SPIGOLATURE. 23/10/2017 - A me basta somigliare al più misero dei portatori nepalesi (Paolo Rumiz)

Guardatelo bene. È un portatore nepalese-tipo. Smilzo, di sessanta chili. Ebbene, quell'uomo è capace di portare il doppio del suo peso dai quattro ai cinquemila metri di quota in un giorno solo, nutrendosi di una manciata di albicocche secche.
Nessun grande alpinista occidentale ne sarebbe capace. Penso a questo e mi dico che la nuova frontiera dell'alpinismo è ritrovare l'umiltà dei suoi limiti. Una frontiera che non sta da nessuna parte, è dentro di noi.

Ho arrampicato anch'io, quarant'anni fa. Ho aperto vie estreme con un grande alpinista triestino e so cosa significa sentirsi sperduti su un lenzuolo infinito di neve da ramponare o su una parete immensa giallo-grigia senza sapere cosa ci sarà dopo lo strapiombo.
Ma poi ho smesso. Il mondo degli scalatori palestrati mi aveva stancato. Mi lasciava un grande vuoto, e l'impressione di non aver mai conosciuto il silenzio dell'Alpe.

Ho smesso anche di leggere libri di montagna. Produzioni letterarie immense su scalate estreme, nelle quali l'unica cosa da notare era la ripetizione dell'io. Il fascismo era finito, ma c'era ancora quella cosa ridicola dell'uomo a torso nudo che mostra i muscoli alla montagna e le dice "Io ti vincerò".

E, troppo spesso, quelle spedizioni milionarie capaci di lasciarsi dietro solo immondizie e zero riconoscenza per i portatori di quota.
Non ce n'era una tra le star di allora, e ce ne sono pochissime anche oggi, capaci di orientare, col loro carisma e la visibilità di cui godono, l'opinione pubblica verso un approccio all'Altissimo che non sia di saccheggio.
La parola d'ordine è rimasta l'abbattimento del limite. Più veloce, più ripido, sempre più su, fino al settimo, ottavo, nono grado con prospettiva di arrivare al ventesimo salendo sui polpastrelli, senza scarpe, d'inverno e a testa in giù.

Questa corsa verticale porta all'illusione blasfema che non vi siano più limiti, come accade per l'espansione del Pil e la bugia della crescita inarrestabile in un mondo dalle risorse in esaurimento.

Ma a me che me ne importa di scalare vertiginose pareti himalayane se nel frattempo l'Appennino si desertifica e i ghiacciai scompaiono mostrando lo stato di sofferenza della Terra?

A che mi serve andare in montagna se non per capire la mia nullità rispetto alla natura e il mio obbligo di difenderla?
Basta con i superuomini. A me basta somigliare solo al più misero dei portatori nepalesi.
 


NOTA della redazione.
L'articolo ci è stato segnalato dal nostro lettore Liviano Trevisan, che ringraziamo per la collaborazione.
La foto del portatore scherpa è tratta dalla rete, quella di Paolo Rumiz è tratta, come l'articolo, da La Repubblica del 20 marzo 2016.