Di peggio c'è sentir parlare di una ferrata che poi non c'è...
Sulla normale all'Agner nel 1973
di Alberto Cecchetti
Anno 1973.
Con una compagnia di "Rovigoti" accampati in zona Domadore di
Frassenè Agordino, campeggio libero conteso tra gruppi parrocchiali,
scout e indipendenti, tra luglio ed agosto, come escursione finale
decidemmo la salita al Monte Agner per la via normale.
Una guida locale, al secolo Noè della Lucia, arzillo ma in forma, che ci
aveva concesso la collocazione della tenda su un suo prato, ci fornì
qualche dritta e dette la stura ai suoi ricordi.
In pratica con l'accompagnamento all'Agner nei tempi d'oro del turismo a
Frassené, si era fatto casa e stalla con mucche ... pur essendo anche
stato barbiere del paese nei ritagli di tempo...
L'ultima sua salita la effettuò come ospite d'onore in occasione
dell'inaugurazione del bivacco Biasin nel 1965.
Girava voce in un'osteria, in mancanza di riviste e siti web, che ormai
dal bivacco alla cima ci fosse una ferrata. Confortati, con veri
scarponi da roccia, e un cordino da 8 millimetri ed un solo moschettone a
testa, alle ore otto ci presentammo per la primissima salita della
mitica seggiovia ora in sfacelo.
Per farla corta, omettendo risvolti picareschi e comici tra cui la
completa dimenticanza di acqua da bere, e sovrabbondanza di panini e
cartoccio di mortadella, arrivati al bivacco, decidemmo per la
conclusione finale. Quattro partirono ed erano fratelli formati ai corsi
CAI, con palmares di tutto riguardo muniti di una corda di nylon
occultata in fondo al loro sacco, ...e caschi da motoscooter.
Poi alla spicciolata distanziati partimmo in altri quattro.
Sorpresa: c'era sì un cavo di acciaio ma arrugginito, arrotolato
appoggiato alla parete pochi metri oltre il bivacco. Di ferrata con
tanto di cavo teso e fittoni e bolli rossi nemmeno l'ombra.
Altrimenti avremmo organizzato meglio la salita finale, chiedendo agli
altri di andare più lentamente e di farci sicura.
Ci trovammo dopo esserci avventurati a vista, con le punte degli
scarponi appoggiate a piccoli gradini di roccia e sotto di noi, a filo a
piombo, la valle di San Lucano con formichine umane e macchinine che la
transitavano. Capimmo il concetto di ESPOSIZIONE e lentamente con
tremarella facendoci coraggio a vicenda, desistemmo e arrampicammo
all'indietro e, con un sospiro di sollievo, arrivammo al Bivacco... a
finire pane e mortadella.
Gli altri quattro invece raggiunsero la cima dell'Agner e videro con
somma sorpresa sbucare dalla Nord due alpinisti teutonici in gran
spolvero, con zainoni, corda fresca di produzione, imbragature e
ferraglia varia.
Avevano completato la via Jori-Andreoletti-Zanutti.
I due, oltre ai nostri quattro, scesero assieme al bivacco e a sancire
ancor di più la loro superiorità, ci fornirono da bere da borracce
techno un ottimo the caldo che finalmente spinse in giù i paninazzi,
con rutto liberatorio.
Che figura!
Poi i due veri alpinisti si lanciarono in discesa a balzi per il nevaio,
con ramponi calzati, facenti parte del loro equipaggiamento.
Quando, prima, li avevamo invitati a percorrere assieme a noi il
sentiero dello spallone più '"easy", ci avevano risposto "Thank you,
we prefer hard ways!"
Adesso che c'è la ferrata completa anche troppo, è sparita l'emozione ed
anzi esiste pure la ferrata "Stella Alpina". In compenso manca la
seggiovia!
Alberto Cecchetti.
Di peggio c'è sentir parlare di una ferrata che poi non c'è...
Motta di Livenza (Treviso), agosto 2021
(Ex residente a Rovigo - Cliente di Giancarlo Milan)
Spiegazioni dell'autore.
La foto dell'angolo "traditore" con cavo di acciaio arrugginito.
(Forse conoscete il dotato di casco? ...Francesco Zorzato, al secolo
Chicco ora docente-ricercatore UniFerrara e accanto una sua sorella).
La foto si riferisce alla discesa di ritorno, dopo l'incontro coi fuori
classe tedeschi.
Per la discesa scendemmo a gruppi scaglionati.
In due eravamo i chiudi fila, sopra avevamo rampa ripida col bivacco
ancora visibile.
Da molto in basso un fratello di Francesco gli gridò: "Chiccooo, me
son desmentegà la machina fotografica sul letìn del bivacco, vai su ti
che te sì più vizìn."
Scaricato di zaino, il Chicco risalì sacramentando.
Arrivato al bivacco gridò in basso: "Qui non c'è nessuna macchina
fotografica!"
Dal basso, rispose una voce: "Ah, scusa, era qui in fondo al mio
zaino, in mezzo alla maglietta sudataaaaaa!"
L'altro ridiscese a rotta di collo con potenti imprecazioni a raffica.
Arrivati al rifugio Scarpa, ci abbeverammo e risalutammo i tedeschi che
si stavano strafogando di polenta e spezzatino con un fiascone, modello
impagliato, da due litri, davanti a loro.