Esperienze "fuori traccia" tra rifugio monte Zugna e Val d'Adige

alla ricerca del confine tra escursionismo e alpinismo

di Gabriele Villa
con contributi di Andrea Spettoli, Mirta Schiesaro, Alessandro Zerbini, David Zappaterra, Francesco Lavezzi


Richiamando le esperienze vissute come istruttore ai corsi di alpinismo di oramai oltre venticinque anni or sono, asserivo che sperimentare la “fascia di confine” tra escursionismo e alpinismo faceva si che il confine venisse percepito come territorio di passaggio e non di demarcazione di ambiti e nemmeno come "limite invalicabile", precluso quindi all'escursionista.
Una visione tendente ad "allargare" gli orizzonti e non a "delimitarli" fittiziamente. Infatti, non essendovi in quegli anni i corsi di escursionismo nella proposta didattica della Sezione, gli allievi entravano ai corsi di alpinismo come escursionisti, non solo per migliorare rimanendo tali, bensì per provare ad iniziare un percorso che consentisse loro di diventare, quantomeno, aspiranti alpinisti.
Oggi la proposta didattica è davvero molto più ampia e completa rispetto al passato, ma sorge il dubbio che tutta la settorializzazione così ottenuta, pur migliorando le conoscenze teoriche degli allievi, tenda a favorire il radicarsi di ambiti mentali ben circoscritti che poi diventa difficile superare nei propri percorsi individuali.
Forse ciò è fenomeno più marcato in una realtà di pianura come quella ferrarese, facendo sì che molti inesperti inizino il loro percorso didattico di crescita finendo con l'arenarsi alle soglie dell'alpinismo ed escludendo una pratica della montagna fuori da percorsi conosciuti e sperimentati.
Le mie sono sensazioni e supposizioni tutte da verificare, che però trovano qualche riscontro e conferma quando, in forme di accompagnamento “per amicizia e cortesia”, come sono definite e catalogate certe uscite tra amici, mi trovo ad essere tra gli esperti del gruppo di amici e mi pongo il problema delle responsabilità che ne possono derivare su terreni “di confine” che preludono all'alpinismo pur senza ancora esserlo a pieno titolo.
Personalmente tendo sempre ad incoraggiare la “sperimentazione” della fascia di confine tra escursionismo e alpinismo, andando su quei percorsi che mi piace chiamare “fuori traccia”, nei quali ci si mette alla prova senza avere nella propria mente una categoria di “appartenenza”.

La montagna viene definita anche terreno d'avventura, il che non vuol dire necessariamente sfida del pericolo, ma voglia di andare a vedere anche oltre, là dove finiscono i cartelli indicatori e non tutto è da noi conosciuto.
Potremmo definirlo apprendistato e serve qualcuno che affianchi questo percorso di crescita che non vuol certo escludere l'esperienza fatta nei corsi di vario livello, ma soltanto proseguirla e integrarla.
Quest'opera di affiancamento, spontanea e amicale, la ritengo un bell'esempio di cosa intendo per spirito associazionistico e di condivisione di una passione entusiasmante come quella dell'andare in montagna.


Gli scritti che seguono sono brevi testimonianze spontanee di alcuni amici dopo una di queste uscite, svolta di recente in un fine settimana trascorso nella zona del rifugio Monte Zugna (Rovereto) e alla parete dei Tessari, posta all'inizio della Val d'Adige. Tra di loro c'è chi ha partecipato a corsi di escursionismo, a corsi di alpinismo, chi percorre spesso vie ferrate, chi sta iniziando ad arrampicare in falesia, (e qualche volta anche in montagna) e si allena abitualmente in palestra indoor.

Il racconto (scritto a caldo) di Andrea
Eccomi qua, sono un pochino sotto tono oggi, soffro della fatica e concentrazione/tensione dei due giorni passati in 'ambiente'. Ho, di questi due giorni, un ricordo vivido, mi succede sempre quando vivo un'esperienza emozionante e coinvolgente, poi per un giorno o due la mia memoria mi rimanda continuamente a paesaggi, particolari, discorsi fatti, cose imparate.
Due giorni interi a contatto con corde, moschettoni, nodi, calate in corda doppia, arrampicate su pareti verticali senza l'ausilio rassicurante del cavo d'acciaio, che invece c'è nelle vie ferrate.
E poi sole, vento, polvere, sottobosco fitto e sentieri con franate di sassi instabili, sembravamo un commando di marines... wow!!!, ma armati solo di attenzione, amicizia, amore per la natura ed estasiati da improvvisi paesaggi affioranti dal fitto della vegetazione.
Durante il corso di escursionismo ci hanno insegnato a seguire i sentieri, ad usare la bussola, ad orientare le cartine topografiche, tutte cose molto utili.
Ora che seguo questo amico alpinista di vecchia data (e diversamente giovane), ma energico come un giovanotto di vent'anni, si va per il bosco, si superano spuntoni di roccia, si cercano passaggi tra la fitta vegetazione.
Gabriele, questo è il nome dell'amico, è un avventuriero della miglior specie, di quelli che vanno nella natura perché la amano e la rispettano, il suo solo modo di agire è un continuo insegnamento.

Sveglia sabato alle 5.45 preparativi: zaino, panini per due giorni, alimenti energetici, il bere per non disidratarsi, poi ferraglia, imbrago, felpe, magliette in microfibra, ecc... ecc... una lista infinita.
Ritrovo e partenza alle 7.00. Viaggio tranquillo, arrivo al rifugio poco prima delle dieci, sistemazione delle cosette in camera, due parole col rifugista, in dialetto ferrarese (il rifugio è gestito da una coppia di ferraresi manco a farlo apposta) e poi via subito in zona di allenamento e fino alle diciassette su e giù.

La serata passata nel rifugio sul monte Zugna (Rovereto), è stata un continuo ridere, scherzare, raccontare storie o episodi legati alla montagna o di vita vissuta.
C'era nella combriccola (otto persone che poi domenica sono diventate undici) Michele, un veneto di una simpatia travolgente, che nonostante la stanchezza è riuscito a tenerci svegli fino alle 22.00, poi tutti a nanna.
Domenica mattina sveglia alle sei, colazione, saluti al rifugista e ci siamo spostati in località Tessari (Affi) dove ci sono i primi contrafforti del gruppo del Baldo (almeno credo).
Costituite le coppie di cordata, caricate tutte le corde, e via ai piedi della parete da arrampicare.
La prima parte appare davvero verticale e con pochi appigli, tuttavia la roccia sembra solida e affidabile.
I primi a partire siamo noi, Davide il mio capocordata (un tipo che sembra un armadio, ma buono come il pane) e io.
Aspetto che mi faccia un urlo dalla prima sosta e io parto, intimorito e teso, ma poi trovo il mio ritmo e gli appoggi e gli appigli, anche se avari, che mi permettono di raggiungerlo.
Segue un secondo tiro di corda e un altro tratto, così per quattro volte per un dislivello di circa 120 metri.
In cima strette di mano, pacche sulle spalle, aspettiamo che tutti siano su, poi scendiamo per un sentiero che pare di camminare su delle bilie tanto è franoso ed instabile, ma come Dio vuole scendiamo.
Intanto si sono fatte le 13.30, quindi seduti all'ombra di un albero provvidenziale si consuma un pasto che chiamarlo così è come dire ad una quaglia che è un tacchino.
Tempo meno di un'ora e si ritorna ai piedi della parete per risalirla questa volta solo per un tratto ed affacciarsi su una balconata strapiombante di circa quaranta metri e poi giù una calata in corda doppia dove i piedi appoggiano solo sui primi metri, poi sospesi nel vuoto.
Riprendo a respirare quando sento di nuovo il terreno a contatto con i piedi, però che emozione.
Si è fatto pomeriggio e si torna alle macchine, si ripone tutto e si ritorna, si salutano gli amici... che bello!
Che giornate, che sole, che montagne.
Ma chissenefrega se oggi ho il mal di testa.


Le riflessioni (meditate) di Mirta
1. Il Gruppo. Ho capito che non sempre serve conoscersi per stare bene insieme, basta un comune denominatore per creare un gruppo di amici. Automaticamente ci si “incastra” in un gioco di ruoli non scritti dove ci si riconosce.
Tra noi si è distinto chiaramente “l’esperto” a cui si fa riferimento tutti, “il tecnico” che tra gli inesperti ha captato meglio la tecnica nel muoversi arrampicando, “il fantasioso” che ci mette del suo per sperimentare, “l’audace” che ci prova sempre e comunque, “il titubante” che ha bisogno di essere spronato per capire le proprie potenzialità e “l’inesperto” che si affida un po’ a tutti . Ci siamo trovati tutti diversi ma ci siamo sentiti forse tutti uguali.

2. La Formazione. Avere l’opportunità di ampliare la conoscenza direttamente attraverso la pratica resta per me formativo più di un qualsiasi valido manuale scritto. La mente, a volte, cattura meglio di chiunque “fotocamera” la scena e la didascalia della foto la fanno anche le emozioni di quel momento.

3. L’Ambiente. Per me fa sempre la differenza ed è per questo che non amo le palestre.
Il contatto fisico con la roccia, il terreno, gli odori, l’imprevedibile, sono elementi che attraggono tantissimo, sempre, specialmente se sai che è un ambiente “fuori dagli schemi” o, come suggerisce qualcuno, “fuori traccia”.

4. La Paura. C’è sempre ed è quella che mi tiene attenta in tante circostanze.
Poche volte l’ho provata veramente su di me.
Il botto pesante sul mio casco, il sasso che rimbalza a terra, l’ondata di amaro che arriva in bocca, non la scorderò facilmente, ma non ero sola, il mio sguardo ha cercato istintivamente quello di chi era accanto a me e …. sono ancora io. Sono consapevole, mi dico è andata bene, se solo avessi guardato verso l'alto …
Ma ho continuato la sequenza di manovre per liberare la corda e permettere ai miei compagni di scendere.
Solo quando mi sono allontanata mi sono accorta che l’emozione mi chiudeva la gola.
Sono stata aiutata da chi era vicino ed abbiamo analizzato subito l’evento, ho dato cosi un significato all’accaduto. Per altre circostanze, precedentemente vissute, non è stato così e ancora oggi mi faccio domande e ne ho timore.

5. La Stanchezza. Arriva sempre il momento in cui dico basta, la mente me lo dice prima che lo stabilisca il fisico, salvo poi chiedermi cosa mi sono persa a non aver insistito ancora una volta.
L’ultima calata in doppia me la sono “giocata” per questo motivo.

6. La Serenità. Adoro sia l’inizio che la fine di ogni cosa. Le prime e ultime scene di un film, la prima e ultima pagina di un libro, l’alba e il tramonto di una giornata perché mi trasmettono serenità, pace, pulizia.
Basta poco, poi si ricomincia da capo, tutte le volte.

Questo è il riassunto del “mio week allo Zugna”, rimango in attesa di ricominciare.


Le considerazioni (e le aspettative) di Alessandro
In questa esperienza “fuori traccia” penso sia partito tutto per il verso giusto.
Mi sono piaciute molto le calate di sabato nel bosco.
Quei paretoni strapiombanti invitavano a provare qualche acrobazia, ma nello stesso tempo quella roccia friabile non mi dava molta garanzia.
Essendo una zona di importanza storica forse non sarà possibile attrezzare queste pareti senza avere problemi con le Autorità Forestali, però è più giusto frequentarle così, con rispettoso spirito pionieristico.

La domenica, nella mia prima salita da capo-cordata devo dire che, passata un po' di agitazione dopo i primi metri, mi sono sentito abbastanza tranquillo fino alla fine.
Il dubbio che mi assillava costantemente era il posizionamento delle protezioni: tra friends, nuts e clessidre ho cercato di provare un po' di tutto, chiedendomi sempre: li avrò posizionati bene? terranno?
Ecco, se in un futuro ci fosse l'occasione di esercitarsi con un po' di teoria/pratica su come utilizzare le protezioni penso non sarebbe affatto male.

Il pensiero (scanzonato) di David
Direi che l'unica nota negativa è stata il dover ritornare alla vita quotidiana, che però tutto sommato non è poi così male.
Il nostro week end “fuori traccia” è stato meraviglioso: divertente da arrivare a piangere a furia di ridere soprattutto quando ci siamo trovati a cena e pieno di attività intense e nuove scoperte, al punto da ritornare a casa e sentirsi un po' cambiato.
Che altro dire?
Bella la compagnia e belle le avventure.


Il saluto di Francesco e Susanna (i meno verticali del gruppo)
A me e Susanna è dispiaciuto lasciarvi nel primo pomeriggio e non salutarvi come dio comanda, ma abbiamo visto Michele un po' preoccupato per la salute della moglie a casa e per non costringere Andrea ad un ritorno anticipato (Michele era a bordo con Andrea)
lo abbiamo accompagnato a casa noi (decisamente i meno verticali del gruppo).
Ci dispiace molto del tuo piccolo infortunio e speriamo ti possa rimettere al più presto.
Ricordati solo che se il medico dovesse ordinarti impacchi con la Nutella noi ne abbiamo a iosa (come hai visto).
Un grande abbraccio, un grazie sincero per il fine settimana molto bello, in un bel posto che abbiamo conosciuto grazie a te e trascorso in buonissima compagnia.
 


La riflessione finale di Gabriele
Nessuno ha fatto cenno a numeri per raccontare questa esperienza "fuori traccia", se non per contare le persone che vi hanno partecipato; non ci sono nomi di cime "conquistate", di vie percorse, di difficoltà superate.
Il succo dell'esperienza vissuta, di cui ciascuno ha raccontato le proprie personali sfumature, sta nelle emozioni provate, sospese tra attese, fantasie, timori, slanci, allegria, entusiasmi, soddisfazioni.
Ciascuno di noi ha condito la propria miscela usando dosaggi diversi dei vari ingredienti, in base alla propria esperienza, o anche all'inesperienza, alle aspettative, alla voglia di fare, provare, mettersi in gioco, rinunciare.

Dovessi evidenziare una morale in questa esperienza, la riconoscerei nelle parole sagge e sensibili di Mirta, là dove ha scritto, parlando del gruppo: "Automaticamente ci si 'incastra' in un gioco di ruoli non scritti dove ci si riconosce. Ci siamo trovati tutti diversi, ma ci siamo sentiti forse tutti uguali".
Aggiungerei solo: uguali nella condivisione della passione e nello spirito di amicizia.

Gabriele Villa
Esperienze "fuori traccia" tra rifugio monte Zugna e Val d'Adige
Ferrara, 18 giugno 2014