Corriere delle Alpi 03/09/2015 - Articolo di Francesco Dal Mas
Marmolada, il ghiacciaio ha ridotto lo spessore
della metà.
Annata tragica per i ghiacciai delle Dolomiti che si stanno sciogliendo ad
un ritmo impressionante.
Un maxi k-way per difendere la Marmolada dall’effetto serra, che sta
sconvolgendo il clima non solo delle Dolomiti ma del pianeta, al punto
che il presidente Usa, Barak Obama, ha lanciato l’Sos per l’Alaska.
In Veneto la battaglia simbolo riguarda la Marmolada dov’è scattata la
corsa contro il tempo per salvare quanto rimane del ghiacciaio più
grande della nostra regione, al confine tra le province di Belluno e di
Trento.
La società funiviaria di Mario Vascellari ha coperto di grandi teli di
naylon tre punti della pista che per 12 chilometri (la più lunga
d’Europa) scende da punta Rocca, incrocia punta Serauta e si fionda
verso il basso.
Si tratta di tre grandi fazzoletti, di colore bianco (per non assorbire
la luce, tre centimetri circa di spessore), che coprono passaggi
strategici dell’area sciabile, che d’inverno è una vera delizia per gli
appassionati della neve.
Sono stati posizionati all’uscita della stazione di punta Rocca, a 3.300
metri, vicino al tunnel intermedio di punta Serauta (dove si trova
l’innovativo museo della grande guerra) e presso una curva nella parte
sottostante.
«La protezione è stata concordata con le pubbliche amministrazioni e
gli ambientalisti - spiega l’ingegner Vascellari - e ha lo scopo
di preservare neve e ghiaccio dallo scioglimento per le alte temperature
estive. Vogliamo evitare la produzione artificiale per la pista, con
notevole risparmio energetico e contrastare lo spazzamento eolico della
stessa neve che provoca accumuli accanto a vuoti», con seri problemi per
chi deve fare lo slalom tra i cumuli di neve senza avere le gambe
allenate.»
«I risultati positivi sono riscontrabili a vista d’occhio -
certifica Guido Trevisan, gestore del rifugio Pian dei Fiacconi, che ha
percorso il trattato alla fine della scorsa settimana - nel senso che
la neve protetta dai teloni fa un scalino di un metro, a volte
addirittura due, con quella che non ha copertura».
Le temperature in queste settimane sono state altissime. Per avere lo
zero termico si sarebbe dovuto salire di altri mille metri rispetto alla
vetta del ghiacciaio, il più grande del Veneto, raggiungere quota
quattromila.
I
dati degli esperti sono drammatici. I glaciologi che recentemente hanno
fatto alcune misurazioni alla Forcella a VU, teatro di sanguinosi
scontri cento anni fa durante la prima guerra mondiale, hanno scoperto
che il ghiacciaio, in quel sito, non ha uno spessore di quattordici
metri, ma soltanto di sette. Quest’inverno sono scesi sei metri di neve,
l’anno prima almeno tredici metri.
«Tutta la neve di quest’anno si è liquefatta - racconta Trevisan,
che mostra delle foto sul tratto iniziale di pista, appunto a tremila
metri, con neve color grigio, sciolta dal sole. - Questa è l’unica
rimasta ed ha il colore della sabbia, perché risale all’inverno
2013/2014. Il che significa che sono spariti almeno 10 metri di manto
nevoso».
Attilio Bressan di Malga Ciapela, una vita dedicata al soccorso alpino,
conferma di aver ascoltato, l’altro giorno, a metà massiccio, dei «rumori
inquietanti: sembravano di torrenti ingrossati». Fiumi d’acqua che
scendono attraverso i crepacci e arrivano laggiù in basso dove si
affacciano ancora i recuperanti.
«Il fronte del ghiacciaio è, quest’anno, paurosamente arretrato»
conferma il sindaco di Rocca Pietore, Andrea De Bernardin. Trevisan si
affaccia al suo rifugio e scorge, sul terrazzo di Punta Rocca, delle
persone.
«Ecco, quelle ho cominciato a vederle quest’estate, fino all’anno
scorso riuscivo ad intravvedere, a malapena, la punta delle antenne, più
alta di dieci metri».
E allora? «Allora vuol dire che il ghiacciaio ed il soprastante
nevaio hanno perso dieci metri di spessore».
Il cappotto al ghiacciaio lo ha deciso Mario Vascellari, l’imprenditore
dello sci più apprezzato dagli ambientalisti per i suoi approcci di
sostenibilità con l’alta montagna, insieme all’associazione Mountain
Wilderness, a Cipra, e alle province di Trento e Belluno.
«La scelta non è singolare. - spiega Luigi Casanova di Cipra -
E’ motivata non solo dall’esigenza di riparare il ghiacciaio dallo
scioglimento delle alte temperature, quanto dalla necessità di
preservare la neve caduta e di non doverla movimentare in vista della
preparazione delle piste. Con un risparmio sul piano energetico e di
forte contrasto all’inquinamento».