FIRST SNOW, FREE RIDE, TWICE ASCENT

 

di Marco Parolini (Trento)

 

Novembre 2000: dopo le prime abbondanti nevicate organizziamo la prima scialpinistica della stagione in Marmolada. Ecco il racconto di Marco.


Sveglia alle 5.10 un po' di stretching e mentre il the attende di bollire nel pentolino, scorro velocemente qualche riga da un vecchio libro di Reinhold Messner: il racconto si intitola "Allenamento delle dita di un suicida - Prima ascensione assoluta e solitaria della diretta alla parete sud della Marmolada di Rocca". Bene penso tra me e me. Proprio dove ho intenzione di andare oggi. Ma dal versante opposto. E con gli sci. Verso il the nel termos, lo sistemo nello zaino assieme a un tozzo di pane, quattro mandaranci e una barretta di cioccolato: saranno la mia colazione, pranzo e merenda. Per la cena vedremo. Ormai lo so bene che prima di mezzogiorno non riuscirò a ficcare giù nulla. Al massimo mi priverò di qualche peso superfluo ...lungo la salita.

Carico come un marocchino coi suoi tappeti, prendo tutta la mia roba ed esco dalla porta cercando di non fare rumore: è domenica mattina e tutti dormono il sonno migliore della settimana. Sci nella mano destra, zaino in spalla, borsone a tracolla, scarponi nella mano sinistra, chiavi in bocca: scendo le scale e con un giochetto d'equilibrismo riesco ad aprire il portone e sgusciare fuori, soddisfatto di me stesso per averlo fregato. E invece patatrac! Lo zaino si incastra tra il portone e lo stipite, mentre gli sci sbattono contro il vetro. Da cinque anni ogni domenica mattina la stessa moviola. Corro verso l'auto e carico tutto velocemente.

Ormai sono già le sei e tra un'ora mi troverò con Francesco a Predazzo. Mentre viaggio verso nord scorgo le cime innevate dell'Alto Adige. Accidenti penso, là ci sarà più neve che nel Trentino Orientale. Non ho proprio voglia di portarmi in spalla gli sci, neanche oggi che è la prima scialpinistica della stagione. A Predazzo travaso tutta la mia mercanzia sulla nuova limousine di Francesco che non vedo da luglio quando insieme abbiamo scalato il Gran Zebrù. Nel frattempo ne ha fatta di strada ed ormai il suo curriculum conta vie alpinistiche fino al VI grado. Bene, così avremo di che parlare. E invece Francesco mi racconta della sua "banale escursione" del giorno prima. Poco male, penso tra me e me, parleremo di grande alpinismo questa sera sulla via del ritorno.

Il sole accecante che sorge proprio di fronte a noi, ci impedisce quasi di vedere il parcheggio sulla destra dove già uno stuolo di "malati" si sta preparando, come tutti, per la "prima". Me lo aspettavo. In questi anni ho imparato a riconoscere le peculiarità dei vari amanti della montagna, e quello che manifesta la passione più viscerale è sicuramente lo scialpinista che calza gli sci a novembre e li leva a giugno.

Mentre ci prepariamo mi rendo conto che è freddo: meno cinque, sentenzia Francesco. Lo osservo bene mentre si veste perché dal luglio scorso ha fatto un deciso salto di qualità: giacca North Face e scarponi nuovi. Sai, mi dice, i vecchi proprietari reclamavano la roba che mi avevano prestato.

Le prime falcate con gli sci ai piedi mi ricordano l'equilibrio precario di un paziente che prova a camminare dopo una lunga convalescenza. Ma in questo caso il "malato" si riprende presto e dopo qualche minuto sgambetta con sicurezza all'interno della traccia che si inerpica a zig zag su pendenza davvero ideale su neve davvero ideale: 50 centimetri di polvere su cui metteremo la nostra firma tra poco. Dopo un'ora abbiamo già percorso quasi metà tracciato e dall'alto possiamo scorgere la processione di "malati" che si apprestano a salire alla croce di vetta per ricevere la loro benedizione. Tra questi c'è anche il Max Murara, noto campione di scialpinismo, che nella stessa giornata salirà in cima ben tre volte, approfittando per la discesa delle varie opportunità di fuoripista estremo offerto dalle pendici nord della Marmolada.

Sono quasi le undici quando anche noi raggiungiamo il culmine con un cielo limpido ed un freddo veramente cane. Meno dieci, dice Francesco leggendo dall'orologio multifunzione appeso alla tiracca del suo zaino. Infatti io ho già perso da un pezzo la sensibilità alle mani ed impiego mezzora solo a prepararmi per la discesa. E' troppo freddo per restare lì a gustare il paesaggio e parlare un po' del prossimo week end. Così agganciamo gli sci ed incalziamo una serie di serpentine da fare invidia ad Alberto Tomba: mi stupisco di me stesso, ormai sono cinque mesi che non scio, ma forse è solo questa neve fantastica che mi fa sentire così Valeruz. Nella ricerca del pendio più vergine ci teniamo alla larga dagli enormi crepacci che costellano il ghiacciaio intorno a noi. Anche la discesa è faticosa, non riesco ad incalzare più di cento metri di serpentine consecutivi. Ma non c'è problema, siamo a quota 3300 metri e possiamo sciare ancora fino a duemila: direttamente fino al parcheggio.

Sono solo le 13.00 quando arriviamo giù. Mentre mi scaldo con del the bollente, Francesco osserva che è ancora presto...che è un peccato tornare a casa ...che potremmo tornare su per rigoderci una nuova discesa, magari dal versante di Pian dei Fiacconi. Per oggi ne avrei abbastanza penso. Dove la trovo la motivazione per altri 1300 metri di salita? Nella discesa?

Non so dove, ma due ore più tardi ci accingiamo a ricevere la nostra seconda benedizione della giornata. Stamattina c'era il sole e ora nevica. Il freddo è sempre cane. Sono le 15.00 e tra la nebbia riusciamo a scorgere il fondovalle, ormai completamente dominato dalla lunga ombra del tramonto e della nuova perturbazione in arrivo.

Con un principio di congelamento al naso che sta diventando bianco come quello di un pagliaccio, mi lancio verso il fondovalle per lasciare una seconda volta la mia firma.