Il Messaggero Veneto 27/04/2009 - Articolo di Luciano Santin

Alpinismo al femminile: I monti di Mary Varale.
 
Fu una delle prime scalatrici di alto livello.



Anno 1925, Tita Piaz viene contattato da una signorina che vuole arrampicare sulle Torri del Vajolet.
Evento raro, perché, all'epoca, di italiane in parete se ne vedono pochissime.

In vetta la cliente, tale Gennaro, chiede come si scende.
Per tutta risposta il “diavolo” le passa la corda tra gambe e spalla e intima: «Si butti giù».

«A una donna è permesso di aver paura, specialmente se le si ordina così bruscamente di buttarsi giù da una torre sotto la quale si apre una voragine di trecento metri» riflette la ragazza.
Ma poi rifiuta di mostrarsi uno di «quegli esseri pavidi e debolucci che i signori uomini vogliono far credere».
E, schiena al vuoto, si lascia scivolare lungo la doppia.

L'alpinista si farà conoscere, poi, ma non con il nome da nubile.
Maria Pellegrino Gennaro, nata a Marsiglia nel 1895, impalmerà il cronista sportivo Vittorio Varale, di Caserta e diverrà Mary Varale.

Sui due si è appena chiusa una mostra allestita a Taibon, della quale resta il catalogo “La penna e il chiodo”, edito da Nuovi Sentieri, con una bella parte iconografica e i contributi di Bepi Pellegrinon, Irene Affetranger, Francesco Comba, Giovanni Grazioli, e il lungo réportage di Vittorio Varale, "Ventisei ore sulla parete del Cimon della Pala".

Varale, specializzato in ciclismo, cominciò a dedicarsi alla montagna seguendo le imprese della sua metà.
Pur da propugnatore dell'alpinismo sportivo, così scrisse di lei: «La sua passione per le cime non era soltanto roccia e strapiombi, gridi gioiosi dalle vette raggiunte, ma anche le passeggiate sui prati e nei boschi alla ricerca di fiori e funghi mangerecci. Vi rimaneva per lunghi periodi, dividendo la semplice esistenza dei montanari della Val Malenco e della Val Masino nelle loro rustiche abitazioni aiutandoli nelle bisogne quotidiane. Quando occorreva si caricava del fieno nelle gerle, accudiva alle faccende domestiche».

Mary, che aveva iniziato il suo apprendistato alpinistico nel gruppo dell'Ortles e del Disgrazia, tra il 1924 e il 1935 effettuò 217 salite, legandosi ad alcuni dei più celebri scalatori del tempo: come Giuseppe Dimai, Emilio Comici e Riccardo Cassin. È lei, racconta quest'ultimo, a far venire l'“angelo” triestino in Grigna, per insegnare alla volonterosa leva lecchese tecniche e manovre di corda.

Assieme a Comici e a Zanutti, nel'33, compie la sua prima salita forse più famosa: lo Spigolo Giallo all'anticima della Piccola di Lavaredo (e con Comici, forse, effettua anche un assaggio alla Nord della Ovest).
L'anno dopo si lega ad Alvise Andrich e Furio Bianchet, che aprono la via dei Bellunesi alla parete Sud Ovest del Cimon della Pala.

Ma la mancata concessione di una medaglia al valore sportivo, riconosciuta a figure di minor valore, fa sì che Mary lasci il Cai. Le dimissioni sono date con toni durissimi:
«In questa compagnia di ipocriti e di buffoni io non posso più stare».

Dalla metà degli anni '30 l'alpinista si allontana gradualmente dall'attività di punta, anche causa un'artrite precoce. Segue un lungo periodo di infermità, nel quale viene assistita dal marito.
Nel 1963, l'«eccezionale scalatrice», come l'aveva definita Cassin, si spegne, a Bordighera.
 



Sulla figura di Mary Varale ha scritto anche il nostro Gabriele Villa su intraisassblog.
Eccone un ampio stralcio da
"MARY VARALE: UNA DELLE PIONIERE DEL 6° GRADO"

Non c’è articolo sull’alpinismo degli anni ’30 o servizio storico sulle Tre Cime di Lavaredo che prescindano dal pubblicare “quella” foto in bianco e nero in cui si vede lei, mezzo passo dietro a lui e un po’ più in alto (sono su di un pendio inclinato), con il braccio sulla sua spalla destra ed un ciuffo di capelli che le esce, civettuolo, dal foulard che tiene in testa a mo' di bandana. Entrambi indossano una canottiera ed i pantaloni alla zuava: lei è Mary Varale, lui è un giovanissimo Riccardo Cassin, tutti e due hanno un’espressione assai seriosa.

E Cassin scrive nel suo libro “Cinquant’anni di alpinismo”: “L’anno seguente conosco l’eccezionale scalatrice Mary Varale, che diverrà celebre nel 1933 con la prima ascensione allo Spigolo Giallo della Piccola di Lavaredo con Emilio Comici e Renato Zanutti: con lei apro, il 2 luglio 1931, una bella via, la prima per me, sulla Guglia Angelina, Parete Est”.

Chi è dunque questa “eccezionale scalatrice”? Solo quella che arrampica con Cassin e Comici?
La moglie del noto giornalista sportivo Vittorio Varale?
Nel mondo alpinistico, prevalentemente maschile, se non maschilista, alle donne è sempre stata prestata poca attenzione e Mary Varale non è certo sfuggita a questa regola, anche se è stata, innegabilmente, una delle pioniere dell’alpinismo femminile italiano.

Nata a Marsiglia nel 1895, Mary Gennaro inizia da giovanissima a frequentare la montagna nel gruppo dell’Ortles e del Disgrazia e fra il 1924 e il 1935 scala 217 montagne sia in cordata che in solitaria. Nel 1924 effettua le prime scalate nelle Dolomiti con il famoso Tita Piaz che rimane impressionato dal suo talento. Negli anni seguenti, in cordata con le migliori guide dell’epoca (lo stesso Piaz, Dimai, Agostini, Pederiva, Comici) realizza molte difficili scalate, quasi tutte in “prima femminile”; una decina sono le prime ascensioni assolute e fra queste: la Cima dei Tre nel gruppo della Civetta-Moiazza, con Renzo Videsott e Domenico Rudatis (1930); la Guglia Angelina nelle Grigne con Riccardo Cassin (1931); lo Spigolo Giallo alla Cima Piccola di Lavaredo, con Emilio Comici e Renato Zanutti (1933); la via diretta alla parete Sud Ovest del Cimon della Pala, con Alvise Andrich e Furio Bianchet (1934). ...

... Alla fraternità montanara e alla bontà umana, al buon umore e alla cordialità, Mary accosta anche la forza e l’animosità del carattere, pronto ad esprimere con decisione dissensi e contrarietà. Così, in seguito alla mancata concessione da parte del CONI, che agisce su proposta del Cai, delle medaglie al valore atletico (non concesse nemmeno ad Alvise Andrich e Furio Bianchet suoi compagni al Cimon della Pala, ma concesse ad altri alpinisti a suo parere meno meritevoli) nel 1935 Mary Varale si dimette polemicamente dalla sezione Cai di Belluno.

Oggi presso la Biblioteca Civica della città si può reperire fra le oltre duemila lettere che costituiscono il “Fondo Varale” lì istituito, anche quella autografa del 20 luglio 1935, completata con l’elenco delle ascensioni da lei compiute, con la quale Mary Varale rassegna le dimissioni. Le sue parole sono aspre ed inequivocabili: “In questa compagnia di ipocriti e di buffoni io non posso più stare, mi dispiace forse perdere la compagnia dei cari compagni di Belluno, ma non farò più niente in montagna che possa rendere onore al Club Alpino dal quale mi allontano disgustata anche per una ingiustizia commessa col rifiutarmi un articolo”.

In seguito al suo allontanamento dal Cai, poco a poco riduce l’attività in montagna, anche a causa di una grave forma di artrite che la colpisce ancora giovane. Nei lunghi anni d’immobilità è il marito Vittorio ad assisterla, fino alla morte che sopraggiunge a Bordighera nel 1963.

Pensare a questa donna che nel 1935 ebbe la decisione di scrivere una lettera di tal fatta suscita grande ammirazione: carattere da vendere e grande coraggio, certamente ancora più che a salire una parete di 6° grado. Tanto di cappello a Mary Varale, pioniera dell’alpinismo femminile ma soprattutto una donna, lei sì, di 6° grado.

[Da intraisassblog per gentile concessione di Antersass Casa Editrice]