NOTIZIE. 11/02/2010 -
Un ricordo dell'alpinista Benito
Saviane su segnalazione di Marco Conte
Ciao ragazzi, è brutto segnalare avvenimenti tristi, ma in qualche
modo bisogna pure provvedere... Vi lascio un estratto dal Corriere delle
Alpi di oggi (martedì 9 febbraio 2010). Vi sarei grato se poteste
segnalare la cosa sul vostro sito. (Marco Conte)
CHIES D'ALPAGO. Nelle prime ore di lunedì mattina (8 febbraio 20101) è
mancato nella sua casa di Codenzano, in seguito ad una grave malattia,
l'alpinista Benito Saviane. Nato nel 1940, Saviane era molto conosciuto
nella conca dell'Alpago per la sua generosa attività di volontario nel
soccorso alpino e la sua poliedrica passione agonistica.
Nel corso degli anni Ottanta aveva formato con l'amico Franco Miotto una
fortissima cordata a due che aveva risolto alcuni notevoli problemi
alpinistici su pareti rocciose difficili come il Col Nudo ed il Burèl:
in molti casi, le ascensioni realizzate dalla coppia Miotto - Saviane
hanno atteso almeno due decenni prima di essere ripetute da una nuova
generazione di arrampicatori.
Negli ultimi anni, Benito Saviane era stato anche molto coinvolto nella
vita interna della sottosezione CAI dell'Alpago, un sodalizio che
proprio quest'anno dovrebbe finalmente essere promosso a sezione
autonoma a tutti gli effetti.
L'incontro tra Saviane e l'alpinismo si era verificato abbastanza tardi:
nel tempo lasciato libero dal lavoro, Benito aveva inizialmente
privilegiato sport come la maratona o la corsa in montagna realizzando
anche buoni risultati.
Soltanto alla fine degli anni Settanta, bruciando le tappe, aveva infine
conosciuto l'ambiente alpinistico entrando a far parte del Soccorso
Alpino e diventandone in breve tempo una delle figure di riferimento.
Lasciato l'alpinismo di punta a metà degli anni Ottanta, Saviane è
comunque rimasto fino ad oggi uno dei maggiori conoscitori della cerchia
di montagne che domina la conca dell'Alpago.
Ci piace aggiungere alla segnalazione di Marco Conte un suo post di oltre tre anni fa, tratto da intraisass, che ci pare aggiungere qualcosa alla comprensione di che pasta di alpinisti, e di uomini, fossero fatti persone come Benito Saviane. (la Redazione)
lunedì, 31 luglio 2006
SULLA PARETE D'ARGENTO DEGLI ERTANI
postato da marcoconte alle 21:25 in alpinismo
« Di tutte le mie salite mai ho provato una tale emozione, gridavo e
piangevo dalla gioia, una grande via era stata percorsa, forse la più
terribile! 42 ore di arrampicata in un ambiente da incubo, 50 anni i
miei, e 42 quelli di Benito ».
FRANCO MIOTTO - Appunti Autobiografici, 1985
Domenica 30 luglio 2006 a Erto non è una giornata come tutte le altre.
Dopo una prima occhiata frettolosa, a dir la verità, non si viene
colpiti da particolari eclatanti: il sole scotta, turisti e bancarelle
affollano la diga del Vajont e nelle osterie del paese si fa trascorrere
il tempo fissando in controluce il contenuto di un bicchiere.
Cosa c'è di diverso rispetto al solito?
La novità è che questa volta ci sono i binocoli, e ogni cinque o sei
binocoli spunta qua e là anche un telescopio con treppiede, di quelli
che si usano per la caccia.
Le lenti sono puntate sulla parete settentrionale del Col Nudo, la
grande muraglia grigio - argento che precipita dalla cerchia dei monti
dell'Alpago nelle sottostanti vallate vicine al rifugio Casera Ditta.
Su quella parete, dal giugno del 1981, esiste una via alpinistica
estrema che attende di essere ripetuta: si tratta della direttissima sul
Gran Diedro Nord, aperta tra il 12 e il 14 giugno 1981 da Franco Miotto
e Benito Saviane.
Con il passare delle ore l'attesa diventa una timida fiducia, ed infine
una gioiosa certezza.
Sono le 5 di mattina quando Alessio Roverato, giovane studente padovano
di ingegneria già conosciuto a inizio luglio sul monte Pelmo, inizia a
salire la parete alternandosi da primo con un nuovo compagno di scalata,
il venticinquenne Alessandro Baù.
L'organizzazione logistica stavolta è più rigorosa rispetto all'impresa
di un mese fa sulle Dolomiti zoldane: è Adriano, l'instancabile gestore
di Casera Ditta, ad accompagnare i due ragazzi alla base della parete
mentre Italo Filippin si assume il compito di sorvegliare da distante lo
sviluppo degli eventi.
I ragazzi partono di buona andatura e procedono in modo regolare, tanto
che è metà pomeriggio quando spuntano già sopra la parte centrale della
salita: il grande diedro levigato e svasato, chiuso in cima da un tetto
sporgente di una decina di metri, si trova ormai sotto di loro.
Osservandoli da Erto, la possibilità di un bivacco appare tuttavia
ancora probabile: rimangono infatti da affrontare un impegnativo camino
verticale, un passaggio nascosto alla vista da fondovalle nel quale non
è consigliabile attardarsi, ed infine un'esile lista che presto si
allarga fino a diventare una cengia.
Da quel punto in poi l'uscita sulla cresta è breve e la cima appare a
portata di mano, ma l'ora è tarda e i celebri appigli rivolti all'ingiù
del Col Nudo, le "tegole" descritte da Franco Miotto, rappresentano pur
sempre un'incognita da non sottovalutare.
Presso l'osservatorio volante allestito davanti alla casa di Italo Filippin regna tuttavia la fiducia.
Mauro Corona riesce con qualche acrobazia a distrarre le orde di turisti
che lo assediano per un autografo, e con le lacrime agli occhi scruta
instancabile la "sua" montagna. È dalle prima luci dell'alba che segue
Alessio ed Alessandro, ed alla fine esclama tra le lacrime:
«Come vorrei essere insieme a loro, a costo di farmi tirare su come
un sacco di patate!»
Intorno alle 17 arriva rombando come una furia anche lo stesso Franco
Miotto, mentre Benito Saviane già nella mattinata ha approfittato di
un'uscita del Soccorso Alpino per effettuare due o tre passaggi in
elicottero ed assicurarsi che tutto vada per il verso giusto.
Al calar delle tenebre di domenica gli spettatori lasciano la platea
pensando che le luci si siano spente anche sul palcoscenico, ma non è
così: Alessio e Alessandro proseguono fino a tardi la loro ascensione e
trascorrono la notte nei pressi della vetta della parete d'argento.
I temporali che scoppiano sulla valle del Piave all'alba di lunedì non
riescono a fermarli, poiché i due nel frattempo stanno già rientrando a
valle sul più accessibile versante dell'Alpago: hanno completato la via
in un solo giorno di scalata, infrangendo un tabù alpinistico che durava
da un quarto di secolo.
Scendendo lungo il sentiero di ritorno trovano ad attenderli Adriano,
Franco Miotto e Benito Saviane, partiti da casa nel profondo della notte
per riuscire ad intercettarli. Tutta la comitiva fa infine ritorno in
Val Mesàz tra le confortevoli pareti di Casera Ditta, dove vecchie e
nuove generazioni di montanari si stringono la mano mentre la festa ha
inizio.