Il serpente nella neve

(Ciaspolata a Cima Popi)

di Angelo Bolognesi


Prima di elencare le miserevoli note sulla gita a Cima Popi, un doveroso ringraziamento vada alla società “La Valle” che, nel solco del pluriennale rapporto instaurato con il CAI, all’insegna della sicurezza, ci ha fornito un pullman senza olio di palma.

Lasciato alle nostre spalle l’abitato di Proves, giunti sul posto e abbandonato il torpedone, osservando la muta di gitanti, sorgevano istantaneamente spontanei, una constatazione e un interrogativo.
La constatazione era che neanche “Ben-Hur” ebbe tante comparse. Veniva da augurarsi che, in futuro, una simile apparizione di massa in un paesaggio immacolato e intonso potesse essere considerata con riprovazione almeno quanto lo schiavismo, che ai nostri avi pareva normalissimo. L’interrogativo era se fosse proprio necessario vestirsi come un ginnasta rumeno di dodici anni per fare una innocente ciaspolata.
Bisogna proprio assomigliare ad un squadra olimpica di slittino se si esce a sbattere i piedi nella neve per qualche ora? In ogni caso, indifferente a tali constatazioni e interrogativi e sornione come sempre, il rettilone multicolor, al quale ci si è orrendamente abituati dopo anni di gite CAI, prendeva comunque a strisciare sulla neve fresca. Il serpente nella neve.

Notando le condizioni meteorologiche alquanto incerte, il nostro ammirevole Capo gita, Klaus Bum Bum Blacks, dopo aver consultato il suo personale oracolo tascabile, appendice inseparabile di ogni moderno cavernicolo, rassicurava il branco: “Nevischio fino a metà mattina, poi tempo in miglioramento.”
Ovviamente, appena messi in moto, ci si rendeva conto che la situazione meteo cambiava più rapidamente di quanto si aprisse una porta da saloon in un film con John Wayne.
Infatti, dopo un inizio caratterizzato da un debole nevischio, si proseguiva sotto un pallido sole, comparso per alcuni minuti con l'unico, bastardo scopo di illuderci mentre, in realtà, faceva da subdolo apripista alla seguente, copiosa caduta di neve gelata. Questa, gradevolmente sospinta da un venticello che si faceva via, via siberiano, riduceva in silenzio l’intera armata semovente, costituzionalmente già tendente allo sbando.
Il destino ha voluto che la colonna infame potesse procedere riparata all’interno di un bosco di conifere il quale, come da contratto, attenuava gli effetti disagevoli del maltempo, smorzando parzialmente le raffiche e sostituendosi a tratti ai muti gitanti come bersaglio per i proiettili di ghiaccio che piovevano dal cielo.
Per rispetto e onestà verso gli accompagnatori e istruttori vari, si deve ammettere che all'interno del club alpino così come nella nostra beneamata sezione, c'è gente preparatissima che da una vita studia le ciaspe, i chiodi e tutto quanto il resto, almeno tanto quanto Higgs ha studiato il Bosone.
Ma, non si sa bene da quali passioni dominati, se da rancore o dalla speranza, dal sospetto o dalla ragione, comunque sia in una fase confusa e a suo modo appassionata della loro esistenza terrena, i nostri accompagnatori, ad un certo punto, hanno deciso che, per il ristoro, ci saremmo fermati su un ampio dosso anche gradevole alla vista ma tragicamente esposto alla procella.
Dopo averli guardati come si sarebbe guardato un cieco alla guida di un autobus, leggermente perplessi riguardo alla scelta del luogo, ci si consigliava vicendevolmente di:
A) tenersi ancorati per non essere riportati a valle dal vento con largo anticipo sull’orario previsto.
B) continuare a muoversi per non essere sepolti dalla neve ghiacciata.
Ne è uscito un teatrino di gente che si cibava in movimento sempre attenta a non voltarsi controvento per cercare di mantenere il più possibile inalterati i connotati.
Una sorta di cha-cha-cha della segreta-a-a-a-ria a bocca piena.
Mentre il vento e il ghiaccio battevano il dosso come fosse un tappeto pieno di polvere, l'intera truppa dava l’impressione di un branco di timidi e imbranati dinosauri intenti a fissare il meteorite della propria estinzione.
Così, in un religioso e quasi assoluto silenzio, interrotto solo da isolate e sibilate parole quali “carneficina” o “strage”, si è consumato l'orrido pasto tra facce congelate e cadaveriche.
Personalmente ho visto colori più sani nelle torte di rabarbaro.

Si può dire che, casi come questo, dimostrano che esistono suggestioni antiche, forse irriformabili, quali l'istinto di morte, l'eccitazione alla sfida o il confronto senza filtri con la potenza della natura.
Emergono nella mente esempi come quello di Pamplona con i suoi tori lanciati liberi tra la folla.
Ecco, per rimanere sull'esempio, l'importante è fare sempre il tifo per il toro.
Lasciando alla psichiatria un’analisi più dettagliata del nostro caso specifico ci si può limitare a constatare come, nel nostro paese, gli episodi di pazzia si stiano decisamente moltiplicando. Se non sarà la scienza a farsene carico, sarà compito della biologia consegnare questi casi ad una meritata pensione, magari in quota ai servizi sociali.
Il Capo, dal canto suo, continuava a sostenere che il tempo fosse in miglioramento.
I pochi ancora in grado di farlo, esibendo il solito, diffusissimo, frenetico e avvilente andazzo internettaro, si mettevano immediatamente a verificare le sue previsioni del meteo, consultando i siti web. Nessuno che scrutasse il cielo il quale, plumbeo e omogeneo rivelava in modo chiaro ed inequivocabile anche per un abitante della cordigliera delle Ande così come per un vongolaro di Scardovari, le sue poco rassicuranti intenzioni.

Di fronte a ciò, balzavano alla mente Bouvard e Pecuchet, gli eroi di Flaubert che si cimentavano in tutte le branche dello scibile umano sorretti dalla convinzione dell'altrui idiozia e da una formidabile rimozione della propria. L'errore non poteva riguardarli. Lo stesso Flaubert, non spiega se fosse la presunzione o l'ingenuità la fonte del loro rovinoso attivismo. Ora, chi gode del formidabile ausilio della rete (onnisciente per assunto), clicca e riclicca, crede di formarsi, come una stalagmite, il più solido dei saperi.
Poi verifica se il mondo corrisponde. E nel caso non corrisponda, guai al mondo.

Vedere adulti vaccinati vivere in simbiosi con la tavoletta alla quale viene delegato ogni sapere, riproposizione dell'Ipse Dixit, richiama alla mente certe remote figure da baraccone che credevamo perse per sempre, come quello che ingoia cento banane in dieci minuti, o quello che traina un camion con i lobi delle orecchie oppure quello che ha i baffi lunghi sei metri.
Soggetti esilaranti o penosi a seconda che si inclini al cinismo o alla compassione.
Si tenga solo presente che non è colpa delle banane se un tizio ne ingoia cento fino a schiattare, o non è colpa dei baffi se quello ci inciampa, così come non è colpa delle connessioni se c'è chi si fa imbozzolare come un baco e in quel baco asfissia. Tutto a questo mondo è affidato al nostro patronato, alla nostra sagacia e a quella “app” molto basica che è il buon senso.
Il mostro non è la banana e non è il web. Il mostro è l'essere umano.
Facendo un onesto esame di coscienza, oggi tocca più o meno a tutti rieducarci un pochetto.
Diventare internettari è un rischio sempre in agguato. A differenza dell'internettaro, siamo tenuti a saperlo.

Terminato il confortevole pranzo al sacco, a base (cosa lo dico a fare) di surgelati, nell'accogliente, caratteristica e amena cornice alpestre, prima di cercare di rimettere in moto gli arti assiderati, non si è ritenuto opportuno avventurarsi nelle spelonche psichiche dei nostri accompagnatori, dove maturano simili orrori, riservando il compito ai criminologi. Nel dubbio, e avendo la fortuna di non essere magistrati, si sospende il giudizio.
Qualora i nostri valenti accompagnatori, (uno dei quali è entrato nel tunnel della fotografia e dei derivati del luppolo senza trovare più la via d'uscita; un altro ha passato la gita intento a scannerizzare, dietro gli occhiali a specchio, qualsiasi cosa avesse parvenze femminili, stambecche comprese), dovessero andare in cura da uno psicologo, non si può che augurare loro una felice guarigione.

Ripreso il cammino, tornava ad apparire il pallido sole che oltre ad illuminare brevemente di una luce sinistra la corona di monti circostanti, fino ad allora assenti ingiustificati, celava la sua seria intenzione di continuare a prenderci per i fondelli.
Qualche minuto più tardi, infatti, si scatenava una tormenta di neve.
Nevicava così forte che il primo della fila batteva la pista, il secondo doveva batterla nuovamente mentre per l'ultimo non c'erano speranze di riemergere dalla coltre. In quelle condizioni nessun animale del bosco, sofferente di stitichezza, avrebbe evitato di diventare un pupazzo di neve.

Così i pellegrini avanzavano penosamente nella gentile tormenta giungendo, dopo atroci sofferenze, in vista del pullman dove si gettavano in ginocchio come davanti a un reliquario.
Di fronte all’agognato torpedone, i gitanti si sono poi comportati come i pirati di Long John Silver alla vista della caverna del tesoro. Non evidenziavano altra intenzione che trovare l'entrata.

Il viaggio di ritorno ha presentato una gradita e necessaria variante rispetto al solito copione, dovuta all'imprescindibile orario di rientro in città. Al primo autogrill, tra espressioni svenevoli dovute a vesciche tese come pelli di tamburo, è stato estratto a sorte uno tra i soci partecipanti al quale è spettato l'onore di usufruire del bagno dove, sostenuto dal traboccante entusiasmo dell’intero pullman, ha urinato per tutti.
Ma, alle 20:00 in punto, gialli come la maglia del Modena, abbiamo toccato il suolo natìo.

Un ultimo pensiero vada infine al nostro stimato presidente che, anch'egli presente alla gita.
Non facendoci mai mancare il suo appoggio, pur con dei momenti di pittoresca vitalità, ci ha sempre seguito con l'espressione sicura, degna di un pastore tedesco di 60 chilogrammi della squadra narcotici della Polizia.
Si coglie qui l’occasione per rendergli onore nel momento in cui egli è giunto ad ottenere un importante riconoscimento all'interno della struttura del Club Alpino.
Ora, oltre gli O.N.C. Operatori Naturalistici e Culturali, gli I.N.A. Istruttori Nazionali di Alpinismo, gli A.S.E., A.E.C., I.S.A., I.S.B.A., I.A.L., I.N.A.L., I.N.A.I.L., I.N.P.S., ecc...ecc… e ad ulteriori incarichi già rivestiti da altri valenti soci nell’ambito della sezione, il nostro, dopo estenuanti fatiche che ce lo rendono ancor più simpatico, ha ottenuto il grado di Accompagnatore Nazionale per i corsi di escursionismo. In pratica un ruolo che rende la sua presenza imprescindibile e anzi, si vorrebbe suggerire obbligatoria, per chiunque voglia indossare un paio di scarpette e avventurarsi fuori dal cortile di casa.
Tanto per intenderci, nell'araldica del prestigio dell'associazione, quel titolo equivale a una specie di Arciduca.
Per quella vecchia convenzione sociale che è la cortesia tra soci dello stesso club, non conoscendo esattamente l'esatta definizione del titolo da lui conseguito, si pensa di omaggiarlo definendolo Accompagnatore Nazionale Obbligatorio (A.N.O.), essendo certi di rendergli così il merito dovuto e ribadendo dal profondo del cuore che mai titolo gli fu più consono.


Bibò
Il serpente nella neve
Cima Popi, 18 marzo 2018