Armando Aste: etica e spiritualità per "scalare il cielo"

di Eugenio Cipriani


Ho avuto la fortuna di conoscere Armando Aste nel settembre del 2013.
Lo intervistai a casa sua, a Rovereto, e gli dedicai una pagina su “Il Giornale di Vicenza”.
E’ stata una delle interviste più belle e “toccanti” che mi sia mai capitato di fare ad un alpinista. Forse perché Aste era un “mostro sacro” dell’Alpinismo. Forse.
Ma più probabilmente perché il fortissimo roveretano era un uomo di una rettitudine morale e di una chiarezza così cristallina da renderlo un personaggio assolutamente unico.
Quando lesse il mio articolo su di lui mi telefonò per ringraziarmi (cosa che ben pochi fra i tanti alpinisti che ho intervistato nella mia carriera di giornalista hanno fatto) e per dirmi che si era addirittura commosso.
Allo stesso tempo mi invitò ad andarlo a trovare quando volessi. Ne fui oltremodo lusingato, naturalmente.
Avrei approfittato volentieri del suo invito, ma di lì a poco seppi che le sue condizioni di salute, già precarie, erano peggiorate e quindi evitai di disturbarlo.
Mi resta il rammarico di non averlo conosciuto prima.

Ma chi era Armando Aste?
Benché originario della Vallarsa, Armando Aste nacque ad Isera, in provincia di Trento, il 6 gennaio 1926 ed è stato uno dei massimi alpinisti italiani del dopoguerra.
La sua attività si svolse soprattutto nelle Dolomiti e comprese prime ascensioni assolute, prime invernali e prime solitarie di livello internazionale. Mosso da una fede religiosa incrollabile, Aste si era avvicinato alla montagna per trarne soprattutto esperienze utili ad accrescere la propria spiritualità.
"Sono orgoglioso della mia fede che considero l'unica vera ricchezza che possiedo. - mi disse durante l’intervista e aggiunse - Al di là di ogni falsa modestia, so di essere un uomo limitato ma ho imparato che credere è più importante di sapere, di capire e di qualsiasi impresa alpinistica".

Tra le sue imprese più significative vanno citate la prima salita solitaria della via Couzy sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo, la prima solitaria della via Brandler-Hasse sulla parete Rossa della Roda di Vael nel Catinaccio, la prima solitaria della via Graffer sullo Spallone del Campanil Basso di Brenta con la variante Pooli-Trenti e discesa per la via Preuss. Fra le sue innumerevoli “prime” effettuate in cordata citiamo una per tutte: la via “dell'Ideale” alla parete Sud della Marmolada, decisamente un gradino avanti sia nella concezione del percorso che per le difficoltà incontrate rispetto a quanto era stato fatto sino ad allora.
Particolarmente importante la prima ascensione invernale della via Carlesso-Sandri sulla parete sud della Torre Trieste, in quanto segnò l'inizio del grande alpinismo invernale nel gruppo della Civetta e nelle Dolomiti.
Altre sue imprese di grandissimo rilievo sono: il Gran Diedro sulla parete nord del Crozzon di Brenta, con Milo Navasa, la via della Canna d'Organo sulla Marmolada di Rocca e due vie aperte sulla parete sud del Piz Serauta, la direttissima nord della Punta Chiggiato al Focobon, la via Concordia e "Aste-Salice" sulla Cima d'Ambièz, l'Aste-Susatti sulla Cima di Pratofiorito, la via sullo Spallone del Campanil Basso e lo spigolo nordest dello Spiz d'Agner nord nelle Pale di San Martino ed ha coronato la propria attività alpinistica con la prima ascensione italiana della parete nord dell'Eiger.
Armando Aste però non ha limitato la propria attività alle Dolomiti, ma l’ha estesa anche alle montagne extraeuropee. Nelle Ande Patagoniche ha vinto la Torre sud del Paine lungo un itinerario di difficoltà eccezionali ed è stato protagonista di uno sfortunato tentativo al Fitz Roy.

Armando Aste ed il suo ultimo libro
Si chiama “Commiato” ed è l’ultima fatica letteraria di Armando Aste, pubblicata due anni fa dalla casa editrice “Nuovi Sentieri”. E’ un libro attraverso cui il grande scalatore roveretano, dopo “Pilastri del Cielo”, “Cuore di roccia” e “Alpinismo epistolare”, ha rivisitato vicende e personaggi incontrati nei decenni “ruggenti” della sua attività, in special modo quelli compresi fra il 1950 ed il 1980.
Un libro, ci aveva anticipato l’Autore durante l’intervista del 2013 per il “Giornale di Vicenza”, che non avrebbe fatto sconti a nessuno, specie a chi, pur celeberrimo ed osannato, non era stato all’altezza delle sue aspettative sul piano umano.
In un mondo, quello dell’alpinismo, in cui tanti, troppi, si riempiono la bocca con la parola “etica”, Aste ha sempre ricondotto questo termine al suo originario ambito, vale a dire alla società ed all’uomo.
Lui non guardava al chiodo più o al chiodo meno e neppure se si trattava di un chiodo normale o ad espansione. Chiudeva un occhio persino dinanzi al compressore di Maestri se dietro ad un gesto alpinistico, anche se plateale e volutamente esagerato, vi era un uomo con la U maiuscola, come appunto era per Aste il primo salitore del Cerro Torre. “Credente totale”, come amava definirsi, Armando Aste non era uomo da compromessi, da mezze misure, da ipocrisie.
Sarà un libro – mi aveva detto il roveretano - che mostrerà aspetti inediti e talvolta scomodi di alpinisti fino ad ora osannati dalla stampa come eroi senza paura ma soprattutto senza macchia”.
Nel libro, però, Aste racconta anche di quelle persone, alpinisti e non, che oltre ad essere (o essere stati) a suo avviso inappuntabili sul piano etico erano riusciti pure ad uguagliarlo e, in alcuni casi, persino di superarlo alpinisticamente. Come Renato Casarotto, ad esempio, scalatore per il quale, mi disse, “si può usare il superlativo assoluto perché era tanto capace quanto prudente”.
E la prudenza, per Aste, era una virtù fondamentale, non fosse altro perché assieme a giustizia, temperanza e fortezza rientra tra le quattro virtù cardinali.
E’ stato un precursore dell’alpinismo moderno – affermò con entusiasmo Aste – maestro in tutte le tecniche ed a tradirlo non fu l’imprudenza. Sapeva osare, questo è certo, ma mai oltre il proprio limite.”
Il caso della Busazza, per Aste, è emblematico al proposito.
Io sono tornato indietro – mi disse sempre il fuoriclasse roveretano - perché ritenevo moralmente inaccettabile affrontare un passaggio così rischioso. Casarotto invece lo ha fatto. Imprudenza, temerarietà? Niente affatto. Lui era effettivamente in grado di padroneggiare quel rischio e quella difficoltà. Lo ha dimostrato ed io non ho remore ad ammettere che il suo livello era superiore al mio.”
Un’affermazione cavalleresca, questa di Aste, che rende onore e merito ad entrambi i personaggi.
Mi piacevano molto – mi raccontò sempre Aste – la riservatezza di Casarotto, la sua capacità di apprezzare la solitudine in parete e la lentezza che, in arrampicata, a questa si accompagna. Non amo i velocisti ad oltranza. Quello non è alpinismo, è sport. L’unica persona che io, oggi, vedo simile a lui è Elio Orlandi, altro alpinista tanto grande quanto riservato”.
Alla domanda su quale sia stata la più grande impresa in assoluto del vicentino, Aste non ha dubbi: l’Huascaran, seguito a ruota dal “trittico del Freney”, imprese solitarie che denotano, per Aste, grande interiorità, spiritualità e senso artistico. Qualità “cardinali” in un alpinista ma, secondo l’autore della “via dell’Ideale”, oggi sempre più trascurate a favore dell’atletismo e della prestazione fine a sé stessa.

Eugenio Cipriani
Verona, anno 2013/2017