Come riuscimmo a vincere la malia del Sass de Stria

di Gabriele Villa

 

La premessa.
Qui non si racconterà di imprese epiche, di lotta con l'Alpe, di apicchi e di strapiombi.

Non si scriverà di alpinismo in senso stretto ma, piuttosto, di alpinismo in senso vago.

Si racconterà di un gruppo di amici, casualmente e curiosamente assortito, che si dà appuntamento alle Dolomiti per spingersi su una parete sconosciuta per salirla là dove la logica alpinistica sembra indicare la giusta via.

La parete è inclinata, ma non banale, la via non è tracciata e nemmeno conosciuta, di conseguenza i chiodi di passaggio e gli ancoraggi di sosta non esistono, bisognerà sapersi arrangiare nell'assicurarsi, la roccia è a tratti friabile come sulle vecchie e rispettabili vie normali su cui, tanti e tanti anni fa, si formavano gli alpinisti "di una volta", quelli con gli scarponi, i pantaloni alla zuava, i calzettoni rossi e le camicione a scacchi con i rinforzi di pelle sulle spalle per le corde doppie alla Piaz o alla Comici.

Di conseguenza i capicordata hanno tutti il martello e i chiodi, oltre ai soliti friends e dadi, e i cordini a tracolla, nessuna relazione da leggere e consultare ad ogni tiro di corda, ma solo una spontanea voglia di salire là dove sembra più logico e sicuro, non per compiere imprese ma, più semplicemente e una volta tanto, per giocare "all'alpinismo".

 


 

L'appuntamento alla Baita.
Al solito posto, alla solita ora, penserete voi.

Invece no, il posto è un altro, direttamente tra i monti, cioè all'albergo la Baita di Andraz, sulla strada per il Passo Falzarego, mentre l'ora invece è indicativa, tra le nove e mezza e le dieci della mattina.

Ovvio che chi alla Baita era già arrivato il giorno prima si alza con calma, ha tutto il tempo di fare una ricca colazione e, infine, di uscire ad aspettare gli altri, riscaldandosi al sole di una giornata che si annuncia radiosa, al netto di un sempre possibile temporale pomeridiano. 

Nives si affaccia alla finestra a scherzare con Stefano, più in là Paola, la mamma di Nives, inizia a stendere il bucato in un prato traboccante di fiori variopinti, piccoli evidenti segnali di una gestione familiare che prevede anche si vada nell'orto a fianco dell'albergo a raccogliere l'insalata o la rucola che i clienti mangeranno a tavola la sera.

Intanto il grosso del gruppo, partito da Ferrara alle sei del mattino, sta viaggiando per arrivare all'appuntamento e, infine, ecco arrivare un pullmino rosso fiammante e un'auto al seguito, a pieno carico, tredici anime che con le quattro in attesa fanno diciassette, numero fatidico che, dicono, "porta sfiga", ma qui nessuno è superstizioso.  

Ci si saluta, si ride, si scherza su chi ha potuto dormire e sulla levataccia di chi è partito alle sei da Ferrara.

"Piàn! - dice Lorena con la sua parlata dalla cadenza romagnola sulla quale calca particolarmente - Noi due per essere a Ferrara alle sei, ci siamo dovuti svegliare alle quattro a Mollinellla" - mentre Francesco fa cenno affermativo con la testa. Non stupisca il lettore l'esorbitanza di "elle" nel nome della cittadina emiliana (ma ai confini con la Romagna) di provenienza dei due: lo abbiamo scritto così come è stato pronunciato da Lorena.

Subito dopo il gruppo va nelle camere per vestirsi da arrampicata, poi si sale sulle auto e l'avventura comincia.

I preparativi al Passo Valparola.

Parcheggio sulla vecchia strada del Passo Valparola, proprio di fronte alla parete nord (si fa per dire) del Sass de Stria, obiettivo di giornata delle cordate che si vanno formando.

Ci pensa il "vècio" a suggerire la composizione delle quattro cordate da tre, dopo averne scremato i quattro che comporranno la sua che con lui formeranno quella da cinque.

Non è prevista nei manuali la cordata da cinque, ma pure funziona senza nulla rischiare se c'è un altro componente, sicuro sui nodi, che vigili su chi fa sicurezza al primo, recuperando al contempo gli ultimi due e non si ha troppa fretta di arrivare in cima.

Il "vècio" ricorda di averla sperimentata tante volte agli inizi degli anni '80, quando i capicordata erano pochi in quel di Ferrara, e comunque sempre meno rispetto a coloro che avevano voglia di arrampicare dopo avere frequentato i corsi roccia della sezione del CAI, e lasciare a terra qualcuno sarebbe dispiaciuto troppo.

Ora che il recupero si fa con la piastrina GIGI, anziché con due mezzi-barcaioli come si faceva una volta, è addirittura più semplice e più sicuro.  
Ora è tutto un fervore di preparativi, di accordi su chi porta lo zaino, su chi rimane ultimo con il martello per schiodare, su cosa mettere nello zaino da vestire e da mangiare.

 

 

Materiale vario disseminato a terra indica chiari segnali che qualcosa sta per succedere di lì a poco.

Il "vècio" fotografa, documenta, e cerca di intuire i pensieri che albergano nella testa di ognuno, di chi già c'era l'anno prima quando salirono al Trapezio del Piccolo Lagazuoi e di chi si appresta alla prima esperienza di arrampicata.

Tutti guardano verso terra dove ci sono le corde e il materiale, chi sistema e controlla lo zaino, a osservali sembra che cerchino qualcosa, ma di certo non è la relazione della salita, perchè quella non esiste.

E' stato lo stesso "vècio" a dirgliela a voce, dopo avere girovagato in cordata per la parete nei due fine settimana precedenti al fine di individuare i percorsi migliori e più affidabili: "Saliremo su due linee parallele, più o meno in verticale, i primi tre tiri sono molto facili ma un po' friabili, gli altri due sono più dritti e su roccia migliore con difficoltà di terzo grado superiore e anche qualche breve passaggio di quarto grado. Le soste sono tutte da attrezzare e servono cordini lunghi."   

C'è fiducia reciproca e tranquillità per quello che si apprestano a fare, forse si tratterà di alpinismo in senso vago, ma pur sempre di alpinismo si tratta e il momento dell'azione si sta avvicinando.     

 

Si va "all'attacco"
In alpinismo, quello vero intendo, si usava e ancora sopravvive una terminologia che ricorda la guerra, sicché si va all'attacco di una parete o di una montagna, come se ne conquista la cima, mentre a volte certe rinunce o discese forzate diventano ritirate, se non sconfitte.
Nel nostro caso, niente di tutto questo, ma il gruppo, in ordinata fila e chiacchierando tranquillamente, scende dal parcheggio verso la conca erbosa, si avvicina alle rocce della parete nord (si fa per dire) del Sass de Stria e in quel momento tutti smettono di essere gruppo per diventare cinque cordate.

 

 

Si innescano dinamiche sconosciute ai più, si compiono azioni non abituali, ci si prepara a qualcosa di poco conosciuto e qui forse vale di più l'immagine fotografica piuttosto dello scritto a descrivere la situazione.
Ecco allora venire in aiuto le immagini scattate da Francesca (la numero 18 del gruppo), escursionista al seguito, che si ferma a fotografare prima di andarsene da sola per arrivare alla cima facendo il giro per la via normale.  

Prima si vede curiosare verso il capogruppo, poi compaiono le corde, si comincia a sfilarle, poi ci si legherà in cordata e, infine, il primo partirà verso l'alto con calma e attenzione perchè i primi tre tiri, come è stato spiegato "sono facili, ma friabili, per cui la cosa più importante in questo primo tratto di parete è di non fare cadere sassi".   
 

 

Inizia la scalata

Sperare di non smuovere sassi è quasi utopia, ma le cose non vanno poi così male e, pur se abbastanza lentamente, le cordate avanzano verso l'alto per arrivare sopra quel settore di parete che finirà su di un prato pensile dal quale si potrà raggiungere in seguito la via normale e per quella arrivare alla panoramica cima del Sass de Stria.  
Su questo tipo di terreno roccioso alla bassa difficoltà tecnica si sposa spesso una certa difficoltà di assicurazione, soprattutto perchè manca la roccia solida con fessure ben definite per i chiodi e allora bisogna ricorrere spesso a contrapposizioni tra i friends e i dadi con gli spuntoni, affinando inventiva e fantasia dei capicordata. 

 

 

Se i capicordata devono stare lì con la testa, per contro i secondi di cordata salgono abbastanza rilassati.
Le due linee su cui salgono le cinque cordate man mano si avvicinano e così ci si vede e si può scambiare qualche battuta, raccogliere qualche impressione "in progress".

E' il "vècio" soprattutto che si preoccupa di verificare il polso della situazione, buttando un occhio ora alla sua numerosa cordata ferma in sosta, ora alle cordate che salgono poco discoste.


 

Fin che tutti sorridono vuol dire che le cose vanno a perfezione e, pensa il "vècio", non saranno i due tiri più impegnativi a far cambiare le cose.

Infatti, mentre la roccia si fa quasi verticale, diventa anche molto più solida, ruvida e rugosa e si delineano belle fessure, paretine ben ammanigliate e anche qualche diedro da salire con tecnica di spaccata.

 

 

Il morale della "truppa" si fa più alto e già si pregusta l'arrivo al prato pensile.

Per raggiungerlo rimane ancora da superare qualche saltino di roccia, qualche strapiombetto che sarebbe facilmente aggirabile ma sul quale ci si cimenta volentieri, mentre chi manovra le corde prende confidenza con il mezzo barcaiolo e sullo sfondo le cabine della funivia Passo Falzarego - Lagazuoi sembrano moscerini in volo.

 

 

Adesso ci si rilassa, si sorride, ci si raccontano le sensazioni, mentre la prima cordata sbucata sul prato pensile è già partita verso la cima, e le altre arrivano una ad una.

Arrivano anche le marmotte a godersi il sole e a grattarsi il muso sulle rocce.

 

 

Si rientra perchè arriva il temporale

Arriva anche, e lo si vede laggiù in fondo, un temporale pomeridiano a compromettere la malia di quella giornata e a fare pensare seriamente di dover rinunciare alla cima e quando i colori all'orizzonte diventano più cupi e le nuvole appaiono sempre più livide, scatta il rompete le righe, sicché si traversa per cengia prativa a raggiungere la via normale e per quella pian piano, con un occhio sempre verso l'orizzonte cupo si ritorna alle auto a Passo Valparola.   
A qualcuno è mancata la cima e un poco dispiace, altri hanno assaporato anche quel piacere e, guarda il caso, sono proprio quelli che hanno le chiavi del pullmino e delle auto e sono gli ultimi ad arrivare.

Per fortuna il temporale brontola in lontananza e indugia pure lui.

 

 

C'è chi si incappuccia, chi stoico resta in maglietta, chi quasi sull'attenti attende che il destino faccia il suo corso, ma il temporale sembra voler girare intorno e alla fine andrà a scaricare i suoi malumori sul Pelmo e sul Civetta.
Quindi niente acqua e la cena in compagnia alla Baita chiuderà in allegria quella giornata di alpinismo vago.

Sarà stato il primo passo verso nuove e più impegnative mete?

Forse no, ma di certo in tutti i partecipanti resterà il piacevole ricordo di quella giornata in montagna diversa dal solito e se un domani (di certo molto lontano) un "vècio" alpinista in preda alla nostalgia e a un po' di sclerosi senile volesse mettersi a raccontare di "quella volta che salimmo la parete nord (si fa per dire) del Sass de Stria", qualcuno di loro potrà dirgli: "Ehi nonno, vedi di non spararla troppo grossa che quella volta, alla parete nord (si fa per dire) del Sass de Stria c'ero anch'io".

Gabriele Villa

Come riuscimmo a vincere la malia del Sass de Stria

Passo Valparola, sabato 3 luglio 2010
 


 

Le foto sono di Gabriele Villa - Stefano Toninel - Francesca Fantinati.

Hanno partecipato a vario titolo.
 

I capicordata:
Obelix, Leo, Stefano (l'ingegnere), Maurino, Gabriele.
I secondi di cordata:
Lucrezia, Rita, Lorena (quella di Mollinellla), Fabrizio, Cristina, Daniele, Francesco, Claudio, Camilla, Mirta, Stefano (il falegname), Gianluca.
L'escursionista aggregata:
Francesca.