Gli antesignani dello scialpinismo a Ferrara

di Gabriele Villa


Nell'ambito delle iniziative sezionali per il festeggiamento della ricorrenza dei novant'anni della fondazione della Sezione di Ferrara del Club Alpino Italiano avevo proposto al Consiglio Direttivo di avviare una ricerca storica che non riproponesse pannelli, fotografie, avvenimenti in gran parte già raccontati e più volte proposti.
L'idea era quella che si sviluppassero approfondimenti anche e soprattutto facendo leva sui soci "anziani" in grado di raccontare eventi aggiungendo quelle esperienze personali che potessero arricchire di particolari inediti o magari aggiungerne altri meno conosciuti, oltre ad approfondirli con ricerche storiche negli archivi.
Questa mia proposta era piaciuta, pur se presentava palesemente contorni vaghi, essendo fatta di buone intenzioni piuttosto che essere parte di un progetto strutturato ed era stata approvata come tale.
L'anno del 90° della sezione di Ferrara del Club Alpino Italiano è quasi interamente trascorso e questi mesi di lavoro da parte del gruppo che si è costituito hanno portato a produrre venti pagine che sono state pubblicate, quattro per volta, nel bollettino sezionale "in montagna", numero dopo numero. La sensazione è che qualcosa di buono sia stato fatto, ma c'è anche la consapevolezza che tanto ci sarebbe ancora da fare e ciò è stato riferito al Consiglio Direttivo manifestando l'intenzione di proseguire il lavoro di ricerca presentandone i risultati nel momento in cui venissero fuori altri aneddoti e storie di contorno agli eventi storici.
In queste note riproduco una parte del materiale storico della ricerca un po' come promemoria e molto per mostrare ai lettori di intraigiarùn cosa è successo nel passato, convinto come sono che saper guardare indietro aiuta a capire la storia avvenuta, ma anche a comprendere meglio il presente, e immaginare un possibile futuro. Preciso che i testi sono quelli pubblicati sui bollettini sezionali che citerò per precisione, ricordando che sono vari "spaccati" che invitano ad ulteriori approfondimenti per diventare possibilmente storia organica.

I primi vent’anni della Sezione di Ferrara tra alpinismo e sci (da "in montagna" n° 4/2017)
Diciamo a premessa che quando abbiamo iniziato questo lavoro di ricerca lo abbiamo fatto da curiosi, non da storici, pensando soprattutto di attingere ai ricordi dei soci più anziani per aggiungere notizie a quelle che già si conoscevano per essere state scritte e quindi tramandate con certezza. Abbiamo capito ben presto che non saremmo potuti andare più a ritroso del secondo dopo guerra (cioè i primi anni ’50), in seguito ci siamo resi conto di quanto poco era stato tramandato dei primi vent’anni di vita sezionale, da ultimo abbiamo compreso (e qui lo possiamo affermare con certezza) che la storia di quei primi vent’anni non è mai stata scritta.
Se sfogliamo il libro del cinquantennale della sezione (1927-1977 Storia e ricordi di cinquant’anni dell’alpinismo ferrarese) non troviamo una sola foto di sciatori, né di fondo e nemmeno di discesa e dunque ecco sorgere una prima domanda: come mai le foto degli album fotografici di quegli anni sono piene di bellissime immagini di soci che sciano in ogni dove dell’arco alpino, compreso Cervinia?
E la seconda domanda: come mai negli archivi sezionali è conservata una lettera nella quale si comunica la costituzione dello “SCI C.A.I FERRARA”, nell’anno 1938, regolarmente affiliato alla FISI?
La risposta è proprio in quelle tante fotografie di sciatori che hanno fatto scattare la nostra voglia di ricerca storica e di approfondimento, dopo essere arrivati alla prima logica conclusione che il libro del cinquantennale aveva voluto raccontare la storia dell’alpinismo ferrarese e non quella della Sezione, che non è mai stata scritta con completezza storica. La passione per lo sci ha avvicinato molte persone alla sezione favorendone la crescita in quei primi anni di vita e ciò non è stato riconosciuto come avrebbe meritato, come si volesse rimarcare una “supremazia” dell’alpinismo sullo sci. Può anche essere che la pratica dello sci risultasse per molti il modo più economico per andare in montagna usufruendo degli sconti sui viaggi ferroviari offerti dal CONI ai tesserati, in quanto gli sciatori soci del CAI erano registrati con la qualifica di "atleta" nel ventennio del periodo fascista.

A sciare a Cervinia con la littorina. Il momento più lontano che siamo riusciti a raggiungere a memoria d’uomo risale al 1939, tramite Alessandro Gorini il quale, socio CAI Ferrara dal 1946, ricorda di un evento che veniva tramandato in quegli anni. Un folto gruppo di soci era partito dalla stazione ferroviaria di Ferrara con una “littorina” per raggiungere Chatillon in Val d’Aosta, per recarsi a sciare a Cervinia. Con un po’ di pazienza e una buona dose di fortuna abbiamo trovato un riscontro in una cronaca datata 5 maggio 1939, a firma di Luciano Chailly, peraltro non troppo dettagliata, titolata “Nel magico regno di Re Cervino”. Vi si legge: “Eravamo in sessantadue, tutti alpinisti o appassionati della montagna, gente che ha la serenità nel cuore, allegra, sempre allegra, quel giorno più che mai. La ‘Freccia Bianca’ ci conduceva in sei ore e mezza a Chatillon e da qui i torpedoni iniziarono la loro ‘pompata’ e in due ore ci portarono a Cervinia. Ma il Cervino non c’è… la nebbia lo ha avvolto e lo tiene schiavo sotto il suo opprimente manto plumbeo.” La delusione svanirà al mattino successivo quando, aprendo le finestre al risveglio, apparirà il cielo terso e luminoso e Luciano Chailly descrive il momento con grande enfasi: ‘La conca del Breuil appare in tutta la sua vastità, con tutto l’incanto del suo candore, dei suoi campi vastissimi, dei suoi enormi mammelloni solcati dalle più svariate piste da sci. Il Cervino dominatore, illuminato dal sole è rinato finalmente alla luce e ha levato ancora il suo capo orgoglioso contro i cieli”.


Negli anni successivi sarebbero arrivati anche gli scialpinisti; gli iniziatori di questa attività furono prima Renato Fabbri cui si aggiunse in seguito Alessandro Gorini. Si trattava di attività individuali che venivano svolte con guida alpina, ma che negli anni fecero adepti fino a costituire dei nuclei di appassionati e diventare attività sociali organizzate periodicamente, come parallelamente è successo anche in campo alpinistico. Sono arrivati vari contributi da parte di soci, soprattutto fotografici, ma la ricerca dovrà essere approfondita per completarla.
A dare l'idea dell'ottimo livello di questi scialpinisti "pionieri" della sezione di Ferrara un ricordo/intervista ad Alessandro Gorini che riprendiamo dal bollettino "in montagna".    
 


1956. La traversata scialpinistica del massiccio del Monte Bianco (da "in montagna" n°5/2017)
Lo spunto viene guardando una serie di scansioni di vecchie fotografie in bianco e nero che riportano a tempi “antichi”. Una in particolare, mostra quattro persone in fila, sci ai piedi, che si muovono sul ghiacciaio del Miage, ambiente tipico dell’alta montagna. L’abbigliamento non è quello che siamo abituati a vedere oggi. Il primo della fila ha in testa una coppola, e l’ultimo, oltre a quella, indossa una camicia. Ciò che a un certo punto attira l’attenzione è il terzo della fila, con un berrettino bianco in testa, tiene nelle mani due strani bastoncini da sci e scatena subito una curiosità pungente. Riconoscendo il protagonista, Alessandro Gorini, siamo stati in grado di farci raccontare quella stranezza e anche la storia di quelle giornate.

Cosa stavate facendo, Sandro?  
Era il 1956 e stavamo iniziando la traversata scialpinistica del massiccio del Monte Bianco guidati da Toni Gobbi. Walter Bonatti aveva appena effettuato la traversata in sci delle Alpi, guida con cliente, e Gobbi voleva compiere un’impresa similare. Ero assieme a Renato Fabbri, che è stato presidente della nostra sezione prima di me.

Puoi raccontare di quegli strani bastoncini che avevi nelle mani?
Partimmo da Courmayeur con il taxi per raggiungere la Val Veny e iniziare il giro. Quando scaricarono i bagagli, ci si accorse che mancavano i miei bastoncini da sci. Allora Renato Petigàx, l’altra guida che ci accompagnava, trovò un tronco infisso nel lago di Combal e con martello e chiodi da roccia lo divise in quattro parti e ricavò due bastoni rudimentali, con i quali ho potuto effettuare la traversata.

Non era un’impresa di poco conto dal punto di vista dell’impegno fisico e tecnico. Vero?
Va detto che ci eravamo preparati con una settimana scialpinistica di allenamento, percorrendo la Houte Route da Courmayeur fino a Zermatt e poi a Cervinia. Si tratta di 120 chilometri con gli sci ai piedi. Poi ci trovammo per la partenza. Allora avevo 28 anni ed è stato 61 anni fa.

Che itinerario seguiste nella traversata?
Partimmo dal lago di Combal, passammo per la cima del monte Bianco e arrivammo al Plan della Aiguille du Midì. Conservo ancora il biglietto della funivia con la quale scendemmo a fine traversata. Dormimmo alla Capanna Vallot in salita anche se dire dormire naturalmente è un eufemismo. Basti pensare che materassi dei letti erano in fibre d’amianto. 

Quali furono i tratti di maggiore difficoltà che affrontaste?
La parte più impegnativa fu la risalita della cresta di Bionessay che percorremmo in cordata con ramponi e piccozza. In discesa il tratto più impegnativo fu quello tra il Gran Plateau e il rifugio Gran Mulet.

Per quanti giorni vi impegnò questa traversata del Monte Bianco?
Impiegammo in tutto quattro giorni, di cui uno perduto a causa del maltempo che ci tenne bloccati alla Capanna Gonella. Quando vi giungemmo, aprendo la porta, ci trovammo davanti un muro di neve pressata dal vento che dovemmo spalare per poter entrare e trovare riparo.

Gabriele Villa
Gli antesignani dello scialpinismo a Ferrara
Ricerche storiche per il 90° del CAI Ferrara, 1927-2017