Torre Innerkofler: il ritorno dall'amata
di David Zappaterra
E’ passato ormai quasi un anno dal primo tentativo sulla Normale
alla Torre Innerkofler, passato a punzecchiarci, io e Obelix, scherzando sul canalone
Moppo, sulle cenge detritiche e parlando dei canaloni ghiacciati.
Ci ritroviamo
così, nella stessa precedente condizione; forse leggermente
peggiorata ...
Infatti, già prima di partire in noi non c’era la ben che
minima speranza di trovare il canalone d’avvicinamento ghiacciato; ma
diciamo che a noi arrancare tra ghiaioni detritici “piace”.
Come se non bastasse, appena passiamo nel canale sul lato nord che porta
all’attacco della via, notiamo che le condizioni sono peggiorate
visibilmente, sicuramente dovuto ad un inverno indubbiamente anomalo; ma
continuiamo a dire che a noi arrancare tra ghiaccio misto terriccio
“piace”.
Ci troviamo cosi, dopo esserci preparati con ramponi, imbrago e
piccozza, al nostro ben conosciuto salto di roccia che indica l’inizio
della via.
Parte Obelix e fatto i primi passi esclama: "però non è molto battuta
questa via"; infatti, troviamo ancora lo spezzone della mezza corda
incastrata da noi l’anno prima durante le calate in corda doppia ...
Così penso di recuperarla durante la mia salita da secondo, potendola
magari utilizzare per sostituire alcuni cordoni di sosta che ricordo
essere alquanto vetusti e che troveremo più in alto.
Appena parto mi rendo conto che molto è cambiato dall’anno prima;
superato anche io il primo salto iniziale, mi trovo di fronte a
una colata di ghiaccio miscelato a ghiaia e fango ... i movimenti diventano
cauti per queste condizioni e a questo punto provando a trazionare la
corda per disincastrarla e non riuscendoci nuovamente, mi rendo conto
che forse potrebbe essere più utile così, a mo’ di corda fissa.
Riparto
quindi su un tratto di misto abbastanza appoggiato, ma non in buone
condizioni.
Il freddo si fa sentire un bel po’, dovuto a una corrente
d’aria che si infila dritta dritta nel canalone sottostante.
Finalmente
vedo Davide su un pulpito roccioso alla mia destra, provo a salire senza
togliermi i ramponi, ma qui è tutto molto precario e si sbriciola solo a
sfiorarlo, così cambio programma sfilo gli attrezzi metallici e con solo
gli scarponi ai piedi le cose cambiano ...
Il secondo tiro poi tocca a me ... risalgo per un breve tratto su un
corridoio di roccia inclinata dovendo strisciare praticamente attaccato
alla parete alla mia destra, la preoccupazione più grande non è la difficoltà, ma il rischio di buttare giù sassi
sul compagno.
Il tiro
è breve ma delicato ed è seguito da un altro tratto di ghiaccio.
Così faccio sosta e torna in testa Obelix.
Decidiamo quindi di non calzare i ramponi, il ghiaccio è abbastanza
morbido e calciando un po’ si riescono ad ottenere dei buoni appoggi per
i piedi, la salita è sempre delicata ma veloce e sopra sappiamo già che
ci attende una bella terrazza assolata su cui scaldarci.
Quindi un breve tratto da fare in conserva e a orecchie dritte ed eccoci
sotto il tiro chiave della via ...
Questo è costituito da un pilastro di
roccia di terzo/quarto grado al massimo, ma per niente banale;
soprattutto per il fatto che lo si arrampica con gli scarponi e uno
zaino non proprio da spiaggia …
Tocca a me, creiamo una sosta su spuntoni
e parto, l’arrampicata è fantastica, questo pilastrino di una ventina di
metri è solcato da un diedrino che verso il culmine tende a strapiombare
leggermente.
Ho tutte le possibilità di proteggermi e di progredire
senza rischio; penso che solo l’anno scorso qui ero stato trainato
dall’amico e ora invece sono un vero compagno di cordata.
Arrivo cosi in
sosta e recupero Davide.
Siamo sempre più vicini al tratto in cui abbiamo dovuto ritirarci l’anno
prima e non nego che l’emozione si fa sentire.
Continuiamo ad essere
cauti e consapevoli che alla "signora" in questione piace molto farsi
corteggiare.
Rifacciamo un tratto in conserva, passando in un anfratto percorso da un
torrentello dovuto allo scioglimento del ghiaccio e poi ritorno di nuovo
davanti.
La via ora piega a destra e porta dritta dritta all’attraversamento di
un archetto naturale di roccia, il tratto non presenta
grandi difficoltà se non quelle di riuscire a stare aggrappato ai pochi
appigli instabili, cerco di arrampicare con delicatezza e mi trovo cosi
dopo una trentina di metri in sosta.
Ora sì, ora siamo nel punto dell’abbandono dell’anno prima.
Passa così al comando Obelix, obliqua sempre verso destra e attraversa
un canale, questo passaggio non è facilmente intuibile, anche perchè la
vetta si trova esattamente sopra di noi, ma reduci dagli errori
dell’anno prima ora sappiamo essere questo il varco per la vetta,
finalmente si vedono ometti sparsi qua e là che indicano il percorso da
seguire per l’avanzamento, oltre tutto bello a zig zag tra crestine e
torri di dolomia che sembrano stare insieme per qualche strana legge di
fisica a noi sconosciuta.
Il compagno sparisce dalla mia vista coperto da una di queste torri, la
corda si ferma e sento borbottare "alè ag sen n’altra volta" … passa un
po’ di tempo, la corda a volte si tira e a volte si molla e poi sento
chiamare sosta.
Parto bello spedito ma sempre a orecchie dritte,
raggiungo il compagno e siamo nuovamente su una terrazza dall’aspetto
lunare, con strane sculture di roccia tutte intorno a noi, gli ometti
sono spariti e il percorso diventa nuovamente poco chiaro.
Proviamo a
seguire una cresta che sale verso sinistra, ma sembra più un suicidio
che una bella idea e torniamo così sui nostri passi, girovaghiamo per un
po’, ma niente.
Leggiamo la relazione e ci indica di risalire per un breve tratto una
cresta e portarci poi in un canale sulla sinistra!!! Si ma quale? Qui
il paesaggio è tutto così, formato da canali e creste.
Sale in me il timore di essere respinto nuovamente, anche perché si
vedevano come l’anno prima nubi sopra di noi e stando dentro a questo
enorme anfiteatro roccioso, non riuscivamo a capire se erano minacciose
oppure no.
Così prendo il materiale, leggo un'altra volta la relazione e battezzo
la via che sembra più consona alla salita.
Mi rivolgo al compagno
dicendogli di darmi corda finche ce n’è, se trovo qualche cosa di
logico bene, altrimenti basta, si ritorna a casa e mettiamo una pietra
sopra a questa benedetta Innerkofler.
Parto deciso, affronto un breve tratto in discesa e poi su, dentro
questo canale altamente friabile.
Qui il problema era di risalire il
tratto più velocemente dei cumuli di sassi che scendevano ad ogni
movimento.
È una salita da quattro per quattro, abbastanza appoggiata ma
anche abbastanza improteggibile e il canale sembra sparire nel nulla
sotto di me, salgo così circa una quarantina di metri e poi lì
appoggiato sopra una roccia finalmente solida vedo un amico ometto ...
sì
è lui … ci siamo, pianto un paio di chiodi e faccio sosta.
Ora il
percorso è più chiaro e la cima ormai è a portata di mano.
Recupero il compagno che quando mi raggiunge sorride ed accenna un
“bravo”; ci scambiamo il materiale e riparte lui.
Continua la risalita per il canale ora un po’ più chiuso e meno
friabile, poi la via svolta a sinistra.
Davide sparisce nuovamente dalla mia vista e nuovamente la corda si
ferma.
Torna a borbottare, la corda riparte e poi torna giù, questo per
un paio di volte … faccio qualche domanda per capire com’è la situazione e
mi dice di portar pazienza un attimo perché c’è da lavorare.
Cosi cerco
di tenere a freno l’adrenalina che pulsa a mille dentro di me.
Poco dopo la corda riparte e questa volta prosegue senza indugi, lenta
ma inarrestabile.
Quando poi tocca a me, torna chiaro il perché di tanta
esitazione.
Mi trovo infatti di fronte a un pilastrino verticale e di
roccia delicata, praticamente improteggibile se non grazie a uno
spuntone di roccia accalappiato al lazzo con un cordone da Davide, esco
da questa situazione sfruttando al massimo gli appoggi in spinta e via.
Finalmente vedo il compagno in sosta e poco più sopra un ultimo balzo
roccioso prima del plateau sommitale.
Ormai ci siamo.
Lo raggiungo, stiamo sorridendo fuori e soprattutto dentro, riparto per
questi ultimi metri e poi finalmente tutto si spiana facendo tornare la
luce e dando la possibilità agli occhi di poter scrutare l’orizzonte.
La parte sommitale della Torre Innerkofler è una immensa piana ghiaiosa
leggermente inclinata, e là in fondo un enorme ometto ci attende.
Finalmente … finalmente CIMA ...
Dopo un primo tentativo, una ritirata veramente a poca distanza dalla vetta, un anno passato a desiderare di nuovo questi posti selvaggi e questi passaggi ci troviamo finalmente qui a stringerci la mano con occhi lucidi e sognanti su questo meraviglioso terrazzo.
Ci godiamo la pace del momento, dividiamo un po’ di frutta secca con i
gracchi alpini che vengono a mangiare dalle nostre mani, scrutiamo tutto
ciò che ci circonda, sapendo che è dono di pochi poter vedere il mondo
da qua su.
Segue foto di vetta, scambio di pensieri ed emozioni e si riparte
per la discesa.
Come ben sappiamo parte della via in salita sarà da ripercorrere arrampicando
in discesa e attraversando canali ghiaiosi che portano
dritti verso il baratro.
Le soste di calata non erano così facilmente individuabili, infatti,
alcune le abbiamo perse, dovendo così percorrere tratti di arrampicata
in discesa poco simpatici … poi a differenza dell’anno scorso, invece che
calarci nel canale ghiacciato, che quest’anno si presentava molto più
pericoloso, abbiamo scoperto esserci un punto per le doppie più diretto
e che ci avrebbe depositato direttamente sul canalone nord di inizio
via.
Una volta a terra, il ritorno che ci aspettava era ormai noto: il
nostro caro amico canalone Moppo, ancora un po’ di ghiaioni e poi
finalmente fra pascoli per raggiungere dopo “sole” quattordici ore di
avventura, quel mezzo metallico chiamato automobile, a noi inutile fino
a quel momento, ma che ora era il nostro unico ponte di passaggio verso
la civiltà.
Dopo tutto questo girovagare la Torre Innerkofler era vinta ???
No !!
Qui non si vince e non si perde, non è una guerra.
Qui si vive, ci
si diverte e all’occorrenza ci si ritira, si scopre, si impara, pian
piano si cresce e, nell’attesa, si sogna la prossima avventura!
David Zappaterra
Torre Innerkofler: il ritorno dall'amata
Gruppo del Sassolungo, sabato 9 luglio 2016