NOTIZIE. 17/10/2017 - Ore 13:17 di lunedì 16 ottobre: un enorme boato e di nuovo è frana sul Civetta
Ore 13:17 di lunedì 16 ottobre: un
enorme boato ed è di nuovo frana sul Civetta
La parete ovest della Cima Su Alto è collassata nuovamente dopo il crollo
di tre anni fa. Ma non si è trattato di un semplice “pilastrino”.
E’ successo di nuovo. Tre anni dopo. Questa volta,
complice la giornata calda e limpida, la frana è stata vista e fotografata
da molti ed è stato un miracolo che nessuno stesse percorrendo quel tratto
dell’Alta via n°1 che collega il rifugio Tissi al rifugio Vazzoler (sentiero
n° 560), uno dei percorsi più suggestivi e frequentati delle Dolomiti ma, da
tre anni, anche uno dei più pericolosi.
La frana, che si è staccata all’interno della nicchia di distacco del
precedente crollo del 2014, non è arrivata a lambire il sentiero, ma chi si
fosse trovato a passare da lì sarebbe morto di paura. Perché non si è
trattato di un semplice “pilastrino”, come hanno riportato diverse fonti
d’informazione a poche ore dalla notizia. Lo scollamento ha infatti
interessato una porzione di roccia alta circa centocinquanta metri e larga
diverse decine, e le foto scattate quando il polverone si è finalmente
dissolto lo testimoniano.
Insomma, dimensioni non compatibili col termine “pilastrino” che, in gergo
alpinistico, si usa a designare pulpiti rocciosi appoggiati ad una parete
quasi sempre di dimensioni limitate a pochi metri o, al massimo, poche
decine.
A confermare che non si è trattato di un
“pilastrino” ceduto all’improvviso ma dello scollamento di un’ulteriore
fetta del settore nordoccidentale della Cima Su Alto (2951 metri) è lo
scalatore veronese Eugenio Cipriani che stava arrampicando su un’altra
parete del Civetta, sempre sul lato che guarda la Val Cordevole, a circa
cinquecento metri di distanza in linea d’aria dalla frana.
“Erano le 13:17, avevo appena finito di attrezzare una sosta e stavo per
ripartire alla volta del successivo tiro di corda – racconta Cipriani –
quando ho sentito un impressionante fragore di pietre che sfregavano le une
sulle altre. Non è stato il classico tonfo che fanno le rocce quando
piombano al suolo ma un agghiacciante, lunghissimo sfregolìo di un lastrone
che scivola lungo la parete.”
Subito dopo lo scivolamento, dal ghiaione si è levata una nube di polvere
che è andata via via aumentando nella mezz’ora successiva. “Tutta la conca
sottostante la parete nord-ovest del Civetta, fra il Col Rean, il rifugio
Tissi ed il Col Negro di Coldai – racconta sempre lo scalatore veronese – si
è riempita di polvere al punto che quasi non si vedeva più il cielo e sono
dovute passare tre ore prima che la visibilità tornasse perfetta come era
prima della frana. Se avessimo potuto saremmo ridiscesi alla base della
parete, ma la via non lo consentiva. Quindi abbiamo proseguito sino in cima.
Finché eravamo in parete avevamo visto almeno una trentina d’escursionisti
dirigersi lungo il sentiero dell’Alta Via n°1 alla volta del Tissi e del
Vazzoler, poi abbiamo saputo che, fortunatamente, nessuno stava transitando
sotto la Su Alto al momento dell’evento franoso che, proprio perché si è
trattato di scivolamento e non di crollo, non è arrivato ad interessare il
sentiero ma si è limitato ad impolverarlo.”
Un bello spavento, comunque, sia per l’alpinista veronese che per i numerosi
escursionisti presenti in zona.
Tornato all’auto, parcheggiata sul versante zoldano, Cipriani si è poi recato alla frazione di Piaia, in comune di San Tomaso agordino, da cui si ha una completa veduta frontale della frana da cui ha scattato foto ben dettagliate alla ferita “fresca” della montagna. “Conosco bene la storia alpinistica di quella parete – riferisce sempre Cipriani - e ne conosco le proporzioni avendo percorso in gioventù la via “Ratti-Vitali” che corre un centinaio di metri a destra della frana. Calcolando ad occhio, sulla base dei tiri di corda, direi che il lastrone scollatosi era alto almeno 150 metri e largo, alla base, una cinquantina. La parete della Su Alto è alta complessivamente 750 metri, dei quali circa 400 di zoccolo inclinato. Il distacco è avvenuto proprio sopra lo zoccolo, che adesso presenta infatti due vistose colate di roccia bianchissima, così pure bianchissima è la nuova nicchia di distacco formatasi ieri.”
Un tempo su quella fetta di parete che
dal 2014 non esiste più e che sembra intenzionata a sgretolarsi
completamente, poco a poco, correvano due grandiosi itinerari tracciati
all’inizio della seconda metà del secolo scorso: il diedro Livanos-Gabriel
del 1951 (VI \A2) e lo spigolo Piussi-Molin-Anghileri-Panzeri-Cariboni del
1967 (VI+\A3). Quest’ultima, completamente cancellata dalla frana del 2014,
era considerata una delle più grandi realizzazioni alpinistiche del Civetta
almeno sino alle più recenti imprese delle nuove generazioni.
“La via 'Ratti-Vitali' è probabilmente ancora percorribile – commenta
Cipriani – ma la zona è ancora ad altissimo rischio di crolli e, come tale,
andrebbe evitata.” Nella parte più alta di quel che resta dello spigolo
nord-ovest della Su Alto, ora è rimasta una lista rocciosa, rossastra e
strapiombante, sulla cui solidità non c’è da fare affidamento, visti i
precedenti. Inoltre, fra la Cima Su Alto e la Cima De Gasperi, sorge un
torrione scherzosamente denominato Torre Giù Basso: è stato investito
da due crolli ed oggi appare tutt’altro che robusto. “Non è detto che queste
strutture crollino – ha concluso Cipriani - ma, vista l’accentuata frequenza
dei fenomeni franosi in tutte le Dolomiti ma soprattutto in questa zona del
Civetta, credo che si debba pensare a spostare più ad ovest il percorso
dell’Alta Via rendendo obbligatorio il passaggio dal rifugio Tissi e
chiudendo il tratto del sentiero n° 560 che corre in fondovalle proprio
sotto la verticale della duplice frana della Su Alto fra il bivio per il
Tissi e Col Rean.”
[Articolo e fotografie di Eugenio Cipriani per il Giornale di
Vicenza.]