Pivoli

di Vincenzo Marino
 

“A zi', quanno me ce porti in montagna?”
“Appena vieni a Trieste Andre'. Prendi il treno o l'aereo la prossima estate e vedemo de combina’ quarcosa”.
“A zi', c'ho vent'anni e non so mai salito su un 3.000. Me piacerebbe provallo!”
“3.000? Per un 3.000 tocca anna’ in Dolomiti... fammece pensa' poi ti saprò dire.”

Vent'anni e mai salito un 3.000, io a vent'anni sapevo appena dov'erano le Alpi: altri interessi, altro lavoro.
Il “virus” dell’arrampicata mi ha colpito a 28 anni.
Bene, guide alla mano vediamo dove poter andare per accontentare un nipote ventenne nel pieno delle forze ed uno zio cinquantenne con qualche acciacco.
Andrea, mio nipote, è un giovane in gamba, testardo, non si arrende davanti alle difficoltà.
Mi ricordo, quando gli ho fatto muovere i primi passi sulla roccia in Val Rosandra a Trieste, che è rimasto incrodato un quarto d'ora su un passaggio di IV. Nessuno è riuscito a farlo desistere, ma, caparbiamente, ce l'ha fatta.
Non mi fido della sua tenuta come assicuratore, non avendo lui mai fatto un corso di roccia ufficiale ed essendoci almeno 20 chilogrammi di differenza. Sarebbe in grado di tenermi? No!
Niente via classica quindi, non rimane che scegliere una via attrezzata, del resto, in un quarto di secolo di attività montanare, posso dire di averle provate tutte.
Andrea frequenta con profitto la facoltà di Geologia e la sua passione sono i ghiacciai, non sarebbe male salire la Marmolada ma, attrezzatura a parte, Andrea non sa nulla di marcia su pendii ghiacciati.

Le Tofane, queste sì che vanno bene.
Alte, impegnative, panoramiche, facili da avvicinare, ricche di storia e di testimonianze fossili della loro tormentata geomorfologia. Le Tofane sono inserite nel Parco Naturale delle Dolomiti di Ampezzo e da sempre esaltano, con la loro superba presenza, la bellezza della conca d'Ampezzo.
Il fulcro del gruppo è costituito dalle tre Tofane: la Tofana di Dentro, 3238 metri, la Tofana di Rozes, 3225 metri e la Tofana di Mezzo, 3244 metri. 
La Tofana di Dentro è la più “timida” delle tre presentando un paio di facili accessi su sentieri poco impegnativi, a meno di non trovare la cresta di collegamento con la Tofana di Mezzo innevata.
La Tofana di Mezzo è servita dalla ferrata Olivieri che, contrariamente a quanto scritto in vari testi, non è mai particolarmente impegnativa dal punto di vista tecnico se non in alcuni passaggi un po’ delicati, tuttavia, vista la lunghezza e la quota raggiunta è necessario che questa salita venga effettuata da persone capaci e con previsioni meteo molto favorevoli. La Tofana di Rozes, mediante la ferrata Lipella, è nel complesso, un itinerario assai impervio a differenza di altri nelle Dolomiti.
A sorprendere è la lunghezza dell’intero itinerario e del tratto attrezzato. Questa splendida escursione richiede ottimo allenamento, mentre le difficoltà tecniche restano complessivamente medie.
Lungo le cenge della prima parte è sempre possibile la caduta di sassi, mentre la seconda parte della ferrata e la via normale che si sfrutta per la discesa risultano spesso innevate anche in piena estate.
Occorre osservare che la vera salita comincia alle Tre Dita, mentre nel primo tratto si guadagna poco in altitudine in quanto la risalita della galleria e dei gradoni attrezzati viene parzialmente compensata dal percorso digradante delle cenge sfruttate dalla ferrata nel suo percorso iniziale.
A differenza di altre vie attrezzate si presenta quindi piuttosto impegnativa nel settore superiore e non subito nella parte iniziale, da qui l’importanza di valutare bene le proprie condizioni dopo aver concluso la prima parte. 

La decisione è presa, si parte lunedì mattina da Trieste direzione rifugio Dibona a 2.083 metri.
Nel pomeriggio “sgambata” sul sentiero Astaldi, un itinerario in cengia attrezzato con corde metalliche, molto suggestivo perché attraversa uno strato Raibliano, caratterizzato da rocce di diverso colore...
Andrea saprà di cosa si tratta.
La mattina dopo Tofana di Rozes e rientro a Trieste. 
Come da programma, dopo il sentiero Astaldi con lo strato Raibliano totalmente sconosciuto al futuro geologo e la sosta al Dibona, martedì mattina si parte.
Dal Rifugio, seguendo il sentiero n. 404 e passando sotto l'imponente parete Sud della Tofana di Rozes, arriviamo all’inizio della ferrata. Lungo le antiche postazioni della prima Guerra Mondiale attraversiamo dapprima la caratteristica Galleria del Castelletto, un camminamento scavato dagli alpini durante la prima Guerra Mondiale, da percorrere in salita. Da qui attraversiamo, salendo leggermente e con diversi tratti attrezzati, tutto il lato Ovest della Tofana di Rozes, tra umidi colatoi, cenge e brevi ma ripidi camini, finché, con una spettacolare vista sulla val Travenanzes, arriviamo al bivio nei pressi delle “Tre dita”, una particolare formazione rocciosa che ci indica la possibilità di scendere al Rifugio Giussani e quindi al Dibona lungo la via normale.
Fin qui nessuna difficoltà, ma la fatica fa capolino e Andrea inizia a rallentare. 

“Andre’! E datte na mossa sennò famo notte”.
“A zì, aspetta un minuto sto a fa du foto, sennò mi madre nun ce crede!” 

Si, va beh... le foto; “non ce la fa, non ce la fa” penso tra di me. Tanta forza, tanto entusiasmo, ma poca resistenza come tutti i giovani della sua età. Siamo nel terzo superiore della salita, quello dove le difficoltà aumentano e la fatica inizia a tagliare le gambe, per non parlare dell’altitudine poco consueta per dei cittadini dediti a queste quote solo per passione stagionale. E’ il punto questo dove l’esperienza gioca un ruolo fondamentale nel risparmio di energie.
Saliamo gli ultimi 300 metri verticali lungo la parete Ovest fino al termine delle attrezzature dove il sentiero di salita si interseca alla via normale per la discesa. 
Il panettone finale è innevato e non è una sorpresa, lo si vedeva già dal basso, la sorpresa sta nel fatto che le condizioni di innevamento sono ancora di tipo primaverile e noi siamo in piena estate.
Gli scarponi affondano di diversi centimetri nello strato nevoso e la poca consistenza della neve fa sì che immediatamente si formi uno zoccolo ghiacciato sul Vibram delle suole.
Mancano 200 metri alla croce di vetta, saranno 200 metri faticosi senza ramponi e con una sola piccozza.
Decidiamo di procedere separatamente senza l’ausilio di corde, Andrea è sicuro di farcela anche senza picca, a me farebbero comodo anche un paio di ramponi, ma non glielo dico per non sminuire le mie capacità.
Per salire gli ultimi 200 metri ci mettiamo il doppio del tempo impiegato per salire i primi 200, per fortuna il tempo ci assiste ed arriviamo in cima trafelati e felici. Un panorama a 360° ci ripaga di tutte le fatiche, ma non abbiamo tempo per “poltrire” in vetta, è tardi e ci aspetta ancora una lunga discesa ed il ritorno a Trieste.
La via normale è impegnativa, ingombra di pietrisco ghiacciato sparso su lisce e scivolose placche inclinate; i molti campi innevati, inoltre, seppur invitanti perché sicuramente più stabili del ghiaietto, temiamo possano nascondere maggiore insidie dato il percorso molto accidentato e la seria probabilità di incastrare una gamba in qualche inghiottitoio nascosto dalla neve.
Il mio ginocchio sinistro si accorge quasi subito di queste difficoltà in discesa ed inizia a frenarmi consentendo ad Andrea di guadagnare terreno.
In un ambiente lunare, dove gli unici segni di vita sono i corvi e le marmotte sul vicino fianco meridionale della Tofana di Mezzo, lentamente io e velocemente Andrea ci abbassiamo di quota fino ad incontrare, finalmente, un vero sentiero compatto e sicuro.
All’improvviso, tra uno strillo di marmotta e l’altro, una voce risuona nel vallone, all’altezza del Giussani circa 100 metri più a valle della mia posizione: 

“ A zì! E datte na mossa sennò famo notte”.
“Andre’, aspetta un minuto sto a fa du foto sennò tu madre nun ce crede!”
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Vincenzo Marino
Trieste, aprile 2011