La Via Normale al Sassolungo di Cibiana
di Roberto Belletti
Si dice che “a Cibiana non si arriva per caso”.
Invece per me è stato proprio così.
Durante il trasferimento da Zoldo a San Vito di Cadore in occasione
delle ferie di qualche anno fa, sono capitato proprio a Cibiana e così
ho fatto “casualmente” conoscenza con questo splendido paesino di
montagna, con i suoi murales e con il Sassolungo, che lo domina
dall’alto.
Naturalmente, allora, al Sassolungo nemmeno ci pensavo e mi sono
limitato ad ammirare e a fotografare i murales, che da soli valgono una
visita a questo paese a torto poco conosciuto.
E’ stata la mia amica Cristina a mettermi nell’orecchio la pulce del
Sassolungo, quindi mi sono informato e ho scoperto che esso presenta una
via normale non segnata sulle carte escursionistiche, con difficoltà
contenute ma per nulla banale.
Essendo in zona anche quest’anno e avendo accumulato nel frattempo
qualche piccola esperienza alpinistica, decido di provare a salirla e,
per giunta, in solitaria.
Così, superato da qualche chilometro il paese di Cibiana, eccomi a
Forcella Cibiana, punto di partenza di questo percorso alpinistico.
Il Passo non offre grandi possibilità di parcheggio. Le uniche aree
disponibili consentono infatti la sosta solo per un’ora, mentre lungo la
strada vige un rigoroso divieto di sosta come puntualizza un curioso
cartello.
Per lasciare l’auto si può usufruire del parcheggio a pagamento del
Museo nelle Nuvole di Monte Rite, oppure si possono utilizzare alcune
piazzole che si trovano poco più sotto al Passo sul versante Zoldano.
Da Forcella Cibiana, si imbocca la strada sterrata sulla sinistra di una
cappelletta (sentiero numero 481, quota 1530 metri) e si supera un
bar-ristorante.
Occorre seguire le indicazioni per Forcella Bella, quindi a un primo
bivio si prende la sterrata a sinistra, mentre al secondo bivio la
sterrata a destra. In entrambi i casi alcuni cartelli danno chiare
indicazioni sulla direzione da seguire per raggiungere la forcella.
La strada sterrata sale nel bosco in modo regolare, e la si percorre
fino al bivio con il sentiero numero 483, anche questo indicato
chiaramente con cartelli.
Qui si lascia la strada sterrata per imboccare il sentiero 483, che sale
in maniera più decisa ma senza strappi eccessivamente ripidi, fino a
raggiungere uno spiazzo (Pian d’Angias, quota 1847 metri), dal quale partono
i sentieri 485 e 486.
Si prosegue a sinistra, mantenendosi sempre sul sentiero 483 (direzione
Forcella Bella) che, ora in leggera discesa, porta finalmente fuori dal
bosco sotto la cima dello Sfornioi Nord.
Qui si apre un bel panorama che consente di ammirare l’Antelao e la
valle dal lato Cadorino, con in basso il paese di Cibiana e, sulla
destra, il caratteristico profilo a dente di squalo del Sassolungo.
Il sentiero prosegue in salita compiendo una lunga traversata, prima
attraverso i mughi e poi lungo un ghiaione, puntando a una evidente
forcella a sinistra della Torre Campestrin. E’ un tratto molto
suggestivo sotto le incombenti pareti degli Sfornioi, ma non difficile,
basta solo prestare attenzione nell’attraversamento dei canaloni che
ogni tanto interrompono la traccia.
Qui incontro i primi (e anche gli unici) esseri viventi della giornata,
due camosci che mi osservano incuriositi dall’alto di un canalone. La
curiosità è reciproca e restiamo alcuni minuti fermi a studiarci.
Dopo breve tempo, avendo evidentemente deciso di avere di meglio da
fare, i due camosci mi salutano risalendo velocemente il canalone con
agili balzi. Come sempre provo un po’ di invidia nel vedere come si
muovono, ma mi rendo conto che loro sono di casa qui, mentre io sono
solo un ospite di passaggio.
Raggiunta la forcella, il sentiero continua in salita a sinistra (c’è
una indicazione un po’ sbiadita su un masso) fino a raggiungere la
Forcella Bella (quota 2112 metri).
Anche questo è un punto panoramico notevole, con una splendida vista del
Pelmo, che da qui si mostra in tutta la sua imponenza, rendendo evidente
il motivo per cui i locali lo chiamano “Caregón del Padreterno” (il
Trono di Dio).
Dalla forcella occorre ora scendere sul ripido versante opposto per
circa cinquanta metri di dislivello (…che diventeranno molto scomodi da risalire al
ritorno…) facendo attenzione a non superare una traccia che si stacca
sulla sinistra, contrassegnata da un ometto di sassi.
La traccia non è segnata sulla carta ma è sempre ben evidente e traversa a sinistra, prima in piano e poi in leggera salita sotto alle pareti (qui è il caso di indossare il caschetto), mantenendosi alta sopra l’ampio circo glaciale del Campestrin. Infine si risale un ripido ghiaione puntando decisamente a una forcella erbosa a ridosso della parete ovest del Sassolungo, da dove parte la via di salita vera e propria (quota 2195 metri).
Questa è interamente contrassegnata da bolli rossi e ometti di sassi e
si svolge attraverso un sistema di cenge, camini e brevi salti di
roccia, tutti abilmente sfruttati dall’apritore per raggiungere la cima
mantenendo le difficoltà sempre contenute fra il I e il II grado.
Il livello di esposizione non è mai eccessivamente alto, tuttavia c’è
più di un punto (fra cui, ad esempio, la cengia iniziale) dove le
conseguenze di una scivolata lasciano poco spazio all’immaginazione, per
cui occorre sempre prestare la massima attenzione e mantenere la
concentrazione, soprattutto se si procede slegati e in solitaria.
Inoltre la via da seguire non è ovvia a prima vista, in quanto la parete
presenta diverse possibilità di salita alternative. E’ necessario quindi
prestare molta attenzione ai segni rossi e agli ometti, altrimenti si
corre il rischio di
perdersi e trovarsi poi in difficoltà.
Questo vale
soprattutto in discesa, essendo i segnavia assai più difficili da
individuare quando si guarda dall’alto.
Per questo motivo sconsiglio assolutamente di percorrere la via con
tempo incerto o con la nebbia.
Sconsiglio anche l’utilizzo di bastoncini e di zaini particolarmente
ingombranti. I primi sono solo di impaccio per la progressione, mentre i
secondi corrono il rischio di incastrarsi all’uscita del passaggio
chiave, il cosiddetto “antro”.
Dalla forcella si inizia con un breve salto roccioso di I grado che
porta a una placca bianca appoggiata da superare in aderenza fino a un
larga cengia, da percorrere in salita fino a girare uno spigolo. La
cengia è a picco sulla parete e ha il fondo roccioso con qualche ghiaia.
Occorre quindi prestare attenzione, soprattutto quando la si percorre in
discesa.
A circa metà cengia è presente un piccolo tetto che costringe le persone
più alte ad abbassarsi un po'.
Siamo sotto la “Sentinella del Sassolungo”, una curiosa formazione
rocciosa che sembra essere stata messa lì apposta per fare la guardia
alla parete.
Superata la cengia, la via aggira la “Sentinella” tramite un camino con
qualche metro di II grado da risalire in spaccata e qualche breve salto
roccioso di I-II grado.
Ci si infila quindi in un canale e finalmente ecco “l’antro”, il
passaggio chiave della via.
Si tratta di una vera e propria grotta, formata da sassi incastrati, con
un buco di uscita da raggiungere con una arrampicata in spaccata per
circa tre metri di II grado.
In corrispondenza del buco di uscita si trova anche un bel cordone che
può risultare utile per una eventuale sicura.
Guardo l’antro, ma non ho molta voglia di fare il “topo nella tana” e
quindi opto per la paretina di roccia immediatamente a destra. Nelle
relazioni c’è scritto che è più esposta e più difficile e infatti qui
saremo sul III grado. Si tratta comunque di quattro, al massimo cinque
metri, e, anche se non proprio ben appigliati, il passaggio è presto
fatto.
Naturalmente penso che in discesa opterò per fare “il topo”, vista anche
la presenza rassicurante del cordone, che non avevo notato dal basso.
Lasciato “l’antro” alle spalle, rimangono ancora da superare qualche
saltino di roccia di I grado e una breve traversata su uno stretto ed
esposto cornicione, tuttavia ben appigliato e non difficile (anche qui
I-II grado).
Si arriva infine a un valloncello di ghiaie ed erba dove appare alla
vista la non lontana croce di vetta.
Si risale per traccia sulla destra
del valloncello fino a raggiungere la larga cresta dorsale e da qui in
breve si arriva alla croce di vetta (quota 2413 metri). Alla base della croce
si trova il libro di vetta, protetto da un singolare contenitore di rame
di fattura chiaramente artigianale, con impresso un lucente stemma del
CAI.
La salita è terminata e la cima è tutta per me, almeno finché non
deciderò di scendere.
Come lungo tutta la salita, non c’è nessuno e gli
unici rumori che sento sono il fischio del vento che si insinua sotto il
casco e l’occasionale fruscio d’ala di qualche gracco.
La giornata è splendida. Il cielo terso e la posizione isolata della
cima offrono un bellissimo panorama.
La soddisfazione di essere arrivato in cima ovviamente è tanta, ed è
ulteriormente accresciuta dal fatto che ho compiuto la salita
completamente da solo, contando esclusivamente sulle mie forze e sulle
mie capacità.
L’avventura comunque non è finita, anzi, manca proprio la parte più
difficile, la discesa.
Scendendo dalla cima, mi accorgo della presenza di un’altra traccia,
segnata anch’essa a bolli rossi, che percorre la cresta invece di
scendere per il valloncello dal quale sono salito poc’anzi.
Effettivamente non mi dispiacerebbe evitare di ripercorrere in discesa i
vari passaggi su roccia (“antro” compreso) quindi provo a seguire per
qualche tratto quest’altra traccia per vedere da che parte scende.
Essa percorre tutto il filo della cresta sommitale, su rocce e prato,
fino a piegare decisamente a sinistra e tuffarsi lungo il versante est.
Visto dall’alto sembra decisamente più abbordabile di quello dal quale
sono salito, però scende esattamente nella direzione opposta a quella
verso cui devo rientrare, e così faccio dietrofront.
La vista della croce là in alto mi fa rendere conto solo adesso di
quanto sono sceso in così poco tempo.
Saranno quasi duecento metri di dislivello, che ora mi tocca risalire
per ritrovare il valloncello e la traccia della via “Normale”, risalgo quindi un po’ affannosamente, non molto contento di aver fatto
questa digressione che mi sta costando una quantità di energia che avrei
impiegato molto meglio sulla via del ritorno.
Faccio anche più fatica del dovuto a ritrovare la traccia di discesa dal
valloncello, che appare molto meno evidente vista dall’alto.
Fortunatamente, salendo, mi ero preso diversi punti di riferimento e
alla fine riesco a ritrovare con certezza la traccia.
Come detto, la discesa è più difficoltosa della salita, sia
nell’individuare i bolli rossi sia nel ripercorrere i passaggi su
roccia. E’ quindi il caso di prendersela con calma, restare ben
concentrati su quello che si sta facendo ed evitare ogni mossa
azzardata.
In breve sono nuovamente all’antro. La paretina che ho sfruttato in
salita non mi appare altrettanto allettante in discesa, per cui decido
di infilarmi nel buco, ma non prima di aver prolungato il cordone per
sicurezza con un mio cordino (non si sa mai). In effetti la discesa
nell’antro non è così complicata come sembrerebbe a prima vista.
C’è
subito una bella parete su cui appoggiarsi in opposizione per poi
iniziare la spaccata e scendere i pochi metri fino alla base dell’antro.
Recupero quindi il cordino e il passaggio è fatto.
Il resto della discesa avviene seguendo scrupolosamente i segni rossi,
eccetto su un saltino di roccia poco prima della cengia, che mi era
piaciuto poco in salita e che decido pertanto di aggirare per una via
alternativa.
Raggiunta la cengia e superate le placche bianche, sono in breve alla
forcella alla base della parete ed è ora di comunicare via radio a
Monica, mia moglie, che “sono fuori dai pericoli”.
Il rientro è lungo ma piacevole, eccetto forse quei cinquanta metri da
risalire per raggiungere nuovamente Forcella Bella, ma l’apparizione del
Caregón dalla forcella ripaga ampiamente della fatica.
Mentre ripercorro il ghiaione sotto gli Sfornioi, di ritorno a Forcella
Cibiana dove Monica mi aspetta, ripenso alla salita fatta, ai dubbi e
alle perplessità iniziali, alle sensazioni provate durante la salita e
all’arrivo sulla cima.
Mi è proprio piaciuta questa via Normale al Sassolungo e la rifarei
volentieri, magari la prossima volta in compagnia.
Perché, sebbene la “solitaria” amplifichi le sensazioni e le emozioni, è
altrettanto bello poterle condividere con i propri compagni di salita.
Roberto Belletti
La Via Normale al Sassolungo di Cibiana
San Vito di Cadore, Settembre 2012