Intervista a Massimo Bursi

a cura di Francesco Pompoli

Premessa:
Monte Cimo: per me sinonimo di vie sportive, con roccia ottima, difficoltà sostenute e nessun tipo di avventura, nessuna incognita, nessun interesse... giusto in inverno, con le giornate corte, ogni tanto capita di andare a ripetere una via, scelta rigorosamente tra le più facili della parete. Si seguono gli spit, quando le braccia poco allenate scoppiano ci si attacca senza troppe remore, si giunge all'ultima sosta e si cominciano le doppie. Birra, panino, e dritti a casa. Una giornata passata all'aria aperta, al sole, con uno o più amici, ma che lentamente sfuma nella memoria per l'assoluta assenza di particolari emozioni...

 

E.mail:
Trovo senza alcun preavviso nella casella di posta una lettera di Massimo Bursi. Il nome mi ricorda qualcosa, ma non riesco a collegarlo. Leggo:

Ho visitato il tuo sito ... e mi piaciuto assai specialmente la parte di racconti
(intragiarun) anche perchè trattano di zone e pareti che conosco bene anch'io.
Supponi che io sia più vecchio di te (1963) ed ora ho pressochè smesso di
arrampicare preso come sono da mille casini di soppravvivenza con i miei 4
figli....
Ma molte di quelle vie le feci anni fa. Ad esempio Luna '85 nel 86 durante
un inverno freddissimo. O la Biasin , del mio caro concittadino, al Sass
Maor faticando tantissimo... o la via 31 agosto che ho avuto il piacere di
aprire assieme a Silvio e al povero Davide.

Ecco dove avevo letto il suo nome ! Ha aperto la via 31 Agosto, la prima via che ho ripetuto sul Monte Cimo. Via dalle caratteristiche alpinistiche, che risale una evidente rampa cercando le minori difficoltà della parete. Risolve la salite con difficoltà non trascurabili, una traverso di 5c ed una uscita in fessura di 6a+. La via me la ricordo soprattutto per un particolare: il primo tiro, con difficoltà max di V+, presenta qualcosa come 20 spit... un supplizio ! Alcuni addirittura posizionati a casaccio, sotto un tettino sul quale la corda farebbe poi attrito, oppure subito prima di uno spigolo. Con 10 rinvii e due tiri concatenati (60m) mi ritrovo a passare 1 spit ogni 3 ed arrivare comunque in sosta senza materiale...


Questo per me era rimasto il ricordo più forte della via, un fastidio marcato per questo eccesso. Così, non perdo l'occasione per chiedere qualcosa di più sull'apertura della via, non immaginando certo che...

 

31 agosto è una storia di una lontana primavera piovosa del '86 o '87 quando
rientrando al primo pomeriggio dalla Valle del Sarca - bagnati - abbiamo
notato quella fascia rocciosa che ci sembrava non essere scalata da nessuno.
Salimmo nel bosco (che era ancora senza sentiero) e cominciammo a salire in
diagonale lungo una via naturale che sembrava più semplice.
Per fortuna avevamo con noi 4 o 5 chiodi che usammo e lasciammo. Spit
neanche a parlarne... Uscimmo dalla parete al buio pesto e scendemmo a
casaccio dall'altra parte della valle. Ma uno zaino con le chiavi della
macchina rimase alla base della parete e ci venne a prendere mio padre in
macchina.
Ci ritornai sempre con Silvio dopo 4-5 anni per fare la ripetizione e
pulirla e non aggiungemmo nessun chiodo. Nel frattempo Davide era morto
sulle Gran Jorasses...
Sempre lì vicino c'è invece una via mi ricordo durissima dove usammo 1 spit
in sosta. La via Anna-Chiara dove al termine di un tiro in fessura durissimo
aperto a vista e solo con nuts e friends - mi dicono oggi un 6c - piantai
uno spit. Il mio primo ed unico spit. Volevo creare una sosta a prova di
bomba e sfuggire alle sgrinfie di una morte certa!!!!
Di fatto quel tiro è stato forse il più difficile, rischioso della mia vita
ed è venuto perchè dettato dalla disperazione... è stato qualcosa di uno o
due gradi superiore a quello che riuscivo ad arrampicare-

Sempre con Silvio, abbiamo iniziato e mai finito tante altre vie nella
stessa zona. Il fatto di non voler usare lo spit, ma saltuariamente staffe e
cliff, unito alla nostra preparazione ed attitudine alpinistica nonchè
timorosa delle forti difficoltà - oltre il 6a - limitò molto la nostra
sfera di azione.

Poi Silvio iniziò uno sfruttamento industriale della parete con trapano,
apertura anche dall'alto e valorizzazione della parete ma io ero già altrove
e cominciavo a sfornare figli e seguire altre avventure. Silvio Campagnola,
che forse conosci, è molto bravo e molto professionale. La sua passione e la
sua energia è senza eguali...

E qui mi si apre un mondo nuovo... il Monte Cimo, così snobbato da chi cerca un minimo di avventura nelle sue salite, è stato teatro di piccole grandi avventure di cui ora non rimane più nessun segno, nessun racconto, nessun ricordo ! A chi parla di sicurezza, di necessità di rendere accessibili questi itinerari, di aumentare la frequentazione di questi pareti, io rispondo con la richiesta di rispetto, per la montagna e per i primi salitori che hanno affrontato con una loro etica la salita. Non si tratta di fermare l'evoluzione dell'alpinismo, non c'è nessuna evoluzione sul grado tecnico se è accompagnata da questi mezzi... l'evoluzione è stata descritta da Messner 25 anni fa in Settimo Grado:

"In alpinismo  l'evoluzione risiede nel “come”. Io mi sforzo di affinare la mia tecnica di arrampicata, di esercitare l'occhio, di aumentare la mia resistenza. Voglio mettere alla prova i miei progressi, e questo posso farlo nel modo migliore con una prima ascensione, con l'apertura di itinerari nuovi e arditi. Una salita è tanto più ardita quanto minore è l'impiego di materiale in rapporto alle difficoltà complessive. Molti dei più grossi problemi delle Alpi sono stati risolti. Se noi impariamo a rinunciare, la scoperta delle Alpi non ha fine”

Al massimo si può parlare di arrampicata sportiva, ma che almeno sia limitata all'apertura di nuovi itinerari e non a quelli alpinistici già esistenti !


Racconto a Massimo di come ho trovato la sua via...

 

E' certo che mi dispiace sentire che certe vie sono spittate... e a mio
avviso non sono più la stessa cosa. Un conto era salire non conoscendo nè l'
accesso, nè la parete, nè il ritorno e avendo 4 (quattro!) chiodi attaccati
all'imbragatura. Un'altra cosa è partire sapendo che c'è un tiro di 6c da
risolvere. Anche il linguaggio diventa diverso: tecnico, asciutto ed
essenziale.
A volte mi mettevo in tali casini da rendere difficoltoso il ritorno in
doppia (perchè ero rimasto senza chiodi) e l'unica via di uscita era verso
l'alto.
Per me la zona di Brentino e quella di Ceraino è stata un'esperienza
indimenticabile; era lo Yosemite che non potevo permettermi era il Verdon
dove una volta l'anno riuscivo ad andarci ma dovevo centrare gli obiettivi.
Invece in casa potevo sperimentare le tecniche più difficili con i materiali
più elementari. Insomma potevo spingere il limite oltre l'ostacolo.
Gli spit invece poi hanno appiattito tutto, tolto la leggenda il pathos,
trasformato la storia in cronaca incolore....

 

Chiusura:
Ringraziamo Massimo per la sua testimonianza, e speriamo presto di accogliere tra le nostre pagine un suo racconto. Abbiamo la sensazione che siano queste persone, ai più sconosciute, che possano dare all'alpinismo un contributo maggiore che quello spacciato da riviste patinate e siti ormai intasati di gradi francesi, falesie e boulder. Tornando a Messner:

"Il Drago non è morto. O, meglio: non è morto in tutte le teste. Perché l'alpinismo è basato sulla fantasia, sulla creatività"

L'avventura la si può trovare anche sulle pareti di casa, basta andarla a cercare... a nostro avviso l'avventura finisce dove comincia una lunga fila di spit.

F.P.
3 Aprile 2003

 

Breve profilo di Massimo Bursi:
Massimo Bursi, 1963, Verona, è stata una fugace apparizione nel mondo
alpinistico veronese. Predilige le Dolomiti dove ha scalato a lungo.
Collabora con la rivista della Giovane Montagna scrivendo racconti di
fantasia e vagamente autobiografici. I suoi quattro figli, ma soprattutto il
fatto di aver vinto il premio Biasin come "promessa alpinistica veronese",
hanno stroncato la sua affermazione alpinistica. Oggi vive ed ama la
montagna in tutte le sue stagioni.