Andando "Fuori Traccia"
alla ricerca del confine tra escursionismo e alpinismo
di Gabriele Villa
Là dove la teoria non può individuare un confine netto
E’ un concetto acquisito che là dove, salendo una montagna, si comincia
a mettere le mani sulla roccia per migliorare il proprio equilibrio,
iniziano le difficoltà alpinistiche, ovvero si sale sul primo gradino di
quella che è la cosiddetta “scala delle difficoltà di arrampicata” che
ne dà la misura.
Appare subito evidente che questa classificazione risente di un
rilevante fattore di soggettività.
Infatti, è possibile che su certi
terreni rocciosi, là dove un principiante è portato ad appoggiare le
mani alla roccia, un esperto possa camminare tenendo una mano in tasca.
Dunque, paradossalmente, potremmo sostenere che il primo è un alpinista,
perchè di fatto sta arrampicando, mentre il secondo è un escursionista
in quanto sta camminando?
Ovviamente no, perché occorre paragonare due persone della stessa
capacità ed esperienza e l’alpinismo comincia là dove un “esperto”
inizia ad appoggiare le mani sulla roccia.
Però questo fattore di soggettività potrebbe farci pensare che il
confine tra escursionismo (inteso come attività di chi cammina in
montagna) e alpinismo (inteso come attività di chi in montagna
arrampica) non sia una precisa linea di demarcazione, ma piuttosto una
fascia (più o meno ampia) in cui le due diverse attività si mescolano e
a volte si possono confondere.
Guardando quella fascia di confine dal punto di vista della
soggettività, è indubbio che, sullo stesso terreno, ciò che a un esperto
appare come una difficoltà escursionistica, a un altro può apparire come
difficoltà alpinistica perchè le sue limitazioni (o incapacità) motorie
gliela fanno apparire tale.
Queste considerazioni non vogliono essere un esercizio accademico e né
interessano come tali.
Interessano piuttosto le conseguenze che ne
possono derivare perché è ovvio che le limitazioni motorie del soggetto
inesperto ne aumentano il rischio e il pericolo quando si muove su
terreno accidentato e disagevole, a maggior ragione se in presenza di
esposizione sul vuoto.
Un’altra importante considerazione sta nel fatto
che l’alpinismo (e le attività che esso contiene) non è uno sport, ma
tutt’altro.
In montagna non ci sono piste con corsie delimitate, non ci
sono giudici di linea né arbitri a segnalare quando si sbaglia, la
montagna è un luogo “aperto”, spesso mutevole in base alle stagioni e
alle condizioni delle sue rocce, della neve e dei suoi ghiacci.
L’alpinismo, così come l’escursionismo, è una libera attività che si
svolge sulle montagne, in uno spazio di libertà dove non ci sono
controlli, per cui può succedere che qualsiasi principiante
possa inoltrarsi (per volontà o anche per errore) su terreni che per lui
presentano difficoltà che possono arrivare perfino a pregiudicarne
sicurezza e incolumità fisica.
L’organizzazione del Club Alpino Italiano ha cercato di fissare e
delimitare ambiti e competenze precise per poter più efficacemente
fornire supporto didattico a chi si iscrive ai vari corsi per imparare
ad andare in sicurezza in montagna.
Ne consegue che le linee di confine
tra le diverse attività sono ben delineate e precisate nei programmi dei
vari corsi e un allievo può impostare il suo percorso di apprendimento
iscrivendosi via via ai corsi di escursionismo di base, per proseguire
con l’avanzato e le vie ferrate, per continuare con il corso di
alpinismo, quello di roccia e integrando con il corso di ghiaccio.
In linea teorica, se avrà la pazienza di seguire il suo
percorso di apprendimento graduale, dovrebbe migliorare le sue
capacità/abilità, cominciando a cumulare l’esperienza utile e necessaria
per sapersi rapportare all’ambiente montano conoscendone i
pericoli per poterli
evitare e/o riuscire ridurli al minimo.
Resta il fatto che, finito il corso cui ha partecipato, l’ex allievo va
poi a svolgere le proprie escursioni in autonomia dovendo lui stesso
definire ambiti e confini della propria attività.
In questo caso diventa fondamentale riuscire a definire i limiti della
propria capacità per mantenersi entro il proprio confine (limite)
personale al fine di evitare rischi.
Questa necessità individuale si scontra spesso con la realtà della
montagna proprio là dove il soggetto si inoltra nella fascia di confine
tra diversi ambiti che, se risultano den definiti nei programmi dei
corsi di vario livello non sono sempre altrettanto ben definiti lungo il
pendio di una montagna, dentro un canalone innevato, lungo una via
normale, su di un ghiacciaio e in tanti altri luoghi in cui
l’appassionato di montagna decide di inoltrarsi.
Diventa allora indispensabile che siano le capacità, l’esperienza e
soprattutto la mentalità dell’istruttore/docente a fare in modo che queste
suddivisioni schematiche della montagna, (stabilite per migliorare la
capacità didattica specifica degli istruttori), non
diventino come un paraocchi nell’allievo/discente perché la
montagna, pur se imparata “a spicchi” e con gradualità, va vista,
compresa e
vissuta nel suo insieme e nella sua multiforme complessità.
Là dove l'esperienza pratica può aiutare a capire come è fatto il
confine
Oramai venticinque anni fa s’iniziavano a svolgere i primi corsi di
alpinismo presso la nostra sezione del CAI di Ferrara e il percorso
didattico/pratico cominciava con un approccio su terreno escursionistico
nel quale però si andavano a inserire “spunti” alpinistici.
Detto più semplicemente, si usciva dai sentieri tracciati e per arrivare,
ad esempio, al rifugio Treviso in Val Canali si partiva dal Cant del Gal
seguendo il letto del torrente in secca, seguendo successivamente il
canalone che scende da sotto Punta della Disperazione e sbuca sul
sentiero proprio nei pressi del rifugio.
Il percorso accidentato, il superamento di ostacoli come
l’attraversamento sui sassi del torrente in presenza di
acqua, o la
scalata di brevi salti di roccia o di sassoni che facevano da ostacolo,
metteva gli allievi nella necessità di imparare movimenti ed equilibri
che sono la base dell’arrampicata su roccia e ciò avveniva senza
attrezzature tecniche, in assenza di vuoto e quindi in rilassata
spontaneità, il che facilitava e stimolava l’apprendimento motorio.
Risultava più facile, nelle uscite successive in palestra di roccia ai
Colli Euganei,
impostare le lezioni di tecnica di arrampicata perché ciò appariva la
conseguenza naturale dell’andare in montagna anche fuori dai
sentieri, e non la proposizione di movimenti che avrebbero potuto
altrimenti apparire fini a se stessi.
Dire, oggi, che quella metodologia didattica sia stata un’intuizione
potrebbe sembrare presuntuoso, ma di certo si può affermare che
produceva ottimi risultati pratici perchè l’approccio graduale,
spontaneo, compreso e condiviso dagli allievi, consentiva a tutti di
migliorare la propria tecnica di movimento, ciascuno in base alle
proprie capacità individuali.
Credo di poter dire che in quel modo la “fascia di confine” tra
escursionismo e alpinismo veniva percorsa e sperimentata, di conseguenza
il confine era percepito come territorio di passaggio, non di
demarcazione di ambiti. e "limite invalicabile". Una
visione tendente quindi ad "allargare" gli orizzonti e non a "delimitarli"
fittiziamente.
Là dove il confine più pericoloso è quello che è dentro noi stessi
Si è sempre detto ed è acclarato che i corsi danno dei forti stimoli
agli allievi che li frequentano ma, se possono fornire una gran quantità
di informazioni didattiche, non possono dare che una minima parte di
esperienza pratica per frequentare in sicurezza un luogo complesso e
potenzialmente insidioso come quello della montagna.
Quella, l'ex allievo la deve acquisire con la pratica personale ed è anche
questo il compito delle attività sezionali, le cosiddette gite sociali,
cioè dare delle occasioni formative pratiche e indirette, mostrando luoghi
nuovi, fornendo stimoli di curiosità su zone montane di particolare
interesse, riuscire cioè a far fare un poco di "tirocinio" per capire
meglio come e cosa fare al fine di riuscire ad arrangiarsi da soli o in
compagnia di amici.
Se poi nella sezione del CAI si formeranno gruppi spontanei le occasioni
di aggregarsi e di avere la possibilità di incrementare la propria
esperienza diretta sarà ancora maggiore e minori i rischi, perchè
i soci più esperti travaseranno, anche solo indirettamente con
l'esempio, la loro esperienza sui compagni meno esperti.
Guardando alla mia conoscenza personale posso dire che tutto questo era
spontaneo e diffuso negli anni '70 e '80, poi con l'aumento progressivo
dei settori di competenza, delle varie figure di Titolati,
delle varie "Commissioni", delle maggiori proposte didattiche, si è andato affievolendo negli anni
successivi, quasi che i confini si fossero radicati dentro le menti
delle persone, e le attività spontanee sono prima regredite e poi sono
state viste come attività poco gradite, se non addirittura "indebite",
quasi rappresentassero una concorrenza alle attività istituzionali e non
invece un'attività complementare arricchente e utile alla vitalità
stessa di una sezione del CAI.
Là dove superare il confine può diventare momento di crescita
Di recente mi sono trovato a condividere un'escursione con alcuni
nuovi amici e, visto il tempo incerto annunciato dalle previsioni
meteorologiche, ho proposto loro una "strana" escursione, proprio
sull'onda del ricordo di un'uscita che si faceva parecchi anni fa con i
primi corsi sezionali di alpinismo: la risalita del canalone Pradidali.
Era un'altra delle uscite "Fuori Traccia" che si facevano all'inizio del
corso per passare dalla fase escursionistica a quella alpinistica, nella
quale si sarebbe andati ai Colli Euganei ad apprendere le tecniche di
arrampicata.
Tra i massi scomposti del canalone, risalendo pendii detritici, a volte
aggirando, altre superando direttamente dei sassoni più o meno grandi,
gli istruttori avevano modo di introdurre i primi rudimenti dei
movimenti di arrampicata.
Ovviamente nulla di tutto questo ho fatto nell'escursione attuale,
lasciando fare ad ognuno le proprie valutazioni, osservando come si
aiutavano l'un l'altro, si consigliavano e sperimentavano i movimenti.
Siamo saliti nella nebbia della brutta giornata autunnale, era il
primo di novembre, per quasi due ore, ci siamo fermati a mangiare
qualcosa e poi siamo rientrati per lo stesso itinerario scendendo a
ritroso.
"Non siamo andati da nessuna parte", come avevo annunciato loro
prima della partenza, ma alla fine erano soddisfatti, probabilmente
proprio perchè quasi tutti hanno detto che "non abbiamo mai fatto un
percorso del genere". Con quell'esperienza qualcuno aveva
oltrepassato un confine (escursionistico) conosciuto per entrare, forse,
proprio in quella fascia di confine con l'alpinismo la cui ampiezza
dipende dalle rispettive soggettività.
Io sono stato molto contento di quella giornata, anche perchè guardando
loro mi sono rivisto poco più che adolescente impegnato nelle prime
escursioni in montagna, a volte risalendo prati ripidi e scoscesi, altre
volte torrenti o bordi rocciosi di cascate (una volta anche rischiando
la vita) quando trascorrevo le vacanze estive in montagna ed erano i
miei amici del luogo e mio cugino, tutti molto più bravi di me, ad
insegnarmi movimenti o a darmi consigli utili su come muovermi.
Nessuno di loro era istruttore, anzi allora neanche si sapeva che
l'arrampicata si potesse insegnare, eppure a loro devo tantissimo perchè
ho imparato soprattutto la voglia di scoprire, quella di mettermi alla
prova senza strafare, e che la montagna non aveva e non ha confini se
non delineati dalle nostre (in)capacità psico - fisico - motorie.
Nella mia vita alpinistica ho poi avuto la fortuna di diventare
istruttore (e sono passati già trent'anni), ma ho sempre avuto la voglia
e lo stimolo di accompagnare altri in montagna in spirito di amicizia e
condivisione.
Mi piacciono entrambe le cose, anche se sono un po' diverse.
Mentre nell'attività istituzionale il rapporto è tra allievo e
istruttore sulla base di un programma didattico specificato e
concordato; nell'altro è un rapporto di conoscenza che di solito diventa
amicizia, nel quale prevale la condivisione e, se ho la sensazioni di
riuscire, a volte, a dare qualcosa con la mia presenza, non faccio altro
che restituire ciò che ho avuto oramai cinquant'anni fa da quegli amici
che mi accompagnarono adolescente e mi trasmisero il "mal di montagna"
dal quale, con mio sommo piacere, ancora non sono guarito.
A volte, ho come la sensazione che sia proprio andando "Fuori Traccia"
che si può trovare il percorso giusto.
Gabriele Villa
Andando "Fuori Traccia", alla ricerca del confine tra escursionismo e
alpinismo
Ferrara 11 gennaio 2014