La cresta infinita

di Francesco Pompoli

Salita al Picco dei Tre Signori (3498m), Agosto 2000.

La valle dell’Adige scorre veloce fuori dal finestrino, la striscia di asfalto sparisce sotto al cofano della macchina, il termometro dell’aria esterna sul cruscotto segna 32°C e le mie palpebre inesorabilmente si chiudono ogni due minuti per poi riaprirsi subito dopo con una piccola scarica di adrenalina… da quando ho recuperato la mia macchina a Ora ho già preso due caffè, sommato a quello del ristorante fanno tre in tre ore però e come se avessi bevuto acqua… beh, fretta non ne ho, dopo aver salvato la pellaccia in ghiacciaio mi scoccerebbe proprio lasciarla contro un TIR sull’Autobrennero…all’autogrill successivo mi fermerò per dormire !

Avete mai notato che agli autogrill non c’è mai uno straccio d’ombra ? Fermo l’auto (nera, ovviamente…) e provo a chiudere gli occhi ma in due minuti i 25° condizionati sono solo un ricordo… boccheggio qualche altro minuto e poi rinuncio, ingollo una Coca media (per la caffeina, io odio la coca !) e riparto deciso, vediamo un po’ quanto duro ancora…facciamo così, proviamo a rivivere i bei momenti di questi giorni, magari in questo modo mi passa meglio…

 

Il manipolo del CAI Ferrara si trova a fine Agosto sparso per il Trentino, a parte Tiziano che invece era giù al lavoro. Come le rondini che migrano verso sud d’inverno, noi con il bel tempo convergiamo tutti verso la meta individuata e studiata durante i Martedì in sezione: Picco dei Tre Signori, in Valle Aurina. Con Tiziano ci troviamo ad Ora e proseguiamo facendoci un po’ di compagnia, dopo un toast con immancabile birra media e un bel gelato alle tre arriviamo nella verdissima valle; certo che questi tirolesi la montagna la tengono veramente come uno specchio ! Nonostante il caldo, su diversi prati con inclinazioni impossibili contadini teutonici spingono tagliaerba radendo chissà cosa visto che i prati sembrano già perfetti… ma come fanno a stare in equilibrio, che usino i ramponi ?!?!

La novità della valle è che ci bloccano l’auto a Casere, due Km prima che la strada finisca, ma per ora la cosa non mi preoccupa per niente… un po’ di allenamento in più non farà male, anche se il sacco è pesantino con picozza, ramponi, attrezzatura da roccia, corda e tutto il resto. Mentre prepariamo gli zaini soppesando ogni cosa, arrivano anche gli altri due, Ruggero e Antonio accompagnati dalle rispettive consorti. Si parte allora, lungo la bellissima valle ammiriamo prati, torrenti, cascate imponenti, splendidi cavalli, e intanto ci avviciniamo lentamente allo strappo finale, quello che porta ai 2440m del Rifugio Tridentina. Arrivati alla testa della valle finalmente, in uno splendido prato percorso da mille rivoli lucenti per la luce del tardo pomeriggio, si apre alla nostra destra il panorama mozzafiato verso la nostra cima, il Picco con il suo tormentato ghiacciaio vistosamente agonizzante nella sua parte più bassa, con ghiaccio ormai completamente scoperto e crepacci ben delineati. Della cima mi colpisce subito quello che da lontano sembra essere un gigantesco panettone ghiacciato sulla sinistra, al termine della lunga cresta rocciosa; il sole lo illumina e già non vedo l’ora di esserci, lassù ! Con lo sguardo pieno di questa luce magica ci inerpichiamo per il ripido sentiero e dopo un’oretta mi ritrovo sul prato davanti al rifugio a godermi lo splendore delle ultime ore del giorno, la pace che le cime e i ghiacciai da una parte e la lunghissima valle al tramonto dall’altra infondono nel mio animo tormentato; solo in questi momenti quest’estate riesco a trovare un po’ di serenità, il cuore sembra risollevarsi, la mente vagare spensierata insieme allo sguardo tra cime, creste e ghiacciai, il fisico sprigionare energie inesauribili…

Mentre i compagni si sistemano in stanza io indugio qui fuori, percorro con gli occhi le vie tra le vette, ogni tanto butto anche un’occhio alla bella ragazza che a pochi metri da me sembra anche lei rapita dalla montagna; solo il mio solito impaccio mi impedisce di tentare un approccio, penso nella mente una frase ad effetto per attaccare discorso ma improvvisamente due sorelle giungono a darle manforte… niente di peggio per un timido che attaccare pezza a tre ragazze, per giunta sorelle ! Beh, se la mia massima aspirazione è poter vivere di montagne, devo anche imparare ad accontentarmi di queste, tantopiù che ormai gli ultimi raggi illuminano la cima incendiandola e poi lasciano spazio alle prime stelle luminose… un ultimo sguardo e poi a tavola, visto che le altre forchette sono già al lavoro ! Nell’accogliente rifugio, con un buon litro di vino rosso, si comincia a parlare di programmi e subito Ruggero e Antonio insinuano dubbi sulla meta dell’indomani: salita per la cresta Nord Ovest fino alla cima e discesa per la via normale; in effetti da qui sembra lunghetta, loro vogliono tornare in serata all’albergo a Cencenighe, in più le loro mogli il giorno dopo saranno al rifugio in loro attesa… insomma, loro vanno per la normale che è più veloce. Dopo un rapido consulto io e Tiziano decidiamo invece per il programma originale, entrambi abbiamo voglia di muover le mani, abbiamo fatto tanti Km e non tanta fretta di abbandonare questo paradiso, la cima ce la conquisteremo su questa via che la guida descrive come abbastanza difficile, lunga e poco ripetuta. Il dopocena passa tra due chiacchiere con il rifugista, che si stupisce un po’ della nostra intenzione di fare la cresta e ci dice che è per "esperti" e una bella bevuta con il pittoresco Babbo e i suoi tre discepoli: un buffo personaggio sui cinquant’anni già decisamente allegro (causa alcool, of course) e tre ragazzi più giovani che cominciano a raccontarmi delle avventure loro e del capo spirituale, salito almeno una ottantina di volte nell'ultimo anno sul monte Baldo (il pensiero corre a Gabriele e le sue innumerevoli ripetizioni della Ardizzon al Falzarego…). Tra una grappa e l’altra viene l’ora di raggiungere gli altri a letto, la sveglia è già vicina ormai, inesorabilmente fissata alle ore 4.

 

Come per ogni ascensione i miei occhi si aprono prima della sveglia, la stanchezza e il torpore del sonno spariscono al pensiero della difficile salita, la mente comincia subito a lavorare, la sensazione di affrontare l’ignoto mi da’ quella strana sensazione che penso che ogni alpinista provi e che poi sparisce dopo i primi passi, quando invece tutte le difficoltà giungono e spariscono con molta più naturalezza; credo sia quella sensazione che ha spinto e spinge anche i più grandi, ed è la stessa sensazione che invece porta ad abbandonare l’attività quando uno non trova più dentro di sé la voglia di affrontare e risolvere queste incognite…bando alle ciance, comunque ! Un rapido elenco mentale della roba nello zaino, ancora sotto alle coperte e poi si scende e ci si incomincia a preparare, si ingolla la scarsa colazione lasciata sul tavolo dal rifugista la sera prima e poi si esce finalmente e vedere il tempo e saggiare la temperatura esterna: non potrebbe andare meglio, il cielo è tappezzato di stelle, ancora completamente scuro in questa fine di agosto, ma l’aria non è freddissima, ci carichiamo gli zaini e partiamo senza altri indugi.

Dopo circa un’ora di morena, alle prime lingue del ghiacciaio, è giunta l’ora di separarsi: Ruggero e Antonio calzano i ramponi, si legano e cominciano a obliquare sul ghiacciaio fino al caratteristico intaglio a "V" che porta sulla vedretta di Lana e poi verso la cima; io e Tiziano invece, dopo un ultimo sguardo ai due compagni che hanno scelto la via normale, ci giriamo e scrutiamo la nostra cresta, almeno 200m sopra le nostre teste; la nostra via comincia lassù, ma per ora il problema è arrivarci ! Tra un canale franoso con un residuo di neve sporca e una parete di un centinaio di metri apparentemente facile scegliamo la seconda e a comando alternato cominciamo a salire; certo che con scarponi (io ho le pedule !) e zaino pesanti non si arrampica come con le scarpette ! Questo terzo grado ci fa sudare un po’ , soprattutto quando si tratta di trovare la via giusta e ci toccano traversi non proprio simpatici… Alle 9 ci troviamo finalmente sulla cresta, a 2900m, illuminati in pieno da un bellissimo sole, e davanti a noi si apre lo spettacolare panorama dei ghiacciai, le creste e le cime austriache; in controluce invece si staglia tutta la nostra via: la cresta scura, la zona innevata che ora appare come un dolce pendio nevoso, l’ultimo salto per raggiungere la cresta superiore e poi la cima, in parte nevosa. Vista l’esposizione notevole e la friabilità della roccia decidiamo di comune accordo di proseguire in cordata, a comando alternato, passando la corda tra gli spuntoni ed utilizzando ogni tanto i dadi e gli eccentrici che ci siamo portati. Procediamo senza grossi problemi, spostandoci ogni tanto sul versante austriaco ed ogni tanto su quello italiano a seconda degli ostacoli che ci troviamo davanti; la via è divertente e spettacolare, l’accordo ottimo, il sole ci scalda anche se un po’ di vento ci costringe a tenere le giacche in goretex. Ogni tanto dalla sosta io e Tiziano ci fotografiamo a vicenda, i tiri si susseguono fino ad uno spigolo roccioso descritto dalla guida che ormai ricordiamo a memoria; qui troviamo il primo chiodo (è la prima traccia di passaggio umano !) e dobbiamo obliquare a destra per poi tornare direttamente sulla cresta. Il tiro tocca a Tiziano, ho fatto sicura sul chiodo e lui parte su una placca quasi verticale con sotto almeno 300m di vuoto e i crepacci del ghiacciaio come bocche spalancate sul fondo; lo zaino sembra tirarlo giù, le suole degli scarponi gemono in aderenza, finchè lo vedo sembra tribolare parecchio, poi sparisce dalla mia vista e la corda si muove molto lentamente… la guida parla di III+ però la cosa non mi sembra proprio così tranquilla ! Dopo parecchio sento l’urlo di Tiziano che recupera corda, libero la sosta e mi preparo a partire: le mie pedule non sono proprio il massimo su questa placca, cerco qualche tacchetta ma la suola si piega inesorabilmente… maledizione, sono mesi che rimando l’acquisto dei Nepal, mi stramaledico per la mia riluttanza a spendere un buon quarto di stipendio in un paio di scarponi seri; anche per le mani poi, non è che ci sia granchè: qualche lama spesso inclinata che poi termina nel nulla, qualche piccolo appiglio molto basso o fuori posto, qualche sasso precario… seguo la corda e mi ritrovo bloccato… maledizione, Tiziano deve essere passato più sotto ! Mi tengo con le ultime forze, mi fido per disperazione più che per convinzione dei miei piedi, per miracolo mi ritrovo un metro più in basso e vedo il passaggio… vedo anche il rinvio, almeno 8 metri più in là… per poco non mi faccio un signor pendolo ! L’adrenalina è a mille, mantengo la calma e dopo qualche altro passaggio un po’ delicato arrivo in sosta; senza dire niente riempio i polmoni d'aria, prendo le consegne, scruto la parete e tento di ritornare in cresta con un tiro verticale che mi impegna abbastanza.

Finalmente il sole torna a illuminarci, Tiziano riemerge dallo scuro versante italiano ed entrambi tiriamo il fiato; "complimenti Tiziano, ti sei fatto un signor tiro, sul traverso ! Io me la sono vista brutta, non so tu come hai fatto a passare !" gli dico ammirato, e lui "anche il tuo ultimo tiro non era certo da meno…". Riprendiamo il filo di cresta, che ora si fa più facile, e arriviamo finalmente a quella che una volta era una calotta nevosa ed ora una piccola spianata di detriti. Siamo a quota 3014m, da cui si procede con una calata di 40m in doppia senza ritorno (a quel che ci ha detto il rifugista) per cui dobbiamo decidere il da farsi; uno sguardo all’orologio mi stupisce, sono quasi le 12 ! Il tempo è volato, ma la guida descrive come migliore la roccia successiva e la calotta di neve dovrebbe farci recuperare parecchio tempo; ci consultiamo ma entrambi abbiamo voglia di continuare e a tornare indietro ora nessuno dei due ci pensa. Ci fermiamo un attimo a mettere qualcosa sotto i denti e poi cominciamo a cercare chiodi per la doppia: niente ! Non si trovano, toccherà affidarci ad uno spuntone ! Dopo una prima calata obliqua per roccette, la seconda più impegnativa nel vuoto, vicino ad una gialla parete strapiombante completamente marcia; Ricoperto di polvere Tiziano arriva sulla stretta forcella da cui riparte la cresta, ora tocca a me scendere; il secondo spuntone però non mi convince molto, la corda si è interrata e sembra fare molto attrito: chiedo a Tiziano di provare a recuperare la corda (i freschi insegnamenti del corso di alpinismo …) che infatti non scorre ! Wow, che occhio, penso ! Sistemo un po’ meglio la corda e mi calo, mangiandomi la mia dose di polvere gialla. Quando è il momento di recuperare la corda… non viene ! Dapprima con calma, e poi sempre più convulsamente le proviamo tutte, dagli strappi ai tiri opposti, dalle parolacce agli improperi… niente, come tirare un elastico ! Si tende per qualche metro e poi ritorna al suo posto ! Ci troviamo con 400 metri di vuoto a destra e a sinistra e mezzo Km di cresta davanti, e la corda è bloccata ! Pergiunta, la parete scesa è impossibile da risalire, almeno da questo lato…dopo un momento di sconforto addocchiamo il lato austriaco, che sembra per lo meno abbordabile… mi offro per tentare il recupero, sistemo un prusik sulla doppia maledetta e comincio ad arrampicare rinviando quando posso la corda pr evitare un pendolo nel vuoto; in effetti, da sotto sembrava peggio, in dieci minuti sono di nuovo allo spuntone e vedo cosa ci stava per fregare: lo scotch che indica il mezzo della corda, incastrato nel terriccio ! Cerco qualcos’altro per piazzare la doppia e alla fine, nascosto sul lato austriaco, trovo un vecchio chiodo con cordino sbiadito: la prospettiva di calarmi su quello non mi alletta molto, però piuttosto che risalire a sbloccare di nuovo la corda … dopo due strappi ben assestati per verificare il chiodo mi metto nelle sue mani e mi calo mooolto dolcemente per evitargli stress eccessivi, e in due minuti sono di nuovo a fianco di Tiziano: peccato però che abbiamo buttato via un’altra ora e mezza con questo contrattempo, ora sarà meglio darsi una mossa ! Comunque siamo ancora fiduciosi, la guida parla ora di divertente arrampicata su roccia compatta e ricca di appigli, poi ci attende la neve; vorrà dire che correremo un po’ in discesa ! D'altronde, vie di fuga laterali non ce ne sono proprio, quindi… all’opera ! I tiri successivi sono effettivamente belli, una strana placca liscia, compatta e ben appoggiata ci consente un elegante Dulfer con mani sulla lama di cresta, i piedi in Italia e lo sguardo verso le splendide cime austriache ! Peccato però che tra una foto e l’altra questo bel tratto duri solo due o tre tiri, poi riprendono i grandi massi appoggiati, le rocce non molto solide, la via da cercare in questo cumulo di pietre disgregate dalle azioni climatiche di millenni. Verso le 17 arriviamo finalmente nella zona nevosa, quella che ci dovrebbe velocemente portare in vetta; la luce è cambiata parecchio, ormai una sfumatura rosa colora il pendio che da lontano non ci era sembrato impegnativo ma che adesso ci opprime con i suoi 50° di pendenza di ghiaccio abbastanza tenero… anche questa non sarà una passeggiata, fortuna che Tiziano è un appassionato di ghiaccio e con entusiasmo inforca i ramponi, sfodera la seconda picca da piolet e attacca il pendio facendo sosta su un chiodo da ghiaccio al termine della lunghezza di corda; io, dapprima un po’ riluttante, poi sempre più a mio agio, lo seguo cercando di perdere meno tempo possibile e dopo quattro tiri finalmente il pendio spiana fino sotto ad una parete rocciosa completamente franosa; attraversando il pendio mi ritrovo con una gamba dentro un piccolo crepaccio completamente invisibile, fortuna che è stretto così dopo un attimo di spavento mi tiro su senza che Tiziano nemmeno se ne accorga; ormai stiamo cercando di forzare i tempi, la luce cala e la cima resta sempre lontana…mentre procediamo io comincio a fare calcoli per riuscire ad uscire da qui con la luce ma è sempre più evidente che il buio ci coglierà ancora sulla via… l’ultimo ostacolo prima della cima è un ex parete di neve di una ottantina di metri ridotta ad un pendio di sassi rotti e fango; qui prendo l’iniziativa io, pur di uscire mi lancio in una improbabile salita in piolet su fango (senza tanti riguardi per la picca prestatami da Simone…), e recupero con sicura a spalla, senza riuscire a piazzare una sola sicurezza sul tracciato. Alle 19:30 raggiungiamo finalmente la cresta finale e veniamo travolti da raffiche fortissime di vento; in almeno due casi mi sento sbattere verso l’abisso ma per fortuna sono tutte e due le volte in sosta mentre recupero Tiziano… la luce ora è veramente mozzafiato, ho sempre desiderato essere al tramonto su una cima importante, ho sognato leggendo il racconto di Leslie Stephen e del suo tramonto sul Bianco, ma ora sinceramente tutta questa poesia mi sfugge e solo qualche rapida occhiata e una foto immortalano questo momento indimenticabile. Per un pendio nevoso ci ricongiungiamo con la via normale a pochi metri dalla cima, mentre il sole sparisce dietro le cime occidentali e il vento si fa scorbutico; propongo a Tiziano di affrettarci verso la discesa finchè c’è luce, ma lui a pochi metri dalla vetta non vuole rinunciare e quindi ci incamminiamo verso lo strappo finale. Alle 20 siamo finalmente sull’agognata cima, il vento mi impedisce di cambiare il rullino della macchina fotografica, mentre il freddo ha bloccato quella di Tiziano… è una beffa per due fotografi come noi, non poter fare la foto di vetta ! Impossibile anche infilare i pantaloni anti-vento, dopo uno guardo a 360° che mai potremo ricordare con la nitidezza di una diapositiva ci affrettiamo verso la discesa sulla via normale, mentre l’oscurità avanza velocemente come succede a fine Agosto. La neve è dura e si riescono solo vagamente ad intuire i passi di chi oggi ci ha preceduto in vetta; la luce sparisce definitivamente mentre ci avviciniamo alla sella da cui si prende il ripido pendio per la vedretta di Lana; in lontananza, la luce rassicurante del rifugio ci indica la nostra meta, ma sappiamo che la via è ancora lunga e difficile, soprattutto di notte; accendiamo le frontali (fortuna che le abbiamo infilate nel sacco !) e procediamo in conserva fino a che la pendenza non diventa preoccupante; il pendio a 45° almeno è ghiacciato, nel buio si scorgono solo i pochi metri illuminati e poi lo scivolo sparisce nel vuoto; ormai è inutile affrettarsi, meglio ricominciare la progressione in cordata, alternativamente uno di noi si avventura al buio giù per il pendio cercando di intuire la via e finita la corda pianta un chiodo da ghiaccio, urla nel vento al compagno di venire e spegne la frontale per risparmiare un po’ di luce, accendendola ogni tanto per indicare la direzione. Il vento intanto continua a soffiare con raffiche potenti, ogni tanto nuvoloni nerissimi passano sopra le nostre teste a velocità impressionanti scaricando scaglie di ghiaccio e andandosene velocemente lasciano posto a qualche stella.

Tiziano mi dice di tenermi sulla sinistra del pendio, ma a me la cosa non piace: intuisco vagamente delle impronte verso destra e al buio vedo sulla sinistra ombre scure che significano rocce, mentre sulla destra la lingua di neve sembra scendere maggiormente; mi impongo allora insistendo per quel lato, come guidato da un intuito non certo affinato dall’esperienza (è la mia quinta via in ghiacciaio) mi dirigo nella giusta direzione fino ad incontrare un ultimo tratto roccioso che ci deposita sulla vedretta di Lana. Tiriamo un attimo il respiro, ora possiamo riprendere in conserva e il pendio si fa più dolce; sulla sinistra cerchiamo di scorgere tra le ombre scure della cresta il famoso intaglio a V che dovrebbe condurci sull’ultimo ghiacciaio e poi al rifugio. Ancora non riusciamo a trovarlo, continuiamo ad avanzare ad intuito o scorgendo qualche traccia, cominciamo a trovarci davanti crepacci bui e li saltiamo uno ad uno; ogni volta aspetto Tiziano, salto, aspetto il suo illuminandolo e poi ripartiamo… ormai procediamo con il pilota automatico, concentrati a scorgere segnali di passaggio e ombre sospette che celano abissi profondi, quando improvvisamente un potente boato ci ammutolisce nel silenzio della notte: una frana probabilmente gigantesca cade da qualche parte intorno a noi e l’unica cosa che possiamo fare è aspettare che smetta, senza poter vedere se è caduta a pochi passi da noi o in lontananza… finalmente verso la mezzanotte esce la luna che ogni tanto riesce a vincere le nuvole e ci illumina brandelli di ghiacciaio; lentamente ci avviciniamo a quello che potrebbe essere l’intaglio, quando finalmente tra le due pareti della cresta rispunta la luce rassicurante del rifugio… ci siamo, ormai è fatta ! E’ l’una e mezza, e dalle 12 non mettiamo niente sotto i denti e addirittura non beviamo; decidiamo di sostare un po’ e mettere mano alle provviste, anche se non abbiamo fame buttiamo giù un panino, una mela, della cioccolata e un sorso d’acqua; con questo freddo veramente preferiremmo un bel thè ma ci dobbiamo accontentare…io da parecchio ho freddo alle punte dei piedi, le mie pedule da trekking sono ormai umide e i ramponi ben stretti mi hanno fermato un po’ la circolazione; le punte non le sento e cerco di riattivarle sfregandole negli scarponi e pestando un po’ i piedi… il resto va bene, la stanchezza non si sente, il morale è alto, stiamo vivendo tutti e due questa avventura con sufficiente calma e senza grossi patemi, sicuri che tra un po’ saremo al calduccio nel rifugio e ci faremo una colazione gigante ! Una volta ripartiti la frontale di Tiziano comincia ad affievolirsi, ormai avanza quasi al buio e per lunghi tratti la spegne; alla forcella scopriamo che ci aspetta un tiro di corda su roccia franosa e fango, quello che probabilmente fino a pochi anni fa era un comodo passaggio su neve tra i due ghiacciai; attacco anche qui con la mia rivisitazione di piolet-traction su schifezze, penso a Simone e alla sua picozza con un po’ di dispiacere ma poi mi faccio pochi problemi e a tratti affondo tutto il manico nel fango pur di tenere in questo marciume; un po’ in affanno Tiziano mi raggiunge sulla Vedretta di Predoi e riprendiamo attraversando il ghiacciaio in obliquo ricordando a memoria il percorso di Ruggero e Antonio che avevamo intravisto dalla cresta il giorno prima; i crepacci aumentano di numero mentre ci avviciniamo sempre più alla luce del rifugio, io già mi pregusto la colazione e la dormita successiva ma per Tiziano saltare i crepacci al buio è sempre più difficile; io lo aspetto e dopo aver saltato gli illumino le labbra di ghiaccio spalancate ma anche la luce della mia pila ormai non è molto intensa… già scorgiamo in un mare di crepacci le prime rocce, sulla sinistra a poche decine di metri sembra cominciare la morena ma il labirinto si fa inestricabile e la direzione sempre meno evidente; alla fine il mio compagno, che avanza alla cieca, propone di fermarsi e aspettare l’alba su alcuni sassi. Sono le 3:30, mancano due ore alla luce; la notte qui è più calma, il vento poco più che una brezza; io continuerei ancora, ormai mi sembra di toccare la luce del rifugio con un dito ma non è giusto che insista: se non se la sente è giusto così, inutile rischiare quando tra due ore potremo uscire in tutta calma da lì ! E così proviamo anche questa esperienza, ci sediamo su due rocce e cominciamo ad aspettare l’alba procedendo prima ad una vestizione con tutto quello che era rimasto nello zaino e poi ad una scorpacciata di dolci e frutta avanzati; chiacchieriamo un po’, ci godiamo questi momenti indimenticabili sotto un cielo stellato, un silenzio rotto solo da qualche scarica e dallo scioglimento del ghiaccio che provoca rivoli che scorrono verso valle, ognuno di noi rivive le emozioni della giornata e insieme ci scambiamo i ricordi più vivi, battiamo un po’ i denti per il freddo (2°C) nonostante la notte mite e ogni tanto le nostre teste cadono per un istante assopite per poi risvegliarsi subito all’idea del crepaccio al nostro fianco; siamo noi due, soli in mezzo ad un mare di roccia e ghiaccio; è incredibile il sentimento di fratellanza che ci unisce in questo momento, bastano poche parole per capire che siamo in sintonia, che stiamo condividendo qualcosa che appaga entrambi e che va oltre le nostre aspettative, che quello che abbiamo vissuto insieme questa notte lo porteremo sempre con noi e cementerà la nostra ancora giovane amicizia.

E’ difficile trovare una posizione comoda su questi sassi in bilico, provo a distendermi ma il freddo aumenta con la superficie esposta e ritorno in una posizione accovacciata, finchè lentamente il nero della notte non lascia il posto ad un blu cobalto, all’azzurro scuro che vira infine ad un tenue rosa dietro la nostra cima; rapiti, la guardiamo lentamente diventare più chiara e ripercorriamo con lo sguardo la lunga via percorsa. Va bene essere innamorati della montagna, però sono 24 ore che siamo fuori !!! Bando alle ciance e usciamo da questa trappola di ghiaccio ! Ora con la luce la via è semplice, qualche ultimo crepaccio da saltare, qualche roccetta da scavalcare e poi ci buttiamo sulla morena togliendoci finalmente quella corda che ci univa dal mattino precedente, ormai inzuppata di acqua e fango fino a pesare l’inverosimile ! (Mi sono offerto di portare la corda ed ora mi pento…). Ci affrettiamo verso il rifugio, ansiosi di arrivare; la tensione sta ormai scemando e con essa giunge la stanchezza: come automi proseguiamo sulla morena, ormai indifferenti allo spettacolo del sorgere del sole sulle cime che contornano la Valle Aurina, nella mente solo un thè caldo e un meritato riposo nel letto rimasto vuoto tutta la notte… già ma che diranno al rifugio ? Tra me penso che forse si saranno un po’ preoccupati però hanno potuto vedere le nostre piccole luci sul ghiacciaio nell’oscurità. Arriviamo tranquilli mentre due tedeschi stanno scrutando con un binocolo la cima, neanche ci degnano di uno sguardo; ci togliamo di dosso lo zaino che ormai era diventato una seconda pelle e entriamo nella sala, ansiosi di mettere i piedi sotto la tavola (e il sedere su una sedia…). Una volta ordinata la colazione al simpatico ragazzino che serve ai tavoli la gente comincia a guardarci un po’ strano e a bisbigliare, poi arriva la moglie teutonica della guida che gestisce il rifugio e con tono accusatorio comincia la ramanzina sul nostro comportamento e la nostra incoscienza… Tiziano purtroppo è andato in bagno, io devo cercare di contenere il torrente in piena con frasi di circostanza e sorrisi rassicuranti ma tutti nella sala ci guardano con disapprovazione… erano tutti preoccupati per noi e stamattina avrebbero chiamato i soccorsi. Ma chi se ne frega, penso ! In fondo, abbiamo forse sbagliato nella valutazione del percorso, oppure non siamo stati in grado di procedere in conserva anche su terreno parecchio instabile, però non abbiamo rotto le palle a nessuno e ce la siamo cavata senza affanni con le nostre forze e capacità. Credo che anche questo sia un modo di crescere come alpinisti e di fare esperienza, saper affrontare l’ignoto piuttosto che il conosciuto, cercare di far fronte con le proprie capacità (e incapacità…) agli eventi e alle condizioni della montagna, eventualmente sbagliare ma saper trarre insegnamento dai propri errori… quello che per molti può essere un itinerario banale per noi è stata una faticosa conquista e anche ripensandoci non possiamo che andarne fieri !

Dopo una colazione del tutto insoddisfacente, chiediamo umilmente di poter riposare due ore prima di scendere alla macchina, ben sapendo quanto interminabile sarà la strada per arrivare al parcheggio e poi a casa, 350 Km più a sud… ovviamente ci viene negato questo piccolo piacere e noi ci accampiamo di conseguenza sui tavolacci di fronte al rifugio e schiacciamo un pisolino riscaldati dal sole mattutino; alle 9:30 ci rassegniamo all’ultima fatica e comincia la interminabile discesa per la valle; lo zaino di nuovo strapieno, con corde e cordini umidi è diventato pesantissimo, sega le palle senza pietà e ogni dieci minuti lo tolgo per avere un attimo di riposo; intanto, in condizioni a dir poco pietose, cominciamo ad incontrare escursionisti con famigliole al seguito, che ci scrutano come se fossimo marziani; le ultime energie le spendiamo a contare i passi che ci mancano alla macchina e a fantasticare sul faraonico pranzo a cui tra poco ci abbandoneremo !

 

Che dire ancora, mentre le ultime curve nella campagna del Polesine mi portano verso casa…la sensazione è quella di aver vissuto una esperienza indimenticabile, di quelle che si serbano nella memoria per tutta la vita e si raccontano ai nipoti davanti al camino; purtroppo c’è anche quella sottile amarezza che mi accompagna ad ogni rientro dalle montagne, quella sensazione di aver abbandonato un luogo magico e dover tornare ad una realtà nella quale proprio non mi ritrovo… non ho voglia di tornare a parlare a persone che non mi capiscono e non condividono con me queste emozioni, di affrontare una quotidianità che non mi appassiona né mi stimola… l’unica compagnia per i prossimi giorni saranno i ricordi delle splendide ore passate lassù, così vicino al cielo, e soprattutto di quel silenzio notturno nel mezzo del ghiacciaio.