Cinque giorni, un Corso ghiaccio, il XII del CAI Piacenza
di Gabriele Villa
"Anche quest'anno si fa il corso ghiaccio. Abbiamo alcune richieste."
- mi aveva detto a bruciapelo Lucio Calderone, l'ultima volta che ci
eravamo visti, a Piacenza, ad una lezione teorica del corso di alpinismo.
"Ci sarò. - avevo risposto altrettanto in fretta - Vengo anche
se non ti servo come istruttore."
Inizialmente sembrava proprio che fosse così, poi i possibili allievi da
quattro sono diventati sette e gli istruttori, per contro, erano calati
a due e quindi ... eccomi al XII Corso ghiaccio nelle vesti "ufficiali"
di istruttore.
Domenica 30 giugno 2013
Appuntamento a Piacenza alle dieci del mattino, perchè la scelta è stata
di fare il viaggio tutti assieme e non stare a speculare su qualche decina
di chilometri di autostrada in meno da fare.
Il tempo che arrivino tutti, poi si caricano i bagagli e si parte: tre
auto in carovana verso Milano, per proseguire verso Lecco, infine
raggiungere Sondrio e da qui infilare la Valmalenco per arrivare ai
1.600 metri di Chiareggio.
Il parcheggio è nel prato dietro casa Lenatti (la famiglia che gestisce
il rifugio Alpe Ventina, il nostro campo base per tutta la settimana) e
qui arriverà anche la quarta auto a completare il gruppo di dieci,
(sette allievi e tre istruttori) che compone il XII Corso ghiaccio
organizzato dalla Scuola di alpinismo "Bruno Dodi" di Piacenza.
Prepariamo lo zaino e i bagagli con il necessario per il primo giorno di
corso che, poco più tardi, arriverà il gestore a caricare sul Quad e
trasferire al rifugio; il rimanente arriverà su lunedì in giornata con
un secondo viaggio. E' una comodità molto gradita a noi che così
possiamo salire al rifugio con uno zaino leggero, compiendo una prima
passeggiata che in poco meno di un'ora ci porterà ai 1.965 metri della
Val Ventina.
Quando il gruppo passa sul ponte del torrente Mallero che scorre lungo
tutta la Valmalenco prima di confluire nell'Adda a fondo valle, lo
immagino come un confine tra la vita di tutti i giorni e una parentesi
da vivere tra le montagne, un vero e proprio stacco con la quotidianità
che, nonostante gli impegni del corso, sarà una vera e propria vacanza,
ancora di più sottolineata dall'assenza di campo (quasi totale) per il
telefono cellulare.
La prima cena al rifugio è un autentico benvenuto: pizzoccheri della
Valtellina, roast beef con patate fritte e insalata verde e il gelato
che, almeno per me, in un rifugio mi appare come una vera e propria
libidine. Alle ventidue mi si chiudono gli occhi e, anche se la
colazione domani sarà alle sette e trenta, sto tranquillo, pensando che
almeno otto ore di sonno ristoratore non me le può togliere nessuno.
Lunedì 1 luglio 2013
L'anno scorso il meteo ci aveva fatto tribolare con piogge quasi tutti i
giorni, quest'anno promette di essere più generoso e la prima giornata
ne annuncia le buone intenzioni così, alle otto e dieci minuti, si parte
dal rifugio.
Il "tributo" da pagare sarà, ogni giorno, una camminata di un'ora con lo
zaino in spalla, nell'ambiente tipico della morena (cioè una miriade di
sassi di ogni forma e dimensione), da risalire per raggiungere la fronte
del ghiacciaio, dove ci si imbragherà, si calzeranno i ramponi e si
impugneranno le piccozze per andare più in alto a raggiungere il terreno
più adatto (neve o ghiaccio) per svolgere il programma didattico
previsto di volta in volta.
La
prima giornata inizia con lo studio dei passi tipici della progressione
su ghiaccio: passo incrociato e passo misto.
Le prime esecuzioni risultano molto meccaniche e si cerca di far
memorizzare la sequenza dei movimenti da fare in un ordine ben preciso,
poi si spiegano i vantaggi di un passo piuttosto dell'altro a seconda
della ripidità del pendio di ghiaccio e man mano si cerca di "affinare"
correggendo la posizione dei piedi durante l'esecuzione.
Lucio si prodiga con la consueta pignoleria a dare questa prima corretta
impostazione di cui forse gli allievi non comprendono l'insistenza ma,
come gli viene spiegato subito, sarà sui pendii più ripidi di ghiaccio
che ne capiranno l'importanza.
Segue la discesa faccia a valle e la mancanza di ripidità aiuta a
prendere confidenza con i ramponi il che non è male per chi ha come
esperienza la sola didattica
svolta nelle uscite del corso di alpinismo terminato da nemmeno un mese.
Esaurito questo primo approccio si procede verso l'alto a raggiungere un
campo di neve sufficientemente ripido per fare la conoscenza e curare
l'approfondimento di tutte le sicurezze che si possono realizzare sulla
neve, la cui consistenza è davvero ottimale. Si comincia con la
conoscenza del corpo morto, dei fittoni angolari e tubolari per passare
alla sosta su piccozza verticale, poi si passa alla sosta su piccozza
sepolta, infine si fa un po' di accademia con la realizzazione di un
ancoraggio ottenuto seppellendo nella neve il capo di una corda con
alcune spire annodate tra loro: ovviamente la cosa fa parte delle
manovre di emergenza ma è anche vero che se non le si prova non si
capisce fino a che punto e in che misura ci si potrà fidare.
Dopo queste assicurazioni "fisse" si prova un sistema di assicurazione mobile facendo delle prove di progressione in conserva a "corda corta", tenendo conto che è valido solo su neve non troppo ripida per trattenere la scivolata di un inesperto (che cammina davanti) da parte di un esperto che procede cinque metri dietro con alcune spire di corda trattenute nella mano; sistema usato dalle guide con clienti.
Le prove si concludono con una "tavola rotonda in piedi" in cui si fanno
le considerazioni su quanto visto fino al momento, dopo di che si passa
alla pausa pranzo su alcuni vicini massi affioranti dal pendio innevato.
Appena consumato il pasto frugale si ritorna al pendio dove abbiamo
lasciato corde ed attrezzature e riprendiamo il programma che prevede le
corde doppie, prima su due piccozze con recupero delle stesse e poi con
il fungo di neve. Sono, anche queste, manovre non usuali e nemmeno
frequenti ma da conoscere per poter uscire da certe situazioni
impreviste che sempre si possono verificare nelle uscite su ghiaccio e
neve.
Quello del recupero delle piccozze dopo la calata in corda doppia sembra
un complicato gioco di leveraggi e contrappesi la prima volta che lo si
vede, poi lo si prova e si scopre che funziona e ci si immagina a farlo
sul bordo di una crepaccia terminale e si pensa che non ci si sentirebbe
così tranquilli come durante la prova.
Diverso invece il fungo di neve perchè si scopre che con la neve giusta, e
fatto correttamente, garantisce una sicurezza eccellente e a quello ci
si affiderebbe a cuor leggero anche sul bordo di una alta crepaccia.
Il segreto è quindi conoscere le manovre, averle sperimentate e saper
valutare la tenuta complessiva in base alla consistenza della neve: le
prime si imparano al corso, il resto è affidato all'esperienza e
capacità personale ma è evidente che senza la prima fase di conoscenza
sarebbe
molto più rischioso procedere nell'esperienza personale.
Dopo le quindici terminiamo la giornata didattica e iniziamo a scendere
fino alla morena ma prima di puntare al rifugio non resistiamo alla
tentazione di ispezionare la grotta di ghiaccio che si apre nella
fronte, andando a scoprire la levigata pancia della massa ghiacciata,
non senza provare un certo brivido.
Martedì 2 luglio 2013
Anche oggi colazione alle sette e trenta e partenza alle otto, tutti
puntualissimi; ci attende la quotidiana "passeggiata" a risalire la
morena e gli zaini sono più carichi di ieri: abbiamo aggiunto i rinvii,
qualche moschettone supplementare e, soprattutto, le viti da ghiaccio.
Arrivati in vista della fronte ci imbraghiamo, si formano tre cordate
perchè oggi saliremo in centro al pendio e andremo più in alto fino alla
zona dei seracchi, sicché ci si può aspettare qualche
crepaccio: i ragazzi, freschi di corso di alpinismo, non hanno bisogno
di aiuto e preparano in autonomia la corda, i nodi a palla, il
cordino prusik per l'emergenza con asola e contro asola. Non mi rimane
che legarmi in coda alla cordata.
La giornata è bella, non fa troppo caldo e la neve conserva una buona
consistenza, sicché è un piacere salire regolari fino a raggiungere il
luogo prescelto per la didattica dove stabiliamo il campo base di
giornata.
Emanuele va subito sopra il ripido pendio di ghiaccio prescelto a
predisporre due punti di sosta a cui fissare le corde per fare sicura
agli allievi che nel frattempo iniziano la didattica sotto le direttive
di Lucio.
Si parte dallo scavo dei gradini nel ghiaccio e per rendere più
veritiera la simulazione ognuno si toglie un rampone, come se fosse in
arrampicata su ghiaccio e lo avesse perduto. Prima dell'avvento dei
ramponi era tecnica abituale scavare i gradini per la progressione
mentre oggi rientra nel novero delle situazioni di emergenza.
Intanto le due corde sono pronte e si inizia la progressione sul ripido
senza la piccozza, sia in salita che in discesa, passaggio fondamentale
per consentire la presa di confidenza con i ramponi e aumentare la
sicurezza personale.
Ogni allievo fa due ripetizioni ottenendo risultati assai diversi in
base alla tecnica individuale e anche alla qualità degli scarponi che
non tutti hanno adatti alla bisogna, ma c'è da dire che si vede comunque
il miglioramento della fiducia negli attrezzi, anche grazie al ghiaccio
che non è propriamente adamantino.
Si procede con la progressione con una piccozza e scavo della tacca
(acquasantiera) per la mano senza piccozza.
Sembrano sciocchezze ma non lo sono poi così tanto o, per meglio dire,
lo sembrano dopo che le si sono imparate e diventano bagaglio di
esperienza per affrontare le diverse e impreviste situazioni che si
possono incontrare in una escursione su ghiacciaio. La mattina di lavoro
si conclude con l'infissione delle viti da ghiaccio e la preparazione di
una sosta con il classico triangolo prima di passare ai ... panini con
pancetta, pane e formaggio.
Dopo un'ora siamo di nuovo in azione per prima cosa guardando l'effetto
sui chiodi di sosta rimasti infissi e potendo notare che quasi tutti
"ballano" dentro al ghiaccio per effetto dell'assorbimento del calore
del sole da parte del metallo delle viti che tende a far scogliere il
ghiaccio intorno. Una cosa che non tutti conoscono ma che bisogna sapere
per memorizzare il concetto che le viti da ghiaccio sono una sicurezza
"a tempo" e ricordare che si può "ritardare" l'effetto ricoprendo con
alcune manciate di neve la testa della vite che sporge dal ghiaccio.
La didattica prosegue con la corda doppia e recupero della vite da
ghiaccio, una specie di "giochino" cui ricorrere in caso di rientri di
fortuna, abbastanza sicuro se lo si applica con accuratezza e
precisione.
Concludiamo, infine, con l'illustrazione della progressione su ghiaccio
in "conserva lunga" e utilizzo del Magic Ring, un dischetto di plastica,
una delle "invenzioni" di Lucio, tanto semplice quanto utile.
A
pomeriggio oramai inoltrato si scende il ghiacciaio fino alla fronte, si
ripone tutto nello zaino e ci si incammina verso la piana verde di valle
Ventina.
Riusciamo anche a vedere l'origine dei numerosi rumori che abbiamo
sentito durante tutta la giornata, cioè i continui rotolamenti di frane
di sassi lungo il bordo alto della morena.
Si tratta di una placca di ghiaccio che sotto gli influssi del sole
mette in movimento lo strato di sassi soprastante, il che spiega anche,
senza bisogno di parole, perchè la traccia del sentiero si tiene
esattamente al centro della morena, là dove nulla si muove né può
arrivare rotolando dall'alto.
Al rifugio rimane pure un poco di tempo per rilassarsi; chi si concede
una birra, chi punta su un the caldo, chi predilige uno spritz... si fa
qualche chiacchiera, ci si scambiano le impressioni sull'intensa
giornata, ci si gode lo spettacolo della montagna intorno perchè, in
fondo, questa è anche un po' vacanza.
Seguirà una doccia calda e la cena che merita una citazione:
un ottimo risotto con i funghi, a seguire uno stinco con insalata verde
e fagiolini, a proseguire del formaggio a concludere un gelato con
"doccia" di grappa.
E stasera si può indugiare a chiacchierare un poco di più, tirando le
ventidue e trenta, perchè domani sarà giornata di semi riposo e si
rimarrà nei pressi del rifugio a provare le manovre di recupero da
crepaccio e i vari paranchi.
Mercoledì 3 luglio 2013
Oggi è una vera pacchia: sveglia alle otto e dieci, colazione alle otto
e trenta.
Le condizioni meteo non sono delle migliori ma ci sta benissimo per
quello che è il programma didattico da svolgere in giornata. Prendiamo
l'indispensabile e ci spostiamo a una roccia nelle vicinanze del
rifugio, appositamente attrezzata alla bisogna, sulla quale prima Lucio
ed Emanuele mostrano la manovra di recupero da crepaccio che a seguire
sarà provata da tutti e poi... vai con l'asola di bloccaggio, la contro
asola, il dispositivo di alleggerimento, la carrucola semplice, lo
spezzone ausiliario, la piastrina gi-gi, i nodi autobloccanti, eccetera,
eccetera.
All'inizio qualche sguardo perplesso, poi la pratica scioglie qualche
dubbio e, fare e vedere altri ri-fare, comincia ad aprire la strada
all'apprendimento della sequenza di cose da eseguire e ne migliora la
manualità.
Intanto il cielo brontola e le prime gocce di pioggia fanno capolino ma è
quasi mezzogiorno e rientrare al rifugio non fa perdere più di mezzora
di prove; l'unica è sperare che il pomeriggio conceda ancora almeno un
paio d'ore.
Abbiamo chiesto un pranzo leggero e nell'attesa ce chi si dà alle parole
crociate e chi studia (o forse sogna?) e chi non rinuncia
all'immancabile computer, mescolandosi con il più classico lettore di
libri.
Il pranzo si rivela molto meno frugale di quanto era stato richiesto ma
per fortuna verso le quattro del pomeriggio smette di piovere ed eccoci
prontamente ritornare alla roccia per una seconda razione di manovre e
paranchi.
Non sarà sufficiente a smaltire il carico di cibo ingurgitato a pranzo
ma almeno le manovre con i ripassi, prima teorici (al rifugio) e
poi pratici (alla roccia) sono stati memorizzati e venerdì lo si potrà
verificare quando il crepaccio ci sarà davvero e ogni cordata dovrà
provvedere in proprio al recupero del compagno.
Giovedì 4 luglio 2013
Torna il bel tempo e ritorna pure la colazione alle sette e trenta e la
partenza alle otto, la risalita della morena fino alla fronte e ancora la
legatura in cordata per risalire il ghiacciaio fino a riportarci nella
stessa zona "didattica" utilizzata due giorni prima, su cui rimane da
provare la traversata con una piccozza e scavo della tacca.
E' una tecnica a cui si può ricorrere per superare brevi tratti ripidi
ghiacciati avendo un solo attrezzo.
Poi ci si torna a legare in cordata, stavolta per provare
la progressione in "conserva lunga" nella quale i due alpinisti si muovono
insieme facendo attenzione che uno, scivolando, non trascini l'altro, anche
con l'uso del Magic Ring.
La progressione risulta un poco rallentata ma è sicura (nel nostro caso a
maggior ragione perchè è la prima volta che gli allievi la provano e le cose
da memorizzare sono tutte nuove); così raggiungiamo la zona dei seracchi e
la paretina ancora più ripida sulla quale sarà provata la progressione con
le due piccozze.
Si comincerà con una corda doppia perchè la paretina da salire è ... sotto
di noi, ma prima ci concediamo la pausa pranzo (spartana, come sempre) e via
di panini con la pancetta, e fette di buon formaggio valtellinese.
La progressione con due piccozze è un momento molto atteso dagli allievi, vuoi
perchè le piccozze da cascata sono una novità, vuoi perchè la ripidità della
parete stimola parecchio.
Le varie tecniche di progressione vengono prima spiegate e poi dimostrate,
infine... tutti si scatenano.
Il ghiaccio abbastanza arrendevole aiuta gli allievi a
trovare sicurezza e, nonostante qualche calzatura non proprio ottimale,
tutti se la cavano bene salendo e scendendo la paretina ghiacciata più
volte.
La giornata non è stata delle più calde, anche perchè in zona seracchi c'è
sempre una brezza fredda che lambisce il pendio e scende verso valle, sicché
la giacca non è finita nello zaino ma è rimasta sempre indossata.
Ce la toglieremo soltanto una volta discesi alla morena per iniziare il
rientro al rifugio, con il pensiero al fine settimana oramai incombente e a
quanto stiano volando via i giorni di questo corso ghiaccio.
Venerdì 5 luglio 2013
Oggi
la giornata inizia di velluto perchè la colazione è fissata per le otto in
quanto il nostro avvicinamento sarà più corto del solito; infatti, abbiamo
deciso di fermarci a fare le prove di recupero da crepaccio giusto alla
fronte del ghiacciaio, esattamente sopra l'imbocco della grande grotta da
cui escono le acque di fusione.
Anche la camminata di avvicinamento è più tranquilla, sembra di respirare
aria da "ultimo giorno di scuola" e ogni tanto ci si ferma a chiacchierare e
pure a costruire un ometto di sassi. Già ce ne sono tanti di ometti perchè
sono quelli che aiutano a non perdere la traccia che cambia ogni anno perchè
la zona della morena è molto tormentata e cambia in base alle condizioni di
innevamento, al lavorio del torrente che scorre abbastanza impetuoso e
costringe spesso a dei guadi che sono vere e proprie esercitazioni di
equilibrio. I rari segni fatti con la vernice si trovano soltanto sui
massoni più grandi che già di per sé diventano dei riferimenti, unitamente
alle tracce di passaggio, da non confondere però con quelle che sono state
abbandonate per le mutate condizioni dell'ambiente morenico.
Arriviamo alla fronte e non c'è oramai più bisogno di dire nulla: tutti si
imbragano, predispongono il materiale, calzano i ramponi e sono pronti,
piccozza alla mano. Segue un breve conciliabolo degli istruttori per la
scelta del punto più favorevole a compiere l'esercitazione, ci si cala per
effettuare la verifica che tutto sia a posto e poi si può già cominciare,
ovviamente con un punto di sosta per fare sicura ... a chi farà sicura.
La manovra è stata provata più volte mercoledì al sassone
vicino al rifugio, poi si sa che quando la simulazione è più veritiera
scatta una specie di immedesimazione che fa aumentare la tensione e,
soprattutto c'è la consapevolezza che un errore non si deve fare perchè è
come fosse una prova d'esame finale del corso.
Diversa è anche la prospettiva tra chi deve salvare e chi attende di essere
salvato.
C'è da dire che l'uso della piastrina gi-gi calata al
compagno nel crepaccio ha semplificato la manovra di recupero garantendo una
maggiore sicurezza rispetto agli autobloccanti che erano da riposizionare e
manovrare.
La manovra simulata è anche la più semplice e suppone che il compagno nel
crepaccio sia in grado di aiutare chi lo sta tirando fuori, rendendo anche
fisicamente meno faticoso il lavoro a chi sta sopra a recuperare.
A manovra terminata, quando il compagno riemerge dal crepaccio, è non solo
una soddisfazione per la manovra riuscita ma anche una sicurezza in più
acquisita su un qualcosa che appariva molto "complesso" ma che alla fine si
è riusciti a portare a termine, pur se con qualche "suggerimento"
dell'istruttore.
La manovra viene ripetuta altre due volte dalle altre due cordate e, alla fine, le idee e le procedure appaiono più chiare a tutti; rimane qualche dubbio, sintetizzato dalla frase di uno degli allievi: "In ghiacciaio è meglio andare con una cordata da tre". Per cercare di mettere un poco di tranquillità e tacitare i dubbi insorgenti, viene fatto vedere che con la stessa manovre un compagno esperto riesce a tirasi fuori da solo, dopo che il primo gli ha sistemato il paranco con la piastrina gi-gi e anche quanto sia più semplice e veloce tirare fuori uno essendo in due, anche se questi non è in grado di collaborare.
Detto questo la frase dell'allievo rimane valida e potrebbe
essere integrata così: "In ghiacciaio è meglio andare in tre e si va in
due solo se si è esperti, attrezzati e consapevoli delle manovre di recupero
da crepaccio."
Con le manovre di recupero il XII Corso ghiaccio può dirsi
concluso e siamo alle foto di rito.
Volti sorridenti, facce soddisfatte; anche quelle degli istruttori per il
buon lavoro svolto.
Si rientra in tempo per una pasta asciutta all'aperto
davanti al rifugio, poi il pomeriggio trascorre in attività varie: chi
scende in paese, chi prende il sole al torrente, che legge e chi si
arrampica sui sassi lì attorno.
Prima di cena Lucio comunica formalmente la chiusura del corso; ci si
consola con un piatto di pizzoccheri.
Sabato 6 luglio 2013
Ieri sono saliti al rifugio in due e stamattina alle quattro e mezza si
sono alzati per andare sul ghiacciaio, una cordata da due (di istruttori) e
una da quattro (di allievi). A me è piaciuto alzarmi per salutarli e stare
con loro mentre facevano colazione e non avevo dubbi che avrei trovato Lucio
giù in sala assieme a loro.
Un atteggiamento "pseudo romantico" di vecchi alpinisti? Chi vuole risponda.
Per me (e sono certo anche per Lucio) sono gesti spontanei che si fanno
senza porsi domande.
I "superstiti" fanno colazione con calma, poi si prepara il
materiale che deve scendere a valle con il Quad del gestore, si passa ai
saluti e ai ringraziamenti e ci si mette a camminare verso valle, come se
nulla fosse.
Però un'ultima domanda si impone necessaria: "Perchè quando si sta bene
il tempo passa così in fretta?".
Ma non è una domanda, bensì una semplice constatazione.
Gabriele Villa
Cinque giorni, un Corso ghiaccio, il XII del CAI Piacenza
Rifugio Alpe Ventina (Alta Valmalenco), 30 giugno-6 luglio 2013