Una chiacchierata con Giovanni Morelli, l'alberologo

a cura di Gabriele Villa


Ne avevo sentito parlare da qualcuno del corso di escursionismo e non avevo capito se fosse uno scherzo o volesse essere una battuta: "Abbiamo un allievo che sa tutto degli alberi, infatti, lo chiamiamo l'alberologo".
Lo avevo scoperto, a distanza di qualche mese, tra i neo titolati Operatori Naturalistici Culturali (O.N.C.) sezionali e, passato un altro paio di mesi, ecco l'occasione di vederlo di persona, dopo averne sentito riparlare più volte, perchè avrebbe partecipato alla gita cosiddetta "ex corsisti" al Monte Fumaiolo e alle sorgenti del Tevere, un appuntamento con cadenza annuale al quale io stesso ero stato invitato. 
Chissà perchè me l'ero immaginato un tipo alto, dinoccolato, molto flemmatico e poi, a un certo punto della camminata verso la cima del monte Fumaiolo, eccolo lì, vicino ad un grande faggio secolare a spiegare alla comitiva attenta varie nozioni sui faggi, proprio lui, l'alberologo, piccoletto, dinamico, baffetti scuri e curati, fare gesticolante e parlata fluida.
Il faggio è una pianta che conosco fin dall'infanzia, ma erano bastate poche frasi per farmi capire che un conto è saper "riconoscere" una pianta e ben altro è "conoscerla", come caratteristiche e come storia.
Così avevo preso alcuni appunti, aggiungendo qualche notizia utile alla mia conoscenza dei faggi.

Poi si sa il tempo corre e gli eventi si succedono e nascono cose con velocità e spontaneità spesso inattese.
Così è stato per il 1° Corso naturalistico "Boschi e Alberi", ideato e proposto, dai nuovi Operatori Naturalistici, assieme ai "vecchi" operatori già presenti nella Sezione di Ferrara, con una rapidità davvero rilevante. 
Al momento della presentazione della nuova proposta al Consiglio Direttivo per l'approvazione come attività sociale, appreso che il Corso Naturalistico avrebbe avuto bisogno di Titolati per garantire l'accompagnamento in sicurezza degli allievi durante le uscite pratiche, mi era venuto spontaneo rendermi disponibile e mi ero visto accogliere nello "staff" organizzativo, soddisfatto di potermi rendere utile e al contempo con la speranza di poter colmare un poco la mia ignoranza culturale "alberologa".

Al ritorno dalla prima ciaspolata dell'anno sul Passo Giau spazzato dal vento di una tormenta di neve di un fronte freddo che ci aveva brutalizzato costringendoci ad un rientro forzato, eccoci in pullman, in viaggio verso casa, con l'occasione propizia di una chiacchierata che mi ero ripromesso di fare da parecchio tempo.

Giovanni, io ho sentito parlare di te in qualità di "alberologo", ma in cosa sei specializzato esattamente?
Sono dottore agronomo arboricoltore e mi interesso in particolare della valutazione di stabilità degli alberi.
Per questo lavoro per le pubbliche amministrazioni, un'attività che ha valenze sociali (intese come tutela fisica dei cittadini), però contestualmente con un'attenzione alla difesa degli alberi, visti non solo come possibile fonte di pericolo, ma anche come ricchezza paesaggistica da salvaguardare.

Il tuo interesse in riguardo agli alberi monumentali da dove deriva?
E' una specializzazione che ho conseguito a seguito di una passione personale, per il fascino che esercitano le piante che diventano "monumentali" perchè la gente gli attribuisce valore storico e si riconosce in quegli alberi. Sono alberi transgenerazionali, come il cedro di Parco Massari, da noi a Ferrara: non c'è un uomo vivente che lo abbia visto diverso da come lo si vede oggi. Questo va ricordato quando ci si prende cura di un albero che è diventato testimonianza storica, poi può anche capitare di doversi interessare di lui quando è alla fine del suo ciclo ed allora non c'è gran che da poter fare per salvarlo. Però può succedere che il simbolo che rappresenta quell'albero sopravviva all'albero stesso, come è successo all'ippocastano di cui scrisse Anna Frank nel suo diario.

Sono aspetti affascinanti che sicuramente sfuggono a chi non ha conoscenze in materia. O sbaglio?
Pensa che a Faenza c'è un platano enorme la cui età è stimata in circa trecento anni.
Dal punto in cui è stato piantato si intuiscono i criteri con i quali si gestivano le campagne di allora, ma a volte lo stesso albero ci aiuta a ricordare un pezzo di storia.
Quel platano è stato bombardato durante la seconda guerra mondiale, questo perchè i Tedeschi lo presero di mira immaginando che sicuramente qualcuno avesse cercato ristoro all'ombra delle sue fronde.
Infatti, vari soldati di una Compagnia di origine neozelandese trovarono la morte in quel bombardamento.
Al termine della guerra, conoscendo e ricordando quel tragico episodio, una delegazione neozelandese venne in Italia con l'intenzione di dedicare l'albero al ricordo di quei loro caduti.
Mantenere quell'albero significa quindi mantenere in vita anche quel triste episodio di storia e ricordare quei caduti.

Sono storie difficilmente immaginabili. Sarebbero davvero da raccontare, da far conoscere.
E senza dimenticare che gli alberi ci direbbero tante altre cose se solo noi le sapessimo "ascoltare".
Per esempio, oggi salendo con il pullman al Passo Giau vedevi solamente degli alberi piccoli e già a 1.700 metri di quota non se ne trovano più. Forse noi, oggi, non ci facciamo nemmeno caso, ma ad un pastore antico questi alberi avrebbero spiegato che sono luoghi molto ventosi e quindi non adatti per accamparsi.
Come puoi capire attraverso gli alberi si può leggere il loro territorio e comprenderne le caratteristiche salienti.

Oggi, al turista o all'escursionista, al massimo interessa il "bello" dal punto di vista paesaggistico.
Noi attualmente quando parliamo di alberi usiamo soprattutto due termini: "bello" e "naturale".
Il concetto di "naturale" è un'acquisizione degli anni recenti, mentre, ad esempio nel '700 il termine naturale era sinonimo di "ostile". Una percezione dell'albero e del suo territorio che da negativa è diventata positiva.

Mi si rinforza un concetto riguardo la mia personale conoscenza degli alberi: so riconoscere un ciliegio perchè ci sono salito sopra per lunghe estati giovanili a raccogliere e mangiare le ciliegie, riconosco il frassino perchè da ragazzo, su in montagna, ci andavo a raccogliere le foglie da dar da mangiare agli animali nella stalla, così come riconosco il faggio che formava il bosco che era subito sopra al paese. Ascoltandoti mi rendo conto che "riconoscere" un albero è tutt'altra cosa dal "conoscere" quell'albero.
Però, se ci pensi, il tuo è comunque un approccio di tipo culturale. Andare sul ciliegio a raccogliere e mangiare le ciliegie ti ha fatto conoscere il periodo di maturazione del frutto, sai riconoscere la pianta, così come conosci il sapore delle ciliegie ben sapendo come e dove si formano. Sono esperienze culturali che non tutti i ragazzini di oggi possiedono, se pensi a quelli nati e cresciuti in città che le ciliege le vedono (forse) solo sul banco del supermercato o sulla tavola di casa. E' un patrimonio di conoscenze che loro non possono avere.

Non avevo mai riflettuto sugli apprendimenti che possono derivare dal rapporto diretto con gli alberi.
Tieni conto che non solo gli alberi hanno un loro linguaggio, ma tutto il territorio parla a chi sa intendere il suo comunicare. Prova a pensare ad una valle alpina: il geologo la valuterà dalla tipologia delle rocce, dalla loro consistenza o friabilità; un antropologo valuterà la storia di quella valle dagli insediamenti umani che vi si trovano, io la valuterò dal tipo di alberi che vi si sono insediati e che hanno sopravvissuto nel tempo.
Per esempio, il larice cambia colore e poi perde le sue foglie per non perdere acqua, mentre l'abete non lo fa perchè ha batteri che lo proteggono dal freddo e che si trovano nel terreno. Da ciò si deduce che il larice cresce su pietraie e terreno sassoso, mentre l'abete su terreno profondo in cui immergere le radici.
Questi sono saperi che noi andiamo perdendo pian pianino, senza nemmeno rendercene conto.
Senza dimenticare anche le conoscenze storiche e il ricordo di tradizioni che le piante monumentali possono trasmettere, come i tigli nei paesi germanici che si trovano all'entrata e all'uscita dei paesi, cioè nei luoghi nei quali veniva amministrata la giustizia. Vicino ai tigli trovi cappelle, cippi votivi, chiese, anche se queste sono state costruite dopo, per appropriarsi della cultura e delle consuetudini popolari.
Preservare l'albero monumentale significa conservare la tradizione e le conoscenze storiche.

Da profano direi che si fa troppo poco per preservare o anche solo per diffondere il patrimonio di conoscenze che questi alberi monumentali, ma tutti gli alberi in genere, possono tramandare.
Il mondo di oggi va ad una velocità incompatibile con la durata della vita di un albero e un albero è solamente un investimento culturale, ne consegue che investire su di un albero non porta voti ad un sindaco che dura in carica cinque anni. Investire su di un albero non conviene a nessuno. La conseguenza di tutto questo è che ci si impoverisce culturalmente in maniera inesorabile e non ce ne rendiamo conto; si perde conoscenza del territorio, delle piante. Pensa alle tue ciliegie: quelle ti riempivano la pancia, ma anche la mente, a un ragazzino di oggi che le trova sul tavolo, riempiono solamente la pancia.

La tua visione globale è assai malinconica, ma di certo attinente la realtà sociale che viviamo.
Proviamo ad andare nello specifico, allora, e così ti chiedo: qual è il tuo approccio mentale all'esperienza dell'oramai imminente corso "Boschi e Alberi", di cui sarai uno dei principali relatori?
Il corso "Boschi e Alberi" sarà per me un'occasione per fare delle "contaminazioni" e quindi lo vivo con entusiasmo perchè aiuterò la gente ad andare tra gli alberi spiegandogliene il senso. E' un'attività che si fa con il tempo del piede, misurando le azioni con il metro della lentezza. Mi sono avvicinato al Club Alpino Italiano proprio perchè fa attività a dimensione umana, con lentezza che è quella che ti fa capire le dimensioni del mondo che ti sta intorno. Personalmente odio l'aereo perchè è la negazione di questa conoscenza, ti porta in poco tempo da una parte all'altra della terra, ma tu capisci solo che è grande, molto vasta, ma ti trovi in luoghi diversi senza comprenderne appieno le differenze storiche e culturali.

Quindi, quale sarà il "taglio" didattico che avranno le tue lezioni?
Certamente non partirò da dati tecnici, ma il mio intento sarà quello di incuriosire. Sono discorsi semplici che di solito danno molto entusiasmo ai bambini, ma appassionano ugualmente anche gli adulti.
Quest'anno quando andammo con una gita sociale al sentiero del Bletterbach spiegammo e facemmo osservare come le radici degli alberi consolidano il pendio di una montagna. Peccato che tu non ci fossi, ti sarebbe piaciuto.

Intanto il pullman ha corso veloce ed è tempo di prepararsi allo "sbarco" a Ferrara.
La conversazione con Giovanni Morelli, "l'alberologo", è terminata, ma sicuramente è solo il primo passo di un percorso di avvicinamento ad una mia migliore e più approfondita conoscenza degli alberi e del loro mondo, il bosco.
Al corso naturalistico "Boschi e Alberi" sarò uno degli accompagnatori, ma di certo anche uno dei più attenti ascoltatori: per me è venuta l'ora di iniziare a recuperare il tempo perduto.
Come istruttore di alpinismo potrebbe apparire a qualcuno un passo indietro, quanto meno dal punto di vista tecnico, ma non è vero più di tanto. In fin dei conti anche gli alberi hanno dei "nodi" nei loro tronchi, diversi dai nodi che si fanno in alpinismo, ma pur sempre di nodi si tratta.

Gabriele Villa
Una chiacchierata con Giovanni Morelli, l'alberologo
Domenica 11 gennaio 2015

 

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