però adesso è quasi un montanaro e
la legna sa farsela da solo… e non è poco.»
È Maurizio che racconta, più avanti, completando il quadro di
come sia nata questa iniziazione.
«Quando siamo entrati un po’ in confidenza mi ha detto: 'Se
vuoi sopravvivere qui, prima devi saper fare il tuo
lavoro e poi devi saper fare il tagliaboschi'. Non ci ho
pensato un attimo e gli ho chiesto di insegnarmi tutto.»
Nelle estati del 2004 e 2005 mi ero recato spesso su alla Sorgazza, unendo
tre piaceri: quello di trascorrere una giornata in montagna, quello di
dare una mano a Maurizio, quello di rinverdire i miei ricordi delle
giornate trascorse “a far legne” con gli zii a Pecol.
Nei primi tempi anche gli attrezzi (“le arte”, come li chiamava mio zio
Mario) erano gli stessi dei tempi di Pecol: la sega per tagliare i
tronchi, i cunei di ferro e la mazza per spaccare i “tocchi” più grossi
e, infine, l’accetta per spaccare quelli più piccoli fino a misura di
stufa.
Man mano che l’amicizia con Doro si consolidava e gli insegnamenti del
“boscaiolo professionale” si travasavano su Maurizio anche
l’attrezzatura di quest’ultimo evolveva e non solo il lavoro diventava
meno artigianale, aumentava pure il diametro delle piante che ci
recavamo ad abbattere nel bosco per poi trasportare i “tocchi” alla
malga.
Mentre lavorava di motosega Maurizio mi parlava di “tacca direzionale”
per far cadere la pianta nella direzione voluta, e notavo che ciò che
diceva prima, in effetti, corrispondeva a ciò che accadeva in seguito.
Intanto le motoseghe erano diventate due perché ne aveva acquistato una
seconda, assai più grande, in quanto la prima, al cospetto di quelle che
avevo visto usare a Doro, sembrava proprio quella dei Puffi.
Succedeva abbastanza di frequente che, durante la giornata, Doro
capitasse su in malga quando non era via per impegni di lavoro e così mi
era pure capitato di assistere ad una di quelle lezioni.
Era successo un giorno che la motosega aveva perso il tagliente della
catena e così Doro aveva approfittato per far vedere a Maurizio come
fare se ciò fosse successo nel bosco dove, ovviamente, non si ha a
disposizione il banco da lavoro e quindi nemmeno una morsa.
Così aveva preso un “tocco” di legno sul quale potersi sedere e ne aveva
tagliato uno lungo circa il triplo posizionandolo di fronte all’altro e
sul quale aveva ricavato un taglio con la motosega in modo che facesse
da morsa alla stessa, infine, l’aveva spenta e, presa la lima, aveva
pazientemente iniziato a rifare il filo al tagliente della catena.
In pratica con il legno stesso aveva ricavato il banco da lavoro e la
morsa, perché, spiegava, «se te capita ‘n tel bosco no l’è che te pòl
tornare a casa a guzàr la motosega».
Maurizio annuiva e lo si vedeva soddisfatto della nuova “lezione”
dell’esperto Doro e questi, soddisfatto dell’attenzione, non si era
fatto sfuggire l’occasione per una battuta e, tenendo la lima come fosse
la bacchetta di un direttore d’orchestra rivolta verso i suoi
orchestrali, aveva concluso:
«Perché la motosega la è come la fèmena, e
se te la gùzi bèn, dopo la rende».
Impossibile non ridere alla battuta, perché anche nel dialetto ferrarese
quel verbo, guzàr, si pronuncia nello stesso identico modo ed ha pure il
medesimo doppio senso sessuale.
Beh, dagli inizi di quell’avventura di vita per Maurizio e Carla, sono
passati sette anni e questo, come aveva saggiamente preconizzato Doro,
perché sapevano fare il loro lavoro di accoglienza e ristorazione e poi
perché Maurizio ha saputo diventare “tagliaboschi” e in questo lo stesso
Doro ha avuto un ruolo fondamentale travasando il suo sapere per puro
spirito di amicizia.
Se oggi dovessi fare un esempio di ciò che vuol dire il detto “chi trova
un amico trova un tesoro” racconterei questa storia e aggiungerei che
nel caso di Maurizio non solo ha trovato un tesoro, ma pure un Granello
Doro.
Gabriele Villa
Chi trova un amico, a volte, trova un Granello Doro
Malga Sorgazza, estate 2011
Ferrara, dicembre 2017
Nota dell'autore. Questo racconto è ripreso dal sito internet
intraisass Borderline, sul quale è stato pubblicato il 26
agosto 2011. Mi è tornato alla mente e ho pensato di proporlo, con un
gran groppo alla gola, per ricordare Doro Granello, che è venuto a mancare
prematuramente nei giorni appena trascorsi.
Era molto amico di Maurizio Caleffi e di Malga Sorgazza, luogo in cui ho
avuto modo di conoscerlo e di apprezzarlo.
Una persona alla quale mi sentivo legato, per
alcune affinità, simpatia spontanea, e anche riconoscenza.