La via della Marmitta Gemella alla parete dei Tessari di Val d'Adige

di Gabriele Villa


Ho pensato spesso a certe cose che, nascendo casualmente, quasi sempre risultano essere le più riuscite, proprio in virtù della loro casualità, per la spontaneità con la quale si compiono, a volte per le fortunate coincidenze che le facilitano. Una volta di più me ne sono convinto in questi ultimi due mesi.
Infatti, se solo venti giorni prima mi avessero detto "lo sai che presto aprirai una via nuova?", mi sarei fatto una sonora risata e di sicuro avrei risposto "non ci credo! E su che parete, poi, andrei ad aprire una via?".
Oggi ne posso sorridere con compiaciuta allegria, godendo nel ricordare tutte le fortuità che si sono susseguite rendendo possibile che ciò potesse succedere, con mia comprensibile soddisfazione.

La prima casualità dalla quale è nato tutto
Giovedì 25 settembre era una bella giornata di sole e con Alberto e Alessandro stavamo andando verso la Val d'Adige per raggiungere la parete sopra il paesino di Tessari per farci un'arrampicata. Erano stati gli eventi meteorologici a decidere per noi perchè la prima idea era stata quella di andare a salire il Catinaccio per la via normale, ma l'abbassamento repentino delle temperature nei giorni precedenti e l'alzarsi di venti in quota ci aveva convinto a cambiare idea: arrivare a 3.000 metri con quelle condizioni avrebbe significato patire; meglio il tepore di un fondovalle. Per Alberto sarebbe stato un ritorno all'arrampicata in cordata che non praticava da oramai trent'anni, lui che ha fatto le primissime uscite arrampicatorie che il CAI Ferrara organizzava sotto la guida tecnica di Gino Soldà nei lontani anni '70. Prudenzialmente si decide si salire la più facile delle cinque vie che sono relazionate: la Cipriani-Sitta, il cui tratto più significativo si trova proprio verso la fine della parete.
Si tratta di un breve diedro con difficoltà di quarto grado superiore e di un passaggio da fare un po' di forza, che si trova pochi metri più sopra.
Il più grande inconveniente della parete dei Tessari è la rigogliosità della vegetazione, perchè le vie di arrampicata spesso devono attraversare delle piccole macchie di bosco o passarvi accanto, dovendo fare i conti con la crescita di piccoli arbusti o l'invasività dei rami degli alberi che si allungano a chiudere varchi o ad ostacolare i passaggi.
Eugenio, un amico veronese con il quale arrampico da un paio di anni su queste pareti di bassa quota, all'inizio delle nostre comuni uscite mi aveva regalato un seghetto a lama ripiegabile, un regalo "interessato" perchè, assieme al suo, è servito in seguito a "farci largo" e a ripulire pareti in svariate nostre arrampicate esplorative.
Ora lo porto sempre con me e anche quel giorno mi era servito per tagliare alcuni rami che, allungandosi, erano andati a coprire la parete di sinistra del diedro, interferendo con le inquadrature delle fotografie.
Entrando nella macchia per arrivare a tagliare alcuni rami avevo potuto notare una perfetta marmitta dei giganti, proprio uguale a quella della omonima via, aperta solamente due anni prima dal mio amico Eugenio.
Avevo notato anche la bella parete che ne formava il lato sinistro e pensai che sarebbe stato interessante ripulirla dalla vegetazione per poterla rivelare agli arrampicatori e forse anche per provarne a salire la bella roccia.
Fu un pensiero buttato lì, solo per un attimo, poi tornai alla salita per la quale eravamo andati quel giorno.  

Il disvelamento della Marmitta Gemella
Vuoi per il cattivo tempo, vuoi per impegni imprevisti, dovevano passare due mesi giusti perchè si presentasse l'occasione di tornare ai Tessari con una previsione meteo non proprio ottimale, ma che lasciava ben sperare.
E la speranza non fu vana, potendo godere del sole e anche dell'assenza di chi al bel tempo non aveva creduto.
Poche storie, la giornata era dedicata al disvelamento della marmitta e quindi, su veloci per la via più semplice (la Cipriani-Sitta che oramai conoscevo a memoria) ed eccoci ben presto in vista del boschetto che nascondeva la marmitta, quella che in maniera assolutamente casuale avevo scoperto e che mi aveva attirato lì a ripulire.

Avevo iniziato a tagliare i cespugli attorno agli alberi ancora con le corde legate, rendendomi ben presto conto che intrigavano soltanto; me ne ero liberato, che tanto lì non c'era pericolo di cadere da nessuna parte e avevo proseguito nel taglio sistematico di arbusti e rami al fine di liberare la zona con l'intento di lasciare solo gli alberi più significativi, anche in considerazione delle esigue dimensioni del mio seghetto.
Mi ero tolto subito la felpa rimanendo in maglietta a maniche corte riuscendo così a godere del tiepido sole.
Man mano che la marmitta si scopriva, ammiravo quanto era bella, levigata, perfettamente semicircolare e mi chiedevo quanta acqua e sassi avessero potuto passare per compiere quel lavoro di perfetta levigatura.

La soddisfazione superava la fatica e, terminato il decespugliamento, avevo iniziato a progettare la potatura dei rami più alti e delle cime degli alberi, anche aiutandomi a salire con le roccia intorno e, da ultimo, andando sui rami per arrivare in alto, fino a completare l'opera e pensando che dovevo farla bene finché mi trovavo lì sopra.
Segare le parti più alte degli alberi si rivelò la parte più faticosa, anche per la grande attenzione a non sbilanciarmi e correre il rischio di cadere e farmi del male, per ultimo tenni le "rifiniture" che, oramai stanco, feci da seduto.

Era passata un'ora e quarantacinque minuti dall'arrivo in quel punto, quando scesi di poco le roccette per guardare il lavoro finito e la marmitta era lì, perfettamente visibile, rotonda, levigata e per me... bellissima.
Una testimonianza geologica dell'erosione fluvio-glaciale risalente ad oltre 12.000 anni fa, quando il fiume Adige verosimilmente scorreva quasi 150 metri più in alto di quanto non faccia oggigiorno.
Stanco, ma assai soddisfatto, mi rilegai le corde all'imbragatura subito puntando alla paretina a sinistra della marmitta che si rivelò piacevole da scalare, ma troppo breve per riempire di significati arrampicatori la gran fatica che avevo fatto.

Proseguii dentro un'altra macchia di verde facendomi largo con la sega e individuando una breve parete pochi metri sulla destra che si collegava all'ultimo tratto della via Cipriani-Sitta.
Quegli ultimi metri furono la sorpresa più bella della giornata, infatti, alcune fessurette verticali, ben pronunciate, invitavano a salire con divertente tecnica Dulfer e l'unico difetto che rivelarono fu quello di essere troppo corte.
L'obiettivo di giornata era stato raggiunto, la marmitta gemella adesso poteva fare bella mostra di sé e lo verificammo anche dal basso quando facemmo una foto prima di andarcene via soddisfatti. 

La seconda casualità, quella determinante
Dicono che bisogna battere il ferro fin che è caldo ed è vero, così due giorni dopo eravamo ancora lì con l'idea di pulire il tratto di circa dieci metri che avrebbe consentito di poter collegare la via della marmitta dei giganti all'ultimo tratto da noi ripulito, facendo nascere la possibilità di salire una via cha passasse dalle due marmitte.
Un'idea un po' bizzarra con valenze forse più di osservazione geologica che di matrice alpinistica, ma così era.
Le previsioni mettevano peggioramento nel pomeriggio e così salimmo ancora una volta per la Cipriani-Sitta per essere più veloci e arrivare nel più breve tempo al punto da ripulire.
Sta di fatto che, una volta saliti i primi due tiri, mentre recuperavo le corde in sosta, buttai l'occhio verso sinistra notando una bella paretina, quasi verticale e all'apparenza sufficientemente lavorata, che avrebbe potuto condurre direttamente sotto la marmitta gemella e mi lasciai attrarre, perchè è sempre stuzzicante salire terreno nuovo, anche se ci si trova in una falesia di bassa quota e c'è pure da lavorare di seghetto per venirne a capo.

Credo che il sapore di avventura abbia tante sfumature e ognuno sia libero di assaggiarle se e come crede.
Appena potei ripartire, traversai orizzontalmente a sinistra e poi eccomi sulla paretina che si rivelò un gioiellino di arrampicata, di quelle che non ti regalano nulla di superfluo cui appigliarsi, ma nemmeno ti castigano.
Tradotto in cifre è una difficoltà che sta tra il quarto grado e il quarto grado superiore.
Divertente e gustosa, ma per uscirne dovevo perforare una macchia di rami che uscivano da un camino al lato destro del quale ero salito e nel quale riuscii ad intrufolarmi, pur se con qualche difficoltà, per arrivare ad un buon punto di sosta, ovviamente su una bella pianticella che, volendo specificare, era di Roverella.
Da lì vedevo la marmitta gemella, ma ahimè anche una catasta di rami e tronchetti che era il residuo dei tagli di due giorni prima che avevo fatto rotolare verso il basso senza immaginare che da li avrei potuto anche salire.
Mi toccò rimuoverli e, con fatica, gettarli oltre lo spigolo di roccia e poi potei puntare alla marmitta gemella salendo roccette abbastanza facili e ricollegandomi al tratto percorso due giorni prima e per questo arrivare fuori dalla parete.
Anche il bilancio di questa giornata era stato molto positivo, mentre l'obiettivo raggiunto era rivelato completamente diverso da quello fissato in apertura di giornata: ero partito con il proposito di aprire un collegamento nel boschetto tra le due marmitte e invece avevo salito un tratto nuovo, decisamente significativo che, unito a quello di due giorni prima, faceva un percorso inedito della lunghezza di una settantina di metri. A quel punto la riflessione era sorta spontanea, perchè settanta metri equivalevano alla lunghezza di metà parete.
La domanda ne era stata la logica conseguenza.
Se i primi settanta metri in basso avessero presentato una linea di salita e una roccia di buona qualità, ne sarebbe potuta nascere una via nuova completamente indipendente? Fu ruminando quel pensiero, e dopo avere guardato con attenzione e fotografato la parete una volta arrivato in basso, che tornai verso casa.    

Stava nascendo l'idea di poter realizzare una via nuova
La fotografia che avevo fatto alla parete prima di rientrare a casa metteva bene in evidenza il lavoro di pulizia della marmitta gemella e anche il tratto di via percorso nella parte alta della parete, facendo anche notare una parte bassa non eccessivamente alberata e con roccia all'apparenza di discreta qualità.
Era arrivato il momento in cui le fortunate casualità avevano fatto maturare l'idea precisa di provare di aprire una via nuova: la via della Marmitta Gemella, origine e obiettivo di quanto era successo fino a quel momento.
Recuperai una foto con vista "frontale" della parete, proprio una di quelle fatte da Alberto dopo la nostra giornata di arrampicata ai Tessari di quasi due mesi prima: una bella "cinque e mezzo MB" sulla quale studiare la possibile linea e quantificare il lavoro di "disboscamento" da dover affrontare e la linea c'era, fatto salvo un tratto di bosco, verosimilmente dentro o a fianco del  camino nel quale eravamo finiti dopo la salita della "bella paretina".
Se "dentro" quei venti/trenta metri di verde si fosse nascosto un tratto di bella roccia la via era assicurata.
Seguirono giorni di cattivo tempo (ovviamente guardando le previsioni sulla Val d'Adige) e la voglia di andare a completare la via si scontrava con il timore di un fine settimana di pioggia che avrebbe vanificato ogni tentativo, poi, "sabato una tregua nel maltempo", aveva recitato la previsione de ilmeteo.it.
Sabato 29 novembre la giornata ai Tessari appariva addirittura più bella di quanto avessero lasciato sperare le previsioni, con un sole leggermente velato ma ugualmente tiepido e totale assenza di vento.

Andando all'attacco mi ero sforzato di tenere un passo tranquillo senza farmi prendere dalla impazienza di cominciare che mi sentivo dentro, poi avevo cercato il punto migliore di attacco localizzando i riferimenti che avevo individuato in fotografia, e infine, dieci metri sopra il sentiero di accesso alle vie ecco iniziare la roccia che subito regalava una bella e robusta clessidra sulla quale posizionare un cordone di sosta.
Lo sguardo verso l'alto non era stato subito incoraggiante, la linea di roccia c'era, ma l'intrigo di vegetazione pure.
Devo dire che l'esperienza fatta nei due anni di arrampicata in bassa quota con Eugenio Cipriani mi ha insegnato che i conti si fanno alla fine e che, se hai valutato bene le cose, "dove c'è una volontà e un seghetto c'è una via", anche se si deve passare per le forche caudine di una vegetazione che è un ostacolo, ma non un impedimento. 
Percorro i primi trentacinque metri e arrivo a fare sosta su due alberetti sopra un discreto terrazzino; il sole mi scalda quel tanto che basta e posso rifiatare dopo mezzora di arrampicata e seghetto.

Guardando sotto vedo il "corridoio" di roccia del primo tiro, mentre davanti a me c'è una breve parete e poco sopra inizia la fitta macchia di verde nella quale bisognerà infilarsi.
Quando riparto sono attirato da una bella parete pulita e taglio alcuni rami avvicinandomi, ma mi accorgo che è quella della Cipriani-Sitta, però capisco anche esattamente dove mi trovo e adesso so dove devo andare.
Infatti, pochi metri a sinistra ecco il grande camino alla cui destra devo rimanere per collegarmi esattamente al tratto già percorso la settimana prima; qui la vegetazione abbonda e bisogna andare di seghetto per progredire.
Supero un bello strapiombino che proteggo con un friend, segue una breve parete e poi traverso dentro al camino, anche camminando su un grosso tronco contorto che sostiene il mio peso senza scomporsi, tanto è grosso.
Ho percorso altri trenta metri e sono alcuni metri sotto la "bella paretina" salita la settimana precedente, così  faccio mentalmente una botta di conti: partenza dieci metri sopra il sentiero, più trentacinque metri il primo tiro, più trenta metri questo secondo tiro, fanno settantacinque metri che aggiunti ai settanta già fatti fanno centoquarantacinque, cioè la lunghezza della parete dei Tessari. Dunque, la via c'era ed ora è fatta!

Rimane da pulire bene la zona attorno alla sosta e i pochi metri sopra che si innestano sulla paretina e poi potremo goderci gli ultimi settanta metri di scalata già puliti la settimana precedente.
Decido di togliere lo zaino per lavorare meglio, ma nella foga dei tagli e della pulizia finisco con il lasciarlo nel punto sbagliato e pure aperto, quando me ne accorgo è pieno di foglie ed erbe, per cui lo devo svuotare per pulirlo.
Poco dopo avere ripreso, il seghetto perde la vite che tiene la lama, la quale ruzzola giù, ma riesco a recuperarla, mentre per la vite, nonostante le accurate ricerche, niente da fare; tutto questo sotto lo sguardo divertito di Rita, che osserva il mio arrabattare, ascolta le mie imprecazioni e i miei mugugni e lascia fare senza profferire parola.
Comunque, niente paura, perchè nello zaino ho portato un'altra sega e con quella finisco il lavoro e quando al termine guardo in su la "bella paretina" e l'ultimo tratto di camino appaiono perfetti.
Segue un accurato lavoro di pulizia della suola delle scarpette al termine del quale le suole sono asciutte e le mie mani completamente sporche di fango e nere del colore della gomma.

L'arrampicata è proprio bella e il momento più impegnativo sarà quello nel quale ho dovuto mollare entrambe le mani per annodare un bel cordino colorato da lasciare per protezione in una piccola ma robusta clessidra di roccia.
Tiro breve, poi sosta sotto il tiro che porta e supera la marmitta gemella che appare lassù bella e rotonda. 
Arrampico gli ultimi due tiri con rilassata piacevolezza, eseguo qualche taglio di rifinitura con la forbice, pulisco la partenza dell'ultimo tiro con la spazzola metallica, mi godo il breve Dulfer ed ecco che è davvero fatta.
Ora posso confermare: le cose che nascono casualmente, sono spesso le meglio riuscite, proprio in virtù della loro casualità, per la spontaneità con la quale si compiono, e per le fortunate coincidenze che a volte le facilitano.
Forse la più bella di quelle che mi è capitato di vivere è stata proprio nel realizzare la via della Marmitta Gemella.

Gabriele Villa
La via della Marmitta Gemella alla parete dei Tessari di Val d'Adige
Tessari, 29 novembre 2014


Note tecniche e notizie integrative

TRAPEZIO. Con questo nome viene chiamata la struttura rocciosa, di forma vagamente trapezioidale, situata immediatamente alle spalle della località I Tessari. Si tratta di una formazione di ottima roccia calcarea straordinariamente erosa e lavorata dagli agenti atmosferico alta circa 150 metri e di comodo accesso sulla quale è possibile arrampicare tutto l'anno.
Lunghe fasce verticali di vegetazione separano l'una dall'altra le vie di salita che praticamente ricoprono l'intera parete.
Il Trapezio è stato scoperto ed esplorato in maniera sistematica da Eugenio Cipriani assieme a diversi compagni nel 1982.
Dopo quasi un ventennio è stato riscoperto da alcuni arrampicatori locali che hanno tracciato una variante alla via "Il cappuccio del fungo". Gli itinerari, tutti facili, sono complessivamente una decina, ma ne sono stati recentemente riattrezzati e segnalati una metà.
Nella risistemazione delle vie volutamente non si è abbondato con la chiodatura: la ricchezza di clessidre e ancoraggi naturali fa infatti del Trapezio un'ottima palestra dove affinare la capacità di proteggersi in modo autonomo.
Ogni ulteriore aggiunta di fix verrà drasticamente "ridimensionata".
[Dalla guida "Monte Baldo Rock", autori Cristiano Pastorello e Eugenio Cipriani. Edizioni Versante Sud. Anno 2014] 

La via della Marmitta Gemella è stata aperta nel rispetto delle indicazioni contenute nella guida Monte Baldo Rock; nel corso della salita non sono stati usati chiodi, ma solamente tre friend medio piccoli, clessidre naturali, spuntoni di roccia e alberi per le soste (la cui ombreggiatura risulterà sicuramente molto gradita nelle giornate più calde della tarda primavera e dell'inizio estate).
Le difficoltà nei primi due tiri sono contenute (secondo e terzo grado) mentre nei rimanenti tre tiri possono arrivare a passaggi di quarto grado superiore se si rispetta la linea di salita, ovvero calare di mezzo grado effettuando leggeri scostamenti a cercare punti più facili.
In apertura i cinque tiri sono stati saliti con queste lunghezze: 1° di 35 metri; 2° di 30 metri, 3° di 15 metri, 4° di 40 metri, 5° di 20 metri. In via è rimasto un cordone nella clessidra di partenza, un cordino su clessidra al terzo tiro sulla "bella paretina", un cordone al quarto tiro sulla placca a fianco della marmitta gemella, un cordone su spuntone al quinto e ultimo tiro subito sopra il passaggino del Dulfer.
L'attacco lo si trova dieci metri sopra il sentiero, venti metri prima di arrivare all'attacco della Cipriani-Sitta.
Non serve lo schizzo perchè la via è "disegnata" sulla parete e sarà sufficiente seguire le rocce là dove la vegetazione è stata rimossa. A metà del secondo tiro, trascurare una bella parete a destra perchè è quella della via Cipriani-Sitta che in quel punto passa appena cinque metri a destra.