SPIGOLATURE. 27/12/2017 - "Pranzi di Natale", un post di Gabriele Villa da IntraisassBlog del 2007
Se mi dovessero chiedere qual è il giorno dell'anno
nel quale ho vissuto più lontano dalla montagna non dovrei stare a pensare molto
per rispondere: è il giorno di Natale. L’unico ricordo che mi sovviene di un
Natale passato in montagna risale all’infanzia ed è legato all’anno in cui
vissi a Pecol di San Tomaso agordino e frequentai la seconda elementare nel
vicino paese di Piaia.
Avevo sette anni ed il ricordo vivo che mi è rimasto è legato al presepe che
preparammo assieme alla zia Marcella.
Aveva una caratteristica
straordinaria, profumava di muschio vero, perché eravamo andati nel bosco a
raccoglierlo ed a me era sembrata una cosa a dir poco eccezionale.
Devo aggiungere che, come tutte le persone “normali”, ho sempre rispettato
il detto “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”, ma come alpinista ho
sempre segretamente desiderato passare un Natale in una baita, o in un
bivacco fisso o da qualche parte su di una qualsiasi montagna,
però sempre rassegnandomi al rito del pranzo in ambito familiare e con
parenti vari.
Anche quest’anno (Si tratta del 2007. N.d.A.) non è sfuggito alla
consuetudine ed anche quest’anno, così come tante altre volte, tra una
portata di pesce e l’altra, la mente è corsa a quel nascosto e mai
realizzato desiderio, sicché, una volta arrivato a casa dopo avere saziato
lo stomaco ho preso un libro dalla biblioteca con l’intento di saziare la
fantasia.
Era il Natale del 1973 e il racconto è di Casimiro Ferrari in “Cerro
Torre. Parete Ovest” (Collana “Exploits” - Dall’Oglio editore – 1975).
Il 13 gennaio del 1974 Casimiro Ferrari, Mario Conti, Pino Negri e Daniele
Chiappa, del Gruppo dei Ragni di Lecco, arrivarono a mettere piede sulla
vetta del Cerro Torre in uno dei giorni più memorabili dell’alpinismo
patagonico.
Al mattino del 25 dicembre, un martedì, la sveglia al campo III è alle
cinque. La giornata è bella e sento che i miei compagni si preparano con
entusiasmo. Decidiamo di suddividerci in due gruppi: inutile partire tutti
insieme perché, prima di arrivare dove avevo deciso di installare il quarto
campo, si dovevano attrezzare altri duecento metri di un canale di ghiaccio
con una pendenza di circa settanta gradi…
…Qui inizia la salita vera e propria. Ci si arrampica nel diedro per tutta
la sua lunghezza (lasciamo due staffe, una di dieci metri metallica e una da
due metri di legno) e, raggiunto il nevaio, lo si risale in verticale per
due lunghezze di corda, fino ad arrivare sotto a una paretina liscia, che
non offre appigli. Si obliqua allora verso destra, su una cengia nevosa, per
tre lunghezze di corda scarse e si arriva sotto un tratto verticale di rocce
rotte. Si risale per circa venti metri questa paretina di roccia mista a
ghiaccio, nella quale lasciamo una staffa metallica da dieci metri…
…le tre cordate che ci hanno preceduto sono impegnate un centinaio di metri
sopra di noi, ma siamo oramai al primo pomeriggio, fa caldo e la parete
inizia a scaricare: proseguire sarebbe pericoloso, per cui ridiscendono alla
tendina che frattanto abbiamo piazzato.
“Ora che siamo tutti insieme – dice Sandro Liati –
possiamo finalmente
mangiare qualcosa”, ma ci accorgiamo che avevamo portato con noi soltanto
materiale alpinistico e tende: solo io avevo nel sacco un po’ di viveri,
perché avevo programmato di fermarmi in quel punto con Mariolino.
Sandro ha
in mano un sacchetto di frutta secca e dice: “Beh, mangiamoci questa, vorrà
dire che il Natale lo faremo a casa”.
Scoppiamo in una grande risata. Mentre
penso che, anche rimanendo solo in due al campo IV, i viveri che avevo
portato erano scarsi, vedo Corti girato di spalle che sta succhiando
qualcosa.
Sospettoso gli chiedo: “Cosa stai mangiando di buono?”
Claudio si
gira e mi dice: “La dentiera. Posso offrire?”.
Altre risate contribuiscono a
tenere alto il morale.
Mentre i compagni iniziano allegramente la discesa verso il campo III, io e
Mariolino ci attrezziamo per la notte, fissando la tenda il più saldamente
possibile. E’ ormai sera e, dopo avere mangiato una minestrina e del
gorgonzola, mi metto in contatto radio con i compagni al campo III.
Mimmo mi
dice di aver preparato dolci per tutti per festeggiare il Natale.
Incuriosito gli chiedo come fosse riuscito a farli e mi risponde: “Con il
pane ammuffito che c’era; per togliergli l’odore gli ho messo delle
acciughe!”.
“Chissà che porcheria!” - gli dico ridendo.
Ci scambiamo ancora
una volta gli auguri e ci infiliamo nei sacchi a pelo: fuori c’è nebbia e
pioviggina. Speriamo che domani migliori.