La via attraverso il
padre
di Paolo Cavallanti
Appena la bandiera del rifugio
iniziò ad oscillare nel vento di quell’estate indimenticabile Luisa alzò
gli occhi verso l’enorme seracco sospeso che, immobile e maestoso,
incombeva sopra la sua testa.
Aveva conosciuto Paolo da piccola e, come una cosa del tutto naturale,
erano cresciuti fianco a fianco, compagni di giochi prima e di scuola
poi. Crescendo, si erano persi di vista, immersi ciascuno nella loro
riuscita sociale dopo gli studi universitari, America per Lui e Olanda
per Lei.
Di Paolo ricordava che da piccolo, dopo essersi salvato da un terribile
attacco di polmonite, iniziò a frequentare la montagna dapprima per
scopi terapeutici e poi, visto che il ragazzo era determinato ed amava
la montagna, anche per i primi traguardi alpinistici.
Giovanissimo, visse vicende al di fuori dei confini dell'attività
sportiva, percorrendo in compagnia del padre, anch’esso valido
alpinista, salite di prim’ordine i cui nomi ancora oggi farebbero
impallidire alcuni celebri e blasonati alpinisti.
Più tardi la vita costrinse Paolo ad accelerare i suoi studi in
bioingegneria intraprendendo una carriera estera.
Da allora non si erano più rivisti e Lei, finita la borsa di studio in
Olanda, era rientrata in Italia conservando la passione di sempre:
arrampicare.
In maniera imperscrutabile il destino agisce alle spalle di Noi mortali
e nessuno dei due poteva sapere quale gioco il fato stesse attuando nei
loro confronti quando li aveva portati a rincontrarsi la sera prima nel
rifugio.
Il socio di cordata di Luisa aveva disdetto la sua presenza all’ultimo
ma Lei era salita lo stesso al rifugio perchè voleva allenarsi e perchè
quel posto era anche suo – ricordava ancora con intensità quel loro
ultimo incontro, quel bacio caldo nella fredda brezza di un’estate non
ancora sbocciata dieci anni prima, quasi un dolce arrivederci od un
triste addio prima di partire per i loro diversi destini.
Un gesto silenzioso li fece rincontrare il giorno prima quando Lei si
era distesa, di spalle, nei pressi del rifugio per fotografare il
seracco pensile che incombeva sulla valle in una splendida e tragica
cartolina.
Lui le si era avvicinato per raccogliere il tappo copri-obiettivo della
reflex che le era caduto nel gesto fotografico.
Un temporale di emozioni fu quello che li investì, dieci anni di silenzi
e di eventi furono cancellati in un unico forte, caldo e grande
abbraccio.
Parlarono a lungo, Lei raccontò del fatto che era salita sola nonostante
la disdetta del socio perchè quello era il “loro” rifugio; Lui le
presentò Harry, il suo compagno di cordata, Guida Alpina come Lui in
procinto di tentare la prima salita diretta al seracco centrale, prima
d’ora a nessuna cordata era venuto in mente di salire verso quella
striscia di ghiaccio attraente e repulsiva nel medesimo tempo….
attraente e repulsiva, un po’ come la loro stessa storia.
Paolo nel corso di questi anni aveva attraversato tutti i livelli della
multinazionale per cui lavorava, arrivando fino ai massimi vertici ma
poi, inaspettatamente, si era dimesso per poter frequentare un corso
guide alpine in Colorado per poter vivere di montagna in montagna. Ora
il tempo stava volgendo al peggio e la brezza che aveva preso ad agitare
la bandiera del rifugio aveva preso ad agitare anche l’animo di Luisa.
Lei sapeva bene che il tempo stava velocemente cambiando e che il cielo
si stava coprendo di nuvole grigio-nere dall’aspetto tutt’altro che
innocuo. Luisa conosceva bene quella zona, era salita su molte delle
vette limitrofe in diverse occasioni, in primavera come in inverno, ma
sempre quando il sole splendeva alto nel cielo.
Com’è strana la vita, pensava Paolo sorridendo. Stando agganciato a due
chiodi angolari faceva sicura ad Harry che, incurante dei 90 gradi di
pendenza del muro di ghiaccio sovrastante le loro teste sembrava
danzasse sulle punte dei ramponi. Aveva conosciuto Harry in Alaska
qualche anno addietro ad un meeting di arrampicata sul ghiaccio mentre
era impegnato alla selezione del corso Guide. Di quel periodo ricordava
bene la difficoltà che lo aveva accompagnato fino alla dolorosa scelta
delle dimissioni da Managing Director per l’azienda in cui aveva
lavorato ed era cresciuto sin da quando aveva lasciato l’Italia, le Alpi
e …. Luisa.
Il prestigio del ruolo che ricopriva era arrivato oltreconfine, per Lui
le porte della casa madre, in Giappone si sarebbero aperte a breve,
entrando nel board dei direttori mondiali, un team esclusivo di quattro
persone che avrebbe deciso ed influenzato le scelte dell’economia
mondiale in tema di elettronica ed energia per i prossimi lustri.
“Hi Paolo, give me rope, it’s quite hard!”
Paolo conosceva bene questa espressione… per Harry quite hard equivaleva
ad un tratto molto duro, ma Lui, rude cowboy del Wyoming amava usare un
dolce inglesismo tendente a sdrammatizzare ciò che stava affrontando.
Dopotutto erano impegnati a realizzare una prima salita su un
quattromila alpino ed era logico pensare che, se in molti avevano
rinunciato ad affrontarla, qualche ragione ci dovrebbe essere stata….
“Harry!”
“Yes Paolo?”,
“Ten metres, Ten metres!…”
“Ready, ten fucking metres, ok!”
La corda stava per finire e Paolo avvisava il proprio compagno di
cordata di prepararsi ad attrezzare una sosta dal momento che aveva a
disposizione solo dieci metri di corda ancora. Da quel punto avrebbe
potuto comodamente recuperarlo in sicurezza.
A circa duecento chilometri di distanza, in quel mentre un telefono
suonava.
“Pronto?”
“Ciao Francesco, sono Luisa. Ti ricordi di me...?”
Una breve pausa seguì… Francesco conosceva bene quella voce. Non l’aveva
di certo dimenticata, era solo tanto tempo che non la sentiva. Troppo
tempo.
“Francesco!” - proseguì Luisa….
“Eccomi, sono qua, dimmi!” - rispose l’uomo dall’altre parte della
linea.
“Sono sulla tua via, Francesco, ci stanno provando. Capisci cosa voglio
dire..?”
Un lungo silenzio fece seguito alla conversazione… Francesco aveva
capito in un attimo cosa stava succedendo a circa due ore e mezza di
macchina da casa sua….
Soprattutto aveva capito che Paolo, suo nipote era tornato per chiudere
un conto ancora aperto con il destino.
Nel frattempo Paolo aveva raggiunto Harry che, raggiante di gioia per la
bellezza e la difficoltà del tiro di corda appena superato gli
descriveva le sue emozioni.
“Paolo, thin ice, ghiacchio sottile, beautiful ice!”
Una volta recuperato il materiale per la salita dall’imbragatura di
Harry sarebbe stato il turno di Paolo di ripartire.
Chissà perchè mentre risaliva i primi metri del colouir Perè gli balzò
in testa la melodia di una canzone dei Pink Floyd “The thin ice”: Mama
loves her baby and Daddy loves you too and the sea may look warm to you
babe and the sky may look blue…
Ora il cielo era tutt’altro che blu e proseguendo di questo passo
sarebbe presto cominciato a nevicare, maledetta meteo Italiana pensò,
poco affidabile come il resto del paese che aveva salutato per iniziare
la sua nuova vita diversi anni fa andandosene all’estero.
“Ascoltami bene Luisa, io credo che Paolo non abbia bisogno di nessun
aiuto, viceversa mi avrebbe
chiamato” rispose Francesco, ripresosi dalla lunga pausa telefonica
“Dopotutto sono sempre suo Nonno, non credi?”
Il colouir Perè come era conosciuto era così (tristemente) chiamato in
onore della prima cordata che nel 1971 aveva provato a tentarne la
salita. Uno scivolo di ghiaccio che si incastonava in un corridoio di
granito fino alla vetta, preceduto da uno splendido ghiacciaio pensile.
Nessuna cordata aveva mai più tentato di ripetere tale itinerario da
allora dopo che uno dei due salitori, sopraffatto dalla stanchezza per
le estreme condizioni della salita rese ancora più dure dal brutto tempo
che imperversava sulla montagna era precipitato nel vuoto, trascinando
con sé il compagno.
Il suo cadavere non era mai stato ritrovato.
L’altro alpinista venne salvato appena in tempo dalle squadre di
soccorso accorse anche da vallate limitrofe sul luogo dell’incidente, fu
un’operazione che all’epoca ebbe grande rilevanza sui media e suscitò
anche parecchie critiche.
Ci fu chi parlò di scalata azzardata, di impreparazione, di follia.
Ci fu anche chi, sulla stampa del tempo, arrivò addirittura a negare
l’evidenza.
Riferendosi a quella salita, per molti non venne mai portata a termine,
Francesco era un’imbroglione, un’impostore, un giuda: eppure in quella
salita Francesco aveva perso Luigi, suo compagno di scalata e suo
figlio.
Luigi era il padre di Paolo, allora appena adolescente. Da allora la via
venne chiamata colouir Perè in ricordo di uno dei due primi (presunti)
salitori, il corridoio di ghiaccio attraverso cui passò suo Padre.
“Luisa, mi senti?!”.
“Dimmi Francesco” - rispose Lei.
“Preparo lo zaino e vengo su al rifugio, tanto posso prendere anche la
funivia fino a metà, cosa ne pensi?”.
Luisa pensò a quelle parole a lungo, sapeva che lo zaino era pronto da
tempo e che, soprattutto, niente e nessuno avrebbe impedito a Francesco
di raggiungere il rifugio.
“Va bene, ma stai attento perchè il tempo sta cambiando…!” - proprio
come allora, pensò, ma non glielo disse.
Non ebbe il coraggio di dirglielo.
“Ok, allora a tra poco!”
La scalata intanto proseguiva, oramai il nevischio aveva ceduto il passo
ad un vigoroso temporale estivo.
Nonostante le difficoltà tecniche e meteorologiche i due amici si
alternavano nella salita riconoscendo ed elogiando coloro che, prima di
loro, si erano avvicendati in quel budello di ghiaccio.
“Hi Paolo - gridò Harry per rompere il silenzio e la tensione che si era
venuta a creare in quel momento. - “I think that your parents were great
climbers!!”.
“Grazie, thanks. - rispose Paolo - Sono certo che se esco sano e salvo
di qua telefono a mio nonno e gliele dico quattro…!!! Altro che
difficoltà severe, qua siamo su un altro pianeta, on another planet!” e
si mise a ridere.
Era praticamente arrivato fino al punto in cui suo nonno aveva descritto
con lucidità nelle relazioni di allora la salita, dopodiché il vuoto
della memoria che la caduta gli aveva provocato non gli aveva permesso
di aggiungere altri dettagli, fornendo così un alibi ai detrattori di
tale impresa.
In cuor suo Paolo sapeva che suo Padre e suo Nonno ce l’avevano fatta,
ma il peso di tale certezza non l’aveva mai abbandonato.
Aveva perso il Padre nel periodo in cui ogni giovane uomo sente la
necessità di avere un riferimento, una guida.
Paolo aveva solo un ricordo, indelebile, di Lui.
Dopo la morte di Luigi, suo nonno Francesco si era rifugiato in un
grigio silenzio, aveva staccato dalle pareti di casa sua tutti i ricordi
di montagna, le foto, i quadri.
Tutto ciò che apparteneva alla montagna era finito in cantina.
Francesco cadde in una profonda depressione, quasi nella sua vita non ci
fossero mai stati momenti felici.
“Ma che cazzo!” - esclamo Paolo all’improvviso riprendendosi dai
ricordi.
Sulla sua destra, poco sopra la sua testa, alla fine delle difficoltà
c’era un chiodo da roccia infisso nelle pieghe del granito. Provò a
muovere quel chiodo, niente da fare, era proprio stato martellato a
dovere, chi lo aveva messo conosceva bene il fatto suo.
Suo Padre Luigi sapeva piantarli bene i chiodi da roccia, non ne aveva
mai dubitato.
“Ciao Luisa, sembra che gli anni per Te non passino, eh?!”.
Un signore anziano, dal fisico tonico e dallo sguardo di chi ha vissuto
diverse vite nella stessa si pose al fianco di Luisa, sulla balconata
del rifugio.
Lo zaino datato denotava una frequentazione della montagna lontano dagli
attuali canoni estetici, ciononostante a nessuno dei presenti in quel
momento venne in mente di apostrofare quel vecchio come un nostalgico.
Sapevano tutti chi fosse.
“Francesco sei tu che non invecchi…” - rispose Luisa, raggiante per la
presenza di Francesco al suo fianco.
“Hai notizie di mio nipote ?” - domandò l’uomo, con un tono di voce tra
il preoccupato e il curioso.
“Purtroppo non mi è stato possibile seguirli con il teleobiettivo sin
lassù… sai prima ha fatto una brutta bufera…. - esitò - Non credo che
comunque abbiano avuto problemi, salivano veloci, avresti dovuto
vederli...”.
Nella mente di Francesco era tutto un balenare di ricordi, una serie di
eventi, di fotografie di flashback stavano materializzandosi dentro la
sua testa in un attimo.
Si sedette.
“Non stai bene?” - domando’ dolcemente Luisa.
“Tutto a posto, ho solo bisogno di bere qualcosa, ….credo…”.
Dentro il rifugio era un viavai di turisti alla ricerca di un posto dove
sedersi a bere un the caldo, di alpinisti che si cambiavano gli
indumenti inzuppati dal temporale appena passato, di persone che
discutevano sui benefici dell’alcool ad alta quota.
Francesco e Luisa si sistemarono vicino alla finestra, da lì avrebbero
goduto della vista del ghiacciaio e della pista del rientro degli
scalatori provenienti dalla vetta.
Francesco prese le mani di Luisa e le avvolse con le sue.
Era un gesto che gli aveva visto fare mille volte, anni addietro, con
Paolo. Le mani del Nonno davano forza, sicurezza e calore. In quel
momento le mani del Nonno stavano però dicendo qualcosa che le parole
non potrebbero esprimere: stavano ringraziando. Luisa spiegò la
difficoltà che l’aveva attraversata prima di fare la telefonata, Lei
stessa non era sicura se fosse stata una buona idea. Ora ne aveva le
prove che lo era.
Come le ombre del tramonto, che si allungano quasi a voler prolungare la
loro esistenza, anche i raggi del sole stavano allungandosi nel cielo
prima di scomparire dietro la cresta della montagna, preparando così
l’arrivo della sera. Francesco, stanco per la giornata e per la quota
non notò improvvisamente il guizzo negli occhi di Luisa.
Da lì a poco una mano amica si posò sul tavolo esibendo un chiodo da
roccia di colore arancione sbiadito dal tempo recante inciso le iniziali
F.L.
“Nonno, penso che questo chiodo sia tuo…. Complimenti per la salita!”
Erano Paolo ed Harry, visibilmente stanchi ma felici, che avevano
recuperato il chiodo lasciato da suo Padre in prossimità della vetta.
Quel chiodo era il suo chiodo, lo riconobbe.
Senza aggiungere altro abbracciò prima Harry, che non capiva, poi
abbracciò Luisa, anch’essa perplessa.
Quasi ad aver compreso tutto, Paolo si godette il cerimoniale degli
abbracci.
Poi fu la sua volta.
“Bentornato Nonno” - gli disse, stringendolo forte a sé.
Per la prima volta dopo anni Francesco fece una cosa nuova, pianse di
gioia.
Voltandosi verso gli ultimi raggi di sole che facevano capolino sul
ghiacciaio, Paolo e Francesco sentirono di non essere soli, da qualche
parte là fuori anche Luigi li stava abbracciando.
Il chiodo era ritornato al legittimo proprietario.
Paolo Cavallanti
Codogno (Lodi), novembre 2011