L'ultima via di Riccardo Bee
Intervista a Emanuele Confortin
di Alberto Rampini
E' valsa proprio la pena andare da Ferrara a Rovigo per
assistere alla proiezione del film "L'ultima via di Riccardo Bee" del
regista Emanuele Confortin, proiettato nell'ambito della prima serata della
rassegna 'Rovigo Svetta'.
Bello e appassionante il film, brillante il regista nel dibattito seguito
alla proiezione nel quale ha arricchito di particolari, aneddoti, e notizie
che hanno fatto comprendere il grande, puntiglioso e appassionato lavoro
svolto durante gli oltre due anni di 'gestazione' dell'opera filmica da
Emanuele Confortin. Ne è uscito non solo un gran bel film, ma anche un
prezioso documento di storia dell'alpinismo, valorizzando la figura di uno
dei suoi interpreti meno conosciuti. (Gabriele Villa)
Riportiamo un'interessante intervista a Emanuele
Confortin
a cura di Alberto Rampini (Alpinista e Accademico del Club
Alpino Italiano)
Come è nata l’idea di questo film? Ho letto che sei rimasto
estasiato dal versante Nord dell’Agner. Ma perché alla fine hai deciso di
raccontare la storia proprio di Riccardo Bee?
Vero, l’Agner è il punto di partenza. Ne ho sentito parlare per la
prima volta nel 2001 e da allora la mia passione per la Valle di San Lucano
e per le sue pareti è cresciuta, alimentata anche da una sana curiosità che
mi ha portato a studiarne la storia alpinistica. È dai libri quindi che ho
iniziato a conoscere quelle pareti, prima ancora di scalarle, apprezzando
nomi quali Cozzolino, Castiglioni, Detassis, Jori, Massarotto, Ferrari, Aste
e tanti altri.
Tra questi personaggi c’era anche Riccardo Bee, ma all’epoca
più cercavo informazioni su di lui, più percepivo un’aura di mistero.
Ricerca e analisi documentale sono state lunghe e
approfondite. Come potresti sintetizzare la figura di Riccardo? E in due
pennellate l’ambiente alpinistico nel quale si trovò ad operare?
Per sintetizzare la figura di Riccardo credo sia giusto ricorrere
in primis ad alcune citazioni tratte dal documentario. Secondo Ettore De
Biasio “è stato un visionario più di quanto si possa credere”, la
figlia Federica Bee spiega che “ovunque andava lasciava una scintilla”,
infine la moglie Carla De Bernard ricorda che “nessuno sarebbe riuscito a
fargli cambiare idea”.
Nel corso di questo lungo lavoro è emersa
una personalità forte, carismatica, gioviale e aperta agli altri,
affascinata dalle grandi pareti, dai luoghi selvaggi, dedita alla conoscenza
di sé attraverso un’esposizione crescente negli ambienti più severi.
Non è
un caso se Riccardo ha scelto di cimentarsi con i colossi bellunesi. Parlo
in particolare del Burel e delle altre pareti della Schiara, poi ancora i
camini del Piz Serauta in Marmolada, le Pale di San Lucano e non da ultimo
l’Agner, il vero gigante delle Dolomiti che con la sua parete Nord di 1500
metri è anche una delle pareti rocciose più grandi delle Alpi. Sono luoghi
remoti, che impongono avvicinamenti molto lunghi e spesso un bivacco
in parete.
Appena ci si alza dal fondovalle verso i Boral (in San Lucano) o
i Van (sull’Agner) il turismo scompare e si entra in un ambiente selvaggio,
quasi ovattato, lo stesso che a volte si va a cercare in Himalaya o
in Sudamerica… ma che Bee e altri “visionari” come lui hanno trovato a due
passi da casa.
L’immagine di Riccardo che esce dal film è in linea con
quanto finora proposto dalla storiografia ufficiale o si presenta diversa? E
se sì, in che cosa differisce?
Se escludiamo l’elenco delle sue realizzazioni alpinistiche, credo
non esista altra storiografia ufficiale. Bee è stato trattato in un libro,
da qualche articolo di giornale e da un precedente video-racconto ma non è
certo una figura analizzata nel profondo come lo sono stati altri alpinisti
del passato. È anche per questo che il progetto mi ha affascinato, c’era
ancora qualcosa da scoprire e così è stato, in particolare dedicando tempo e
ascolto alle figlie Federica e Valentina e alla moglie Carla. Grazie a loro
sono riuscito a scorgere l’uomo e a smarcare almeno in parte l’alpinista,
evitando di inciampare nel gioco dei “gradi” o di limitarmi a delineare un
ritratto (l’ennesimo) di eroe senza macchia che spesso viene attribuito a un
grande scalatore caduto in parete.
Nella realizzazione del film quali sono stati i passaggi più
impegnativi?
Andando in ordine cronologico, l’assenza di uno screen-play
iniziale. Scelta dettata dalla volontà di non ancorarmi ai documenti citati
poco fa, ma di “fingere” di non sapere. Ho avviato il lavoro come fosse
una prima ricerca, partendo da zero - seppur conoscendo bene le salite e il
lascito alpinistico di Riccardo - puntando fin dal principio sulle
testimonianze di moglie, figlie e fratelli.
L’altro passaggio impegnativo
è stato convincere la moglie, Carla De Bernard, a raccontare Riccardo e a
raccontarsi. Per quanto mi riguarda la sua testimonianza è il cuore pulsante
del documentario, una testimonianza umana e preziosa che trasmette il polso
di Riccardo, l’uomo, e ci aiuta a cogliere la caratura dell’alpinista.
Per
fortuna, dopo esserci conosciuti Carla mi ha dato fiducia e il mio progetto
ha iniziato ad acquisire l’umanità che cercavo.
L’ultimo passaggio è stata
la ripetizione del Pilastro Bee sull’Agner, assieme a Luca Vallata e Samuel Zeni.
A causa del meteo e dei rispettivi impegni l’estate era ormai
trascorsa … Siamo finalmente riusciti a ripetere la via il 12 e 13
settembre 2022, cogliendo l’ultima finestra utile seguita da una
perturbazione che ha poi reso la parete
impraticabile, almeno per le
riprese.
Il risultato finale ti soddisfa come regista e produttore? E
come alpinista ritieni di avere assolto ad una sorta di “obbligo” morale nei
confronti della storia o semplicemente di aver approfondito un personaggio
che ti affascinava?
Mesi fa, durante il pre-montaggio avevo scritto un messaggio a Luca
Vallata “il lavoro su Riccardo profuma di bono”. Questa sensazione era
emersa passando in rassegna più di venti ore di girato. Avevo visto e sentito
qualcosa di valido, restava “solo” montare le varie parti e dare un senso al
tutto. Quattro mesi dopo la trama narrativa era delineata e mi sembrava
valida, anche se ho lasciato l’ultima parola alla famiglia che prima della
première a Trento non aveva ancora visto nulla. Il 30 aprile (giorno della
prima) tutto è andato nel migliore dei modi e ora mi posso ritenere felice!
In quanto agli “obblighi” nulla di tutto ciò. Non sono uno storico e non mi
sono mai posto in tal senso, ho semplicemente raccontato a modo mio un
essere umano e un grande interprete di un alpinismo che ci sta scivolando
tra le dita e che rischiamo di dimenticare. Penso a questo lavoro come a una
testimonianza, un messaggio che vorrei chiudere in una bottiglia da lasciare
alla deriva del tempo.
Per finire, che cosa ti ha dato questa esperienza?
Un senso di rispetto profondo e sincero per l’Alpinismo, la
certezza dell’esistenza di una cordata sottile che ci lega a chi a casa
attende il nostro rientro… non da ultimo un crescente amore per la Valle dei
Sogni. In chiusura ci tengo a ringraziare il CAAI per aver creduto in questo
progetto e per averlo sostenuto. Grazie di cuore!
Chi era Riccardo Bee?
Riccardo Bee (Lamon 1947 – Monte Agner 1982) è stato uno dei più forti rocciatori dell’epoca in cui è vissuto, ma parte della sua eredità alpinistica rimane avvolta nel mistero. Attivo soprattutto nelle amate Dolomiti, ha realizzato ripetizioni e vie nuove di elevatissimo impegno. Si è unito in cordata con diversi compagni, a partire da Franco Miotto, ma è in solitaria che Bee ha trovato la sua dimensione, compiendo imprese capaci di ispirare generazioni di alpinisti e ancora oggi temute e rispettate.
Il 26 dicembre 1982 Riccardo tentò di realizzare, in solitaria ed in inverno, una nuova via sull'Agnèr a destra della via dei Sudtirolesi, ma precipitò in circostanze non chiarite e il suo corpo fu ritrovato alla base della parete.
Riccardo Bee è considerato uno degli alpinisti più forti della sua epoca, eppure dei suoi itinerari e delle sue imprese si conosce molto poco. Egli infatti non divulgò mai le sue imprese al grande pubblico e solo una ristretta cerchia di amici ed i parenti erano a conoscenza del suo operato.
Emanuele Confortin.
Giornalista e documentarista, tratta di aree di crisi, migrazioni e
minoranze ai margini della società moderna, in Europa, Medio Oriente e Asia.
Tra i suoi progetti i documentari KINNAUR HIMALAYA (Trento Film Festival
2020) e CORONAVENICE. Alpinista, è cofondatore e direttore della rivista
Alpinismi.com.