La via di Ignazio Piussi al Piccolo Mangart di Coritenza
di Melania Lunazzi
Lunedì 21 agosto 2023 a Tarvisio è stato dato l’ultimo saluto a Lorenzo
Paroni e Giulio Pacchione, i due giovani finanzieri soccorritori che
hanno perso la vita scalando la via Piussi al Piccolo Mangart di
Coritenza.
I loro corpi sono stati trovati ancora legati entrambi al cordino di
sosta, fatto che lascia supporre che la causa dell’incidente sia stata
un crollo roccioso che ha trascinato entrambi alla base della parete.
L’imponderabile avrebbe quindi travolto gli sfortunati scalatori, che
lasciano un grande vuoto anche nel corpo del Soccorso Alpino e
Speleologico FVG. La loro morte ha riportato in primo piano una via
estrema e poco frequentata delle Alpi Giulie. Che sembra non essere più
la stessa: Romano Benet e Roberto Mazzilis raccontano come è cambiata la
via Piussi al Piccolo Mangart di Coritenza.
La via aperta da Ignazio Piussi tra l’11 e il 13 agosto del 1962 sul
Piccolo Mangart di Coritenza in tre giorni di arrampicata assieme a
Sergio Bellini e Umberto Perissutti è considerata uno dei banchi di
prova più impegnativi delle Alpi Giulie. La sua lunghezza, le difficoltà
sostenute, l’isolamento, l’esposizione settentrionale e l’arrampicata
tecnica e poco proteggibile, sono le caratteristiche che ne fanno ancora
oggi, assieme al Diedro Cozzolino e ad altre poche vie nel gruppo del
Mangart, un punto d’onore nel curriculum di un alpinista. L’itinerario
vanta rarissime ripetizioni ed è una di quelle scalate che lasciano il
segno nei ricordi, per l’ambiente e le suggestioni che restituisce.
Per la prima ripetizione della Piussi al Piccolo Mangart passarono
undici anni – nel 1973 gli sloveni Jože Rožič con Zvone Andrejčič, come
documentato sul sito di Peter Podgornik www.primorskestene.com – e ne
servirono tredici per la prima ripetizione italiana, realizzata da una
doppia cordata composta da Attilio De Rovere con il mitico Ernesto
Lomasti e da Roberto Simonetti con Valter Cucci.
Roberto Mazzilis e Romano Benet, insieme, nel 1981 si avventurano sulla
grande muraglia di calcare di circa 800 metri del Piccolo Mangart, erano
due giovani (un ventunenne e un diciannovenne), che oggi sono due grandi
nomi dell’alpinismo, in ambiti differenti e diversamente portavoce di un
alpinismo by fair means.
Quei due ragazzi erano Roberto Mazzilis, il fuoriclasse tolmezzino
classe 1960, autore di centinaia di vie nuove di elevata difficoltà
sulle Alpi Carniche e Giulie, e Romano Benet (classe 1962), l’alpinista
di Fusine, che ha scalato assieme alla moglie Nives Meroi tutti i
quattordici Ottomila.
“Avevo notato - ricorda Roberto Mazzilis - le grandi capacità
di Romano e così gli ho proposto di fare la Piussi al Piccolo Mangart.
Ci siamo divertiti, la trovai una via bellissima e impiegammo un tempo
da record nel farla, cinque ore, se non ricordo male. Fu la prima
ripetizione in libera, dove Piussi aveva affrontato qualche passaggio in
artificiale: la valutai VI+. Erano i primi anni in cui si usavano le
scarpette e arrampicammo in scioltezza: allora era pulita. Romano era
spigliato, un bel carattere, e svelto come arrampicatore”.
“Con Roberto - racconta a sua volta Romano Benet, che è nato e
vive sotto le pareti del Mangart -avevamo salito nello stesso anno la
Piussi alla Veunza. Su quella via aveva potuto vedere che gli stavo
dietro (ride) e mi ha proposto la Piussi al Piccolo Mangart. Era una
bella occasione, sapevo che aveva arrampicato con Lomasti, l’alpinista
più forte del Friuli. Fummo velocissimi, me ne ricordo bene. Ha condotto
sempre lui: mi ha ceduto il comando solo per due tiri, facendomi un
grande favore”, aggiunge con ironia.
Per entrambi il buon ricordo di un bell’itinerario condiviso con
successo.
L’erba ha riempito le fessure, la via è cambiata, sottolinea Mazzilis.
Le esperienze successive, soprattutto quelle più recenti, hanno portato,
a distanza di anni, valutazioni diverse su quella via da parte di
entrambi. Sulle cause delle mutate impressioni Mazzilis e Benet hanno
pareri differenti.
Per Mazzilis è un oggettivo cambiamento delle condizioni delle vie, per
Benet, una perdita di consuetudine con il tipo di arrampicata che le
Giulie richiedono.
“L’ho ripetuta - continua Mazzilis - “nel 2008 con Fabio
Lenarduzzi in sette ore e l’ho valutata più impegnativa e con qualche
tratto friabile. L’itinerario nella parte centrale sotto i tetti non era
evidentissimo e abbiamo fatto delle varianti. Ricordo che la trovai
molto inerbita, al punto che non l’avrei consigliata a nessuno. Con
l’innalzamento delle temperature in Alpi Giulie è cresciuta parecchia
vegetazione e tante vie prima piacevoli si sono inerbite: l’erba cresce
nelle fessure e le chiude, costringendo a cercare altri passaggi. Se mi
si chiedesse un consiglio, oggi, direi di farla con molta attenzione.
Questo per esempio non succede nelle Alpi Carniche, dove la roccia è
sempre stratosferica e le pareti rocciose uniche come compattezza. Le
vie in Giulie, soprattutto quelle selvagge e ombrose, sono in parte
rovinate dall’erba: lo dimostra il fatto che di recente sono tornato a
rifare la Piussi alla Veunza, che avevo affrontato in solitaria, e per
puro caso ho ritrovato un moschettone blu che avevo lasciato in una
fessura, completamente inglobato nell’erba, al punto che non riconoscevo
più il passaggio.
Ho dovuto cercare a lungo prima di vederlo: l’ho recuperato mezzo
sbiadito. Credo che i cambiamenti climatici incidano molto e su queste
pareti in particolare incidono gli sbalzi di temperatura tra inverno ed
estate.
La mia idea è che, se si continua di questo passo, molte salite dovranno
esser sconsigliate. Ciononostante ho scovato comunque un paio di
progetti nuovi da realizzare sul Piccolo Mangart”.
“Non siamo più abituati a queste rocce” - dice Benet.
Per Benet il Mangart è la montagna di casa, la palestra di allenamento
in ogni stagione.
“Da giovane - ricorda - arrampicavo sempre qui perché non
avevamo soldi per andare su altre montagne. Poi, quando è arrivato il
“garellino” (motorino Garelli, ndr) abbiamo potuto visitare anche
qualche altro gruppo. Comunque mi sono fatto le ossa proprio sulle vie
di Ignazio Piussi, che era un punto di riferimento, un mito vivente. La
prima è stata la Piussi-Soravito assieme all’amico Graziano Vuerich: la
scalammo facendo notte e durante la discesa verso valle ci venne
incontro il Soccorso Alpino, che qualcuno aveva chiamato a nostra
insaputa". L’allora capostazione Loris Savio, ci disse: 'La
prossima volta portatevi una sveglia' e ci suggerì, anzi ci impose, di
entrare nel Soccorso Alpino. La Piussi al Piccolo Mangart l’ho ripetuta
nel tempo sei volte, anche se delle prime salite non ho foto, dato che i
soldi per comprare una macchina fotografica sono arrivati molto dopo.
È una via che mi era venuta facile e ci ho portato ovviamente Nives
quando l’ho conosciuta, poi un altro amico e poi c’è stata l’invernale,
nel 1987 (la prima e a oggi unica ripetizione invernale, ndr).
Sulle Giulie ci sono sempre stati tratti di roccia marcia, sul facile
però. Più la via è verticale più la roccia in genere è buona. Nel
complesso la Piussi al Mangart, dopo il Cozzolino, è la via del gruppo
con la roccia migliore.
Però è un itinerario dove devi lavorare molto di testa: ci trovi tanti
appigli stondati e lisci, pochi chiodi: è “instabile”, è tecnica, la
forza non ti serve più di tanto: devi avere testa, soprattutto per
sostenere il disagio di quando hai il chiodo venti metri sotto di te.
Alla Piussi sono tornato l’ultima volta una decina di anni fa con Nives
e Marina Vuerich. Abbiamo fatto il primo tiro, prima di attaccare la
Floreanini, che era l’obiettivo di quel giorno, e non mi sono più
trovato bene, non ero più a mio agio e so anche perché. Negli ultimi
anni abbiamo arrampicato tanto in Dolomiti e ho quindi perso l’abitudine
alla conformazione della roccia delle Giulie e al diverso tipo di
appigli e appoggi, che in Dolomiti sono perlopiù piatti e sicuri. Questo
è uno dei motivi per cui la via di Piussi e le vie in Alpi Giulie in
genere sono poco note e ancor meno frequentate. A parte il Diedro
Cozzolino, dove spesso chi viene da fuori incappa in un bivacco in
parete, gli unici a percorrerle sono soprattutto gli alpinisti sloveni”.
Melania Lunazzi
La via di Ignazio Piussi al Piccolo Mangart di Coritenza
Da Montagna.tv - Agosto 2023
La descrizione della via redatta da Gino Buscaini nel 1971
Dalla relazione pubblicata da Gino Buscaini su Alpi Giulie. Guida dei
Monti d’Italia 1971, p. 376
Piccolo Mangart di Coritenza, per il pilastro Nord S. Bellini. U.
Perissutti, I. Piussi, 11-13 agosto 1962, dopo un tentativo nei giorni
9-10 agosto (inf. privata Bellini e Piussi).
Bella scalata logica e diretta, che supera arditamente il pilastro e gli
strapiombi sotto la cima.
La via non è stata ancora ripetuta.
I suoi passaggi sono più duri di quelli della Lacedelli a Cima Scotoni e
l’arrampicata è anche più libera di questa; tuttavia sul pilastro Nord
vi sono già più tratti artificiali che sull’attigua via Piussi della
parete (it. seg.).
Secondo Bellini è più difficile e sostenuta della via Soldà alla
Marmolada.
I posti da bivacco si trovano: sopra il pilastro basale e nella zona
immediatamente superiore, nella caverna della fessura di sinistra, nel
piccolo anfiteatro sopra la zona degli strapiombi.
Altezza 750 metri.
Difficoltà: VI, A2.
Chiodi lasciati: circa 70, quasi tutti nella parte superiore, nella zona
degli strapiombi.
Usato 1 chiodo a pressione, lasciato.
I chiodi occorrenti sono i comuni orizzontali, a spatola lunga.