La cosa era nata in maniera casuale.
Il giovane aveva telefonato al vecchio per comunicargli che
aveva pensato di rinunciare alla scalata a tre programmata giorni prima;
questi gli aveva risposto che il terzo aveva avuto contrattempi e che,
quindi, sarebbero stati soltanto loro due.
"Allora che facciamo?" aveva chiesto il giovane.
"Guarda, ho avuto una settimana pesante. Fra lavoro, riunioni al Club
e discussioni varie non ho neanche la voglia di pensare dove andare;
scegli tu, hai carta bianca". Si sentì rispondere.
Ed ora erano lì, con la fotocopia in mano a guardare la parete e cercare
il sentiero per raggiungerla. La giornata era bella, come avevano
preannunciato le previsioni meteo.
Il sentiero fu presto individuato ed iniziarono a salire addentrandosi,
ripidamente, nel bosco. Il giovane camminava avanti veloce, i suoi
piedi sembravano solo sfiorare il terreno ghiaioso per subito
ridistaccarsene.
Il vecchio seguiva cercando nel controllo della respirazione il
modo di compensare il deficit di ossigeno che gli derivava da quel passo a
cui non era abituato. Arrivarono rapidamente sotto la parete, sudati, e
cominciarono i preparativi per l’arrampicata.
Avevano guardato, giù all’auto, la guida delle pareti, poi il giovane
aveva scelto l’itinerario ed il vecchio aveva annuito. Era
sufficientemente esperto di pareti per capire che quel giorno avrebbe
dovuto dare fondo a tutte le energie ed anche fare ricorso ai
"trucchi" del mestiere. Per questo aveva infilato nello zaino
una staffa e un "rampino" d’acciaio che si era fatto
costruire, tempo prima, da un amico fabbro.
Così si era interessato solo superficialmente alla relazione e alle
difficoltà della scalata, tanto sapeva per esperienza che i numeretti
servono soltanto a toglierti tranquillità e metterti delle ansie
ulteriori che sottraggono preziose energie psichiche. Aveva fiducia nel
suo giovane capocordata; in quando a lui, avrebbe valutato le cose al
momento. E venne l’ora dell’azione.
Il vecchio manovrando il mezzo barcaiolo guardava il giovane arrampicare:
dai suoi movimenti, dalle fatiche, dalle indecisioni, dalla velocità di
progressione avrebbe capito che cosa lo aspettava, quali sarebbero state
le difficoltà da superare.
Così capì che il primo tiro sarebbe stato abbordabile e, quando venne il
suo momento, lo salì tranquillo.
Poi venne il secondo e, dopo una decina di metri, ecco un tratto
strapiombante.
Il giovane lo superò con decisione e poi, girandosi verso il
basso, disse ridendo: "Ehi, tieni pronta la staffa per quando sarai
qui".
Ma il vecchio non se l’era presa.
Il giovane glielo aveva detto con tono di premura nei suoi
confronti, non certo per rimarcare che lui lì non ce l’avrebbe fatta.
Fu così che, venuto il suo momento e arrivato al punto topico, con lo
strapiombo all’altezza degli occhi, preparò la staffa, passò il
moschettone nel chiodo e salì senza pensare ad altro se non a fare in
fretta.
Così arrivò in sosta e fece i complimenti al giovane,
preparandosi nuovamente a fare sicura. Sopra di loro incombeva un diedro
minaccioso che disegnava un’ombra scura sulla parete, dalla fessura di
fondo si vedevano penzolare alcuni cordini. Il giovane lo raggiunse
e vi entrò con una manovra laboriosa e delicata. Passato il rinvio nel
chiodo vi inserì le corde e poi vi aggiunse un cordino a penzoloni.
"Strano – pensò il vecchio – che voglia utilizzare il
cordino per infilarvi il piede a mò di staffa, senza neanche avere
provato prima il passaggio".
Ma il giovane non vi infilò il piede e proseguì deciso.
Allora il vecchio capì che quel cordino era un aiuto per lui e
apprezzò molto che il giovane avesse avuto questa premura senza
fargliela notare.
Poi il giovane sparì oltre il diedro e lui rimase lì in compagnia
delle due corde e del mezzo barcaiolo.
Quando venne il comando di partire il vecchio si disse:
"Andiamo a vedere". Raggiunse abbastanza velocemente l’ombra
del diedro, arrivò al cordino, lo afferrò senza pensarci su issandosi
veloce e continuando fino ad uscire a sua volta dal diedro.
Ritrovò il sole e vide cosa lo attendeva.
"C’è una placca bastarda" disse il giovane dalla sosta
pochi metri sopra.
Il vecchio non si scompose, prese la staffa e la sistemò nel
chiodo salendo con il piede sul gradino più alto, ma si rese conto che,
ugualmente, il chiodo successivo era lontano e nemmeno il
"rampino" gli sarebbe bastato per raggiungerlo.
Era quello che la guida delle pareti definiva "difficoltà
obbligatoria". Allora fece una rapido ragionamento aiutandosi con i
gradi delle difficoltà. Escluse che fosse un c, perché aveva constatato
che dove c’era un c con un 5 davanti riusciva, di solito, a passare
senza grandi patemi.
Quindi pensò che fosse un a, quello con il 6 davanti, perché dove
c’era il b, sempre quello con il 6 davanti, il giovane gli aveva messo
il cordino al quale si era abbrancato. Ma se il giovane non aveva
pensato di mettere il cordino, si disse, vuol dire che ritiene che io lo
possa fare, quindi dev’essere un a con il 6 davanti.
Forte delle sue estrapolazioni cerebral-numeriche si concentrò sul
passaggio e lo superò guadagnando rapidamente la sosta.
La parete sopra continuava nella sua verticalità quasi ossessiva, ma il giovane
non dava segni di preoccuparsene, anzi; continuava piuttosto ad allungare
premurosamente i cordini sui chiodi dei passaggi più impegnativi. Il vecchio
oramai non si curava più della forma, ma badava alla sostanza, nel senso
che, cominciando a sentire le braccia dolergli, ritenne che uscire veloci
sarebbe stato la cosa più saggia e utile per cui, non facendo più
differenza tra cordini e chiodi, si abbrancò dove ce n’era la
possibilità e salì alla sosta più in fretta che gli fosse possibile.
Rimaneva oramai soltanto l’ultimo tiro di corda.
Il giovane partì verso l’alto, mentre da sotto un'altra cordata
stava salendo velocemente verso la loro sosta. Dopo alcuni metri il giovane
faticò per venire a capo di un tratto complicato, poi passò le corde e
allungò un paio di cordini verso il basso, proseguendo più speditamente
fino all’ultima sosta. Quando il vecchio partì i due della
cordata che seguiva avevano raggiunto entrambi la sosta. Erano di lingua
tedesca per cui si erano scambiati i saluti e due parole di circostanza
nel solito inglese scolastico che tutti conoscono. Salì i primi metri
abbastanza speditamente fino ad arrivare ai cordini che penzolavano e si
attaccò proseguendo oltre velocemente. Dietro di lui l’altro
capocordata saliva tranquillo, fischiettando.
"In arrampicata tutto è relativo – pensò il vecchio –
dove tu patisci altri salgono tranquilli". L’ultimo tratto era di c
con il 5 davanti, per cui arrampicò senza più attaccarsi ai cordini ed
arrivò alla sosta soddisfatto.
Le due cordate prepararono le corde doppie in contemporanea e scesero
quasi affiancate verso il basso. Videro tutti quei metri di roccia saliti
con fatica scorrere davanti agli occhi velocemente.
"Ecco dimostrato il magnifico inutile" pensò il vecchio
atterrando sulla testa del compagno dopo una cinquantina di metri dei
quali venti sospeso nel vuoto.
Scesero l’ultima corda doppia. L’altra cordata recuperò le corde,
salutò e scomparve rapidamente. Loro scesero con più calma il ripido
sentiero del bosco e raggiunsero l’auto a fondo valle.
Dopo mezz’ora erano al bar, seduti su di una panca del paesino a
crogiolarsi in maglietta al sole tiepido del pomeriggio, con un panino in
mano e una birra a fianco.
Parlarono in tranquillità, soddisfatti, delle loro esperienze comuni, di
progetti futuri, di qualche amico da coinvolgere in nuove arrampicate e,
quando il sole se ne andò scomparendo dietro alla montagna, anche loro se
ne andarono.
Così, casualmente, come erano arrivati.
Gabriele Villa
Ferrara, 27 ottobre 2002