Gli antesignani dello scialpinismo a Ferrara
di Gabriele Villa
I primi vent’anni della Sezione di Ferrara tra alpinismo e sci (da
"in montagna" n° 4/2017)
Diciamo a premessa che quando abbiamo iniziato questo lavoro
di ricerca lo abbiamo fatto da curiosi, non da storici, pensando soprattutto
di attingere ai ricordi dei soci più anziani per aggiungere notizie a quelle
che già si conoscevano per essere state scritte e quindi tramandate con
certezza. Abbiamo capito ben presto che non saremmo potuti andare più a
ritroso del secondo dopo guerra (cioè i primi anni ’50), in seguito ci siamo
resi conto di quanto poco era stato tramandato dei primi vent’anni di vita
sezionale, da ultimo abbiamo compreso (e qui lo possiamo affermare con
certezza) che la storia di quei primi vent’anni non è mai stata scritta.
Se
sfogliamo il libro del cinquantennale della sezione (1927-1977 Storia e
ricordi di cinquant’anni dell’alpinismo ferrarese) non troviamo una sola
foto di sciatori, né di fondo e nemmeno di discesa e dunque ecco sorgere una
prima domanda: come mai le foto degli album fotografici di quegli anni sono
piene di bellissime immagini di soci che sciano in ogni dove dell’arco
alpino, compreso Cervinia?
E la seconda domanda: come mai negli archivi
sezionali è conservata una lettera nella quale si comunica la
costituzione dello “SCI C.A.I FERRARA”, nell’anno 1938, regolarmente
affiliato alla FISI?
La risposta è proprio in quelle tante fotografie di
sciatori che hanno fatto scattare la nostra voglia di ricerca storica e di
approfondimento, dopo essere arrivati alla prima logica conclusione che il
libro del cinquantennale aveva voluto raccontare la storia dell’alpinismo
ferrarese e non quella della Sezione, che non è mai stata scritta con
completezza storica. La passione per lo sci ha avvicinato molte persone alla
sezione favorendone la crescita in quei primi anni di vita e ciò non è stato
riconosciuto come avrebbe meritato, come si volesse rimarcare una
“supremazia” dell’alpinismo sullo sci. Può anche essere che la pratica dello
sci risultasse per molti il modo più economico per andare in montagna
usufruendo degli sconti sui viaggi ferroviari offerti dal CONI ai tesserati,
in quanto gli sciatori soci del CAI erano registrati con la qualifica di
"atleta" nel ventennio del periodo fascista.
A sciare a Cervinia con la littorina. Il momento più lontano che siamo riusciti a raggiungere a memoria d’uomo risale al 1939, tramite Alessandro Gorini il quale, socio CAI Ferrara dal 1946, ricorda di un evento che veniva tramandato in quegli anni. Un folto gruppo di soci era partito dalla stazione ferroviaria di Ferrara con una “littorina” per raggiungere Chatillon in Val d’Aosta, per recarsi a sciare a Cervinia. Con un po’ di pazienza e una buona dose di fortuna abbiamo trovato un riscontro in una cronaca datata 5 maggio 1939, a firma di Luciano Chailly, peraltro non troppo dettagliata, titolata “Nel magico regno di Re Cervino”. Vi si legge: “Eravamo in sessantadue, tutti alpinisti o appassionati della montagna, gente che ha la serenità nel cuore, allegra, sempre allegra, quel giorno più che mai. La ‘Freccia Bianca’ ci conduceva in sei ore e mezza a Chatillon e da qui i torpedoni iniziarono la loro ‘pompata’ e in due ore ci portarono a Cervinia. Ma il Cervino non c’è… la nebbia lo ha avvolto e lo tiene schiavo sotto il suo opprimente manto plumbeo.” La delusione svanirà al mattino successivo quando, aprendo le finestre al risveglio, apparirà il cielo terso e luminoso e Luciano Chailly descrive il momento con grande enfasi: ‘La conca del Breuil appare in tutta la sua vastità, con tutto l’incanto del suo candore, dei suoi campi vastissimi, dei suoi enormi mammelloni solcati dalle più svariate piste da sci. Il Cervino dominatore, illuminato dal sole è rinato finalmente alla luce e ha levato ancora il suo capo orgoglioso contro i cieli”.
Negli anni successivi
sarebbero arrivati anche gli scialpinisti; gli iniziatori di questa attività
furono prima Renato Fabbri cui si aggiunse in seguito Alessandro Gorini. Si
trattava di attività individuali che venivano svolte con guida alpina, ma
che negli anni fecero adepti fino a costituire dei nuclei di appassionati e
diventare attività sociali organizzate periodicamente, come parallelamente è
successo anche in campo alpinistico. Sono arrivati vari contributi da parte
di soci, soprattutto fotografici, ma la ricerca dovrà essere approfondita
per completarla.
A dare l'idea dell'ottimo livello di questi scialpinisti "pionieri" della
sezione di Ferrara un ricordo/intervista ad Alessandro Gorini che
riprendiamo dal bollettino "in montagna".
1956. La traversata scialpinistica del massiccio del Monte
Bianco (da "in montagna" n°5/2017)
Lo spunto viene guardando una serie di
scansioni di vecchie fotografie in bianco e nero che riportano a tempi
“antichi”. Una in particolare, mostra quattro persone in fila, sci ai piedi,
che si muovono sul ghiacciaio del Miage, ambiente tipico dell’alta montagna.
L’abbigliamento non è quello che siamo abituati a vedere oggi. Il primo
della fila ha in testa una coppola, e l’ultimo, oltre a quella, indossa una
camicia. Ciò che a un certo punto attira l’attenzione è il terzo della fila,
con un berrettino bianco in testa, tiene nelle mani due strani bastoncini da
sci e scatena subito una curiosità pungente. Riconoscendo il protagonista,
Alessandro Gorini, siamo stati in grado di farci raccontare quella stranezza
e anche la storia di quelle giornate.
Cosa stavate facendo, Sandro?
Era il 1956 e stavamo iniziando la
traversata scialpinistica del massiccio del Monte Bianco guidati da Toni
Gobbi. Walter Bonatti aveva appena effettuato la traversata in sci delle
Alpi, guida con cliente, e Gobbi voleva compiere un’impresa similare. Ero
assieme a Renato Fabbri, che è stato presidente della nostra sezione prima
di me.
Puoi raccontare di quegli strani bastoncini che
avevi nelle mani?
Partimmo da Courmayeur con il taxi per
raggiungere la Val Veny e iniziare il giro. Quando scaricarono i bagagli, ci
si
accorse che mancavano i miei bastoncini da sci. Allora Renato Petigàx,
l’altra guida che ci accompagnava, trovò un tronco infisso nel lago di
Combal e con martello e chiodi da roccia lo divise in quattro parti e ricavò
due bastoni rudimentali, con i quali ho potuto effettuare la traversata.
Non era un’impresa di poco conto dal
punto di vista dell’impegno fisico e tecnico. Vero?
Va detto che ci eravamo preparati con
una settimana scialpinistica di allenamento, percorrendo la Houte Route da
Courmayeur fino a Zermatt e poi a Cervinia. Si tratta di 120 chilometri con
gli sci ai piedi. Poi ci trovammo per la partenza. Allora avevo 28 anni ed è
stato 61 anni fa.
Che itinerario seguiste nella
traversata?
Partimmo dal lago di Combal, passammo
per la cima del monte Bianco e arrivammo al Plan della Aiguille du Midì.
Conservo ancora il biglietto della funivia con la quale scendemmo a fine
traversata. Dormimmo alla Capanna Vallot in salita anche se dire dormire
naturalmente è un eufemismo. Basti pensare che materassi dei letti erano in
fibre d’amianto.
Quali furono i tratti di maggiore difficoltà che affrontaste?
La parte più impegnativa fu la risalita della cresta di Bionessay che
percorremmo in cordata con ramponi e piccozza. In discesa il tratto più
impegnativo fu quello tra il Gran Plateau e il rifugio Gran Mulet.
Per quanti giorni vi impegnò questa
traversata del Monte Bianco?
Impiegammo in tutto quattro giorni, di cui uno
perduto a causa del maltempo che ci tenne bloccati alla Capanna Gonella.
Quando vi giungemmo, aprendo la porta, ci trovammo davanti un muro di neve
pressata dal vento che dovemmo spalare per poter entrare e trovare riparo.
Gabriele Villa
Gli antesignani dello scialpinismo a Ferrara
Ricerche storiche per il 90° del CAI Ferrara, 1927-2017