Storia di un viàz lungo due anni
di Claudio Pra
Ai giorni nostri c’è ancora la possibilità di scoprire un itinerario
ardito e selvaggio sulle conosciutissime Dolomiti, uno di quegli
itinerari che lasciano spazio al buon alpinista-escursionista più che
all’arrampicatore?
Sulla base dell’esperienza che sto per raccontare la risposta è
sorprendentemente affermativa.
Agosto 2013: lasciata la macchina a Toffol, piccola frazione di Selva di
Cadore, dopo una ripidissima ed estenuante salita ho appena imboccato lo
splendido Valon de la Ciaza, che mi porterà alla Forcella de la Ciaza,
valico posto appena sotto la cima del Verdàl.
Pur avendo girato in lungo e in largo il Gruppo del Cernera è la prima
volta che passo di qua.
Dopo poche centinaia di metri, attirato da un ripiano erboso che
sembrerebbe panoramico, decido di abbandonare momentaneamente il mio
itinerario per scattare una fotografia.
Mai avrei immaginato che quella brevissima digressione casuale mi
avrebbe aperto un mondo ...
Arrivato infatti al bel balcone, affacciandomi sul precipizio, noto un
po’ più in basso un sentierino piuttosto marcato che scompare oltre una
rampa. Associo immediatamente quella traccia ai camosci.
La voglia di scendere per capire come prosegue è tanta, ma la
ripidissima ed esposta pala erbosa da affrontare non invoglia a muoversi
di lì. Inizialmente penso di rinunciare, ma il richiamo è più forte e
comincio a studiare come arrivare laggiù, individuando un passaggio che
si dimostra azzeccato.
Mi ritrovo su un’ esile cengetta che contorna la parete, sospesa su un
poco rassicurante canalone.
La supero con prudenza mettendo così piede sulla traccia vista
dall’alto.
Comincio a seguirla, intimorito dall’ambiente e dai salti sottostanti.
Arrivato al termine della rampa la traccia prosegue su terreno non
difficile.
Vado quindi avanti per un centinaio di metri, notando in lontananza un
enorme masso appoggiato alla Cima de la Ciaza. Quel masso l’ho raggiunto
scendendo in esplorazione da Forcella Loschiesuoi solo una settimana
prima! Sarebbe fantastico se la pista che sto seguendo collegasse il
punto dove mi trovo a quel punto.
In questo caso ne verrebbe fuori uno splendido viàz dal Valon de la
Ciaza alla Forcella Loschiesuoi.
Per arrivare lì c’è però ancora parecchia strada da fare e le incognite
non mancano.
Il tracciato va svelato man mano e potrebbe nascondere difficoltà
insormontabili.
Avrei una voglia matta di proseguire, ma decido di tornare indietro.
Oggi ho un altro obiettivo e non ho comunque con me nemmeno una corda,
che potrebbe probabilmente servire.
"Ci torno di sicuro. - mi dico - Un tentativo va sicuramente
fatto".
Dopodiché mi giro tornando sui miei passi.
Nei giorni successivi sono salito più volte a Santa Fosca, frazione di
Selva di Cadore, da dove si può osservare per bene, seppur da lontano,
l’itinerario, cercando con il binocolo il sottile filo di Arianna capace
di unire il punto dove mi ero fermato con quello raggiunto
precedentemente, posto quasi sulla verticale della Cima de la Ciaza.
Ho osservato anche da altri luoghi e da altre angolazioni, ma il
collegamento pareva davvero impossibile, come confermavano anche alcune
fotografie scattate.
A dire il vero anche solo il tratto che avevo fatto pareva assolutamente
impercorribile.
Parlando con Gianluca, un amico appassionato frequentatore ed
esploratore di quelle montagne, sono venuto in seguito a conoscenza che
non solo non c’era niente di relazionato sul quel possibile tracciato,
cosa su cui non nutrivo dubbi, ma che quell’ipotetico viàz sembrava
apparentemente sconosciuto anche a livello locale.
Ero però praticamente certo, nel caso fosse stato possibile passare, che
lo avesse percorso in passato Vittorino Cazzetta, il più grande
esploratore di quei luoghi, uomo schivo ritrovato morto su quelle
montagne nel 1996, che raramente parlava delle sue esplorazioni.
Ad ogni modo decisi di lasciare il progetto in standby, rivolgendo le
mie attenzioni ad un altro possibile itinerario che, partendo da Toffol,
aveva sempre come obiettivo la Forcella Loschiesuoi.
Il percorso pareva certamente più semplice e saltava quel tratto
scabroso e misterioso passando molto più in basso, sfruttando dapprima
la Grande Cengia del Verdàl e del Cernera, che avevo già percorso, e
salendo poi fino all’ingresso della Val Loschiesuoi per quel che da
lontano pareva una stretta ma agevole pala erbosa.
Portando con me alcuni amici zoldani percorsi con soddisfazione quel
tragitto a fine agosto di quell’anno.
L’anno successivo, meteorologicamente parlando, è stato orribile, con
l’inverno che si è protratto fino a giugno e con il maltempo a farla da
padrone per quasi tutti i dodici mesi.
Le possibilità di andare in montagna non sono quindi state moltissime.
In ogni caso continuai a evitare il viàz.
Mi rendevo conto che mi attirava, ma allo stesso tempo mi inquietava e
non trovavo dunque la convinzione necessaria (o il coraggio) di
ritornare, posticipando sempre l’appuntamento.
Tutt’altro meteo nel 2015, che ho però trascorso in gran parte
inseguendo altri obiettivi.
In testa il tarlo continuava ad esserci, ma qualcosa mi teneva lontano.
Un vero peccato considerato che al Gruppo del Cernera avevo dedicato
tanto tempo, ricevendo però in cambio grandissime soddisfazioni. Quel
Viàz sarebbe stata la ciliegina sulla torta. Senza molta convinzione,
dentro me avevo già spostato il tentativo al 2016, quando a settembre
inoltrato è arrivata la svolta.
Salendo in più occasioni a Santa Fosca ho scrutato e fotografato
nuovamente da lontano quel che stava diventando il mio tormento.
Un giorno mi sono accorto che la luce del mattino metteva meglio in
evidenza il possibile itinerario.
Nella successiva ispezione mattutina ho portato con me un binocolo di
grandi dimensioni.
Coltivando anche la passione per il cielo stellato, solitamente lo
indirizzo verso le stelle.
In quell’occasione, anziché le meraviglie dell’universo, speravo mi
svelasse una pista da seguire.
Osservando da più prospettive, il diametro e gli ingrandimenti maggiori
dello strumento mi hanno, in effetti, fornito qualche certezza in più
sulla percorribilità della possibile linea logica che avevo individuato
precedentemente, non chiarendomi però del tutto almeno un paio di grosse
incognite.
Ma tanto è bastato per convincermi finalmente a tentare, incoraggiato
anche da Eva, la mia compagna, che sapeva bene quanto ci tenessi.
In alta montagna però, dopo la metà di settembre, la stagione può
cambiare repentinamente e, infatti, neve e freddo hanno fatto la loro
comparsa.
Lassù su quelle pale, roccette e cenge spesso all’ombra, serve trovare
condizioni ideali, asciutto e ovviamente non ghiacciato. Che peccato,
forse mi ero deciso troppo tardi.
Nei giorni seguenti il caldo è però fortunatamente tornato, concedendomi
la possibilità di fare un tentativo quasi in extremis. Ma perché andarci
da solo?
Si, è vero, non c’è la fila pronta a seguirti in questi casi e non
volevo comunque inguaiare nessuno.
Tutte le valutazioni le avevo fatte io, se mi fossi messo nei guai non
sarebbe stato giusto coinvolgere altre persone. Mi è però venuto in
mente Marco, un amico appassionato dei viàz.
Ne ha percorsi parecchi anche molto difficili, specialmente di Franco
Miotto, il re dei viàz.
Con lui ho condiviso solo un fantastico giro sui solitari Monti del
Sole, ma è una persona con cui si va subito d’accordo. In
quell’occasione gli avevo parlato del mio progetto chiedendogli se fosse
stato interessato a seguirmi. Lui aveva subito risposto
affermativamente.
Ci eravamo quindi dati appuntamento per quando avrei deciso di tentare.
Ma si sa, il tempo passa ed ognuno segue la sua strada e le sue
montagne.
Marco era però la persona giusta e così gli ho inviato un messaggino
telefonico, ricevendo a breve la conferma che il progetto lo
interessava.
Successivamente gli ho anche fatto avere alcune foto dell’itinerario
perché lo valutasse a sua volta, ovviamente con tutti i limiti di un’
immagine presa da lontano. Infine ci siamo accordati sul giorno in cui
andarci.
Il giorno precedente il tentativo sono tornato per l’ennesima volta a
Santa Fosca per accertarmi che sul viàz non ci fosse più neve.
Fortunatamente era così.
Riguardandolo con il binocolo mi sono però riaffiorati un sacco di
dubbi.
La notte ho dormito male, svegliandomi spesso e immaginando difficoltà
di tutti i generi, amplificate dalla preoccupazione. E’ il bello e il
brutto della notte che precede un tentativo importante, il dazio da
pagare, quell’inquietudine che è tempesta di sensazioni e che fa parte
del gioco, che al momento detesti ma poi rimpiangi.
La mattina del 30 settembre, sotto un cielo inaspettatamente nuvoloso,
arrivo a Passo Giau alle 7:10.
Ad attendermi, oltre al freddo (un grado sottozero) c’è Marco.
Lasceremo lì una macchina che ci servirà per rientrare dato che,
arrivati (si spera) a Forcella Loschiesuoi, scenderemo proprio al Giau.
Con la seconda vettura raggiungiamo Toffol da dove partiamo alle 7:35,
transitando in brevissimo tempo per l’adiacente borgo di l’Andria.
Da lì parte una stradina ripidissima che presto si inoltra nel bosco.
Lasciata la strada dopo meno di venti minuti, seguiamo un sentiero
segnato che presto si fa molto faticoso, ma ancora più faticoso è salire
i verticali prati sommitali che ci portano alla base della parete del
Cernera.
A quel punto, transitando per un canalino, raggiungiamo la grande Cengia
del Verdàl e del Cernera e poi imbocchiamo il Valon de la Ciaza,
dirigendoci verso l’inizio del Viàz.
Intanto, dopo un breve miglioramento che aveva aperto larghi squarci
azzurri tra le nubi, il grigiore si riappropria del cielo.
Fortunatamente però non minaccia pioggia, anche se le previsioni meteo
parlavano di una mattinata decisamente migliore.
Ci mettiamo l’imbrago, nel caso durante la traversata dovessimo aver
bisogno di assicurarci o di fare qualche calata e vincendo un po’ di
riluttanza scendiamo la pala erbosa e proseguiamo per la cengetta
sottostante.
I primi duecento metri li conosco bene, poi sarà tutto da esplorare.
Mano a mano che avanziamo prendiamo coraggio.
Il tracciato sembra davvero logico e nemmeno troppo alpinistico.
C’è da stare attenti perché l’esposizione non manca ma, a parte questo,
niente di troppo difficoltoso.
Anche il freddo, pungente nel Valon de la Ciaza, sembra smorzarsi.
Ho però il timore che da un momento all’altro ci si pari davanti una
brutta sorpresa.
Mi pare impossibile che tutto fili via così liscio.
Ed infatti eccola la brutta sorpresa … un passaggio che Marco, dopo aver
brevemente arrampicato per guardare oltre, definisce piuttosto duro ci
chiude la porta in faccia.
La traccia degli ungulati sembra comunque proseguire in quella
direzione.
Un’alternativa, l’unica, è scalare una paretina di roccette miste ad
erba, un po’ esposta ma affrontabile.
Si tratta di salire una decina di metri.
Nessuno però ci assicura che arrivati lassù si possa proseguire.
Salgo io e con grande sollievo mi accorgo che abbiamo trovato la chiave
per aprire la porta, ritrovando appena più in là una traccia. Meno male!
Rinfrancati andiamo avanti rimontando un ghiaione e poi altre roccette.
Sul viàz non abbiamo incontrato finora il minimo segno di passaggio
umano, proprio niente di niente.
Dando un'occhiata più avanti vedo non lontano un importante punto di
riferimento, il grande masso appoggiato alla parete, apparentemente
raggiungibile senza ulteriori grandi difficoltà …
Ma allora siamo
passati!
In breve e senza problemi come previsto, arriviamo al masso.
Da ora in avanti percorreremo una traccia che già conosco e che
probabilmente qualche cacciatore sfrutta scendendo da Forcella
Loschiesuoi.
Qui si può anche giungere per il tracciato alternativo che avevo
affrontato nel 2013.
Il viàz da svelare è finito ma non è certo finito il nostro cammino, che
continuerà in ambiente selvaggio e ostico ancora per un bel po’,
snodandosi sopra l'inquietante Val Loschiesuoi.
Adocchiamo un branco di camosci, non certo i primi, i veri scopritori di
quel magnifico percorso sospeso, che alla nostra vista corrono impauriti
in fila indiana laggiù in basso.
Stando in alto sotto le pareti affrontiamo pendii erbosi scoscesi, la
temuta loppa.
La traccia degli ungulati a tratti è davvero vistosa, tanto da farla
sembrare un vero e proprio sentiero molto battuto. Ormai la Forcella
Loschiesuoi è vicinissima e dopo aver oltrepassato un paio di canalini
rocciosi in breve affrontiamo il ripido pendio che ci permette di
raggiungere il valico, emergendo dallo splendidamente selvaggio ma
opprimente ambiente in cui siamo stati immersi per lungo tempo.
Da quando siamo partiti da Toffol sono passate tre ore e venti minuti ma
per me è come se si concludesse un viaggio, anzi un viàz, durato oltre
due anni ...
Sul versante opposto si aprono vedute rassicuranti verso i pascoli
sottostanti e la strada che da Passo Giau scende a Cortina.
Marco ed io ci diamo soddisfatti la mano ripensando al tracciato
affrontato e alla sua splendida e perfetta logica. Per concludere in
bellezza decidiamo di salire alla Cima Loschiesuoi, che costa solo un
quarto d’ora di ulteriore fatica. Intanto il cielo si apre ed il Sole
che ci attende in vetta sembra volerci premiare.
Il panorama è davvero magnifico ed il the caldo che sorseggiamo è la più
buona bevanda del mondo.
Al momento di apporre le nostre firme sul libro di vetta e scrivere le
classiche due righe, penso che un viàz così bello e importante meriti un
nome.
Chi raggiungerà Cima Loschiesuoi ed aprirà il libro cercando la data del
30 settembre 2015 troverà scritto: Pra Claudio, Marco Schena per “El
Gran viàz del Cernera”.
Concludo chiarendo che non mi interessa il primato della scoperta.
Probabilmente l’itinerario è già stato percorso.
Mi piace invece l’idea di averlo individuato, inseguito e poi affrontato
con gli occhi e la testa dell’esploratore e di averlo svelato a quanti,
leggendo della sua esistenza e seguendo la relazione, lo percorreranno
dopo di noi.
A loro auguro bon viàz …
Claudio Pra
Alleghe (Belluno), settembre 2015
Gran viàz del Cernera
Punto di partenza: Selva di Cadore, frazione Toffol, 1.468 metri
Punto di arrivo: Forcella Loschiesuoi 2.460 metri
Dislivello: 1.000 metri circa
Tempo di salita: 4/5 ore
Difficoltà: EE+; percorso non segnato con passaggi alpinistici
Consigli: itinerario da affrontare con terreno asciutto e buona
visibilità. Non serve particolare attrezzatura anche se la corda
potrebbe aiutare nel caso non ci si sentisse sicuri in alcuni tratti.
Considerazioni: probabilmente il più bell’itinerario del Gruppo Cernera.
Prima percorrenza documentata: Claudio Pra - Marco Schena 30/9/2015
Dal centro della frazioncina di Toffol si raggiunge in brevissimo tempo
il borgo di l’Andria e poco oltre la bella chiesetta di S. Osvaldo si
imbocca una stretta e ripida strada, inizialmente asfaltata, che si
inoltra più avanti nel bosco, giungendo in meno di mezz’ora a una baita.
A fianco di questa, sulla destra (cartello) parte un sentiero segnalato
da lì in avanti con dei bollini rossi. Dopo un primo tratto piuttosto
pianeggiante si riprende decisamente a salire, con la pendenza che si fa
ancora più accentuata una volta fuori dal bosco, nella risalita dei
prati che scendono dal Monte Cernera. Arrivati quasi sotto le rocce,
sempre seguendo i bolli rossi, ci si dirige a sinistra, imboccando un
canalino che sbuca sulla grande cengia che fascia la base del Verdàl e
del Cernera.
Da lì, sempre tenendo d’occhio i bolli, ancora a sinistra e
poi su dritti per ripide zolle erbose, affrontando un brevissimo
passaggio stretto ed esposto. Si fa così ingresso nel grandioso Vallon
della Ciazza, dove a sinistra spicca il Verdàl con le sue tante guglie e
pinnacoli. Seguendo ancora i bolli si sale dritti svoltando poi a destra
in direzione delle pareti che scendono dal Cernera. Senza raggiungerle
si punta verso un alberello isolato sulla destra e poco oltre a un
ripiano erboso oltre il quale si apre il precipizio. In quel punto
inizia il Gran viàz del Cernera.
Si scende la ripida e per niente
rassicurante pala erbosa che dall’alto sembrerebbe impercorribile,
prendendola sulla destra. Scesi di poco, il percorso si fa logico e più
agevole di quel che sembrava. Si rientra quindi a sinistra mettendo
piede su un’ esile cengia. Si contornano le rocce assecondando
obbligatoriamente la cengia, passando ai margini di un orrido canalone e
poi si prosegue risalendo una breve rampa.
In seguito si avanza
lungamente su terreno perlopiù pianeggiante senza incontrare difficoltà,
anche se l’ambiente e in qualche punto l’esposizione può intimorire. Più
avanti si scende brevemente tra degli alberi e appena oltre si incontra
il punto più ostico del viàz. Ci si trova infatti la strada sbarrata da
un passaggio esposto e nemmeno interamente visibile, dato che gira
dietro delle roccette. La soluzione si trova però sopra di noi.
Bisognerà, infatti, salire una paretina di roccette miste ad erba, non
difficile ma esposta, alta una decina di metri circa. Una volta in alto
si troverà lo sbocco sulla destra e con esso nuovamente la traccia.
Appena più avanti si risalgono altre roccette miste a ghiaino tornando
brevemente indietro ma reindirizzandosi a destra appena sopra, quando il
terreno lo permette, passando sulla verticale della Cima della Ciazza.
Si prosegue senza difficoltà puntando verso un grande masso non
distante, posto alla base della parete ed appoggiato alla parete stessa.
Lo si raggiunge rimontando più avanti un breve ma ripido canalino
erboso.
Arrivati al masso si prosegue oltre, incontrando in breve una
stretta rampetta che in discesa porta a un belvedere oltre il quale
sprofonda la Val Loschiesuoi. Si continua a sinistra in piano seguendo
l’evidente traccia, abbandonandola però dove comincia ad alzarsi
ripidamente. Si scende invece con attenzione in diagonale per ripido
terreno erboso, contornando nel punto più in basso delle rocce e
passando sul letto di un ruscello asciutto.
Ci si tiene in seguito alti,
transitando sotto le pareti, continuando a seguire la traccia, con la Forcella Loschiesuoi ormai bene in vista. Più avanti si affronta con
cautela qualche passaggio su roccia per oltrepassare un paio di
canalini. Giunti sotto il pendio finale lo si risale con fatica ma
facilmente, raggiungendo la forcella.
Da lì il contrasto tra il versante
selvaggio da cui siamo sbucati e quello opposto (lato Giau) sarà
impressionante. Per chiudere alla grande è consigliata la salita alla
facile Cima Loschiesuoi. Basteranno una ventina di minuti di ulteriore
fatica, ma si verrà ripagati dallo splendido panorama.