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SPIGOLATURE.
18/02/2010 -
Da L'Adige abbiamo spigolato un interessante articolo su neve e valanghe

«La neve è una bestia: soffice e appena caduta pesa 50/60 chili al metro cubo, ma quella di una valanga arriva a 400/500 chili.
È come passare dal polistirolo ai mattoni. Bisogna evitare di prendersela addosso, e il punto vero è come trovare lo strato debole del singolo pendio, capire se c'è pericolo o no quando sei lì davanti».

Lorenzo Iachelini, guida alpina e istruttore delle guide, geologo e gestore del rifugio «Dorigoni» in Val Saent, va dritto al nocciolo della questione: se Arva, pala e sonda sono un po' come l'airbag (indispensabili, ma l'obiettivo è non averne bisogno), c'è bisogno di strumenti innovativi per valutare le condizioni della neve.
Per questo il Collegio delle guide alpine trentine si è rivolto al Canada, all'università di Calgary, chiedendo a Thomas Extner - guida alpina e ricercatore - di illustrare in Trentino i metodi nuovi d'oltreoceano da usare «sul campo».

Iachelini, perché il Canada?

«I canadesi sono stati i primi ad abbozzare risposte alla necessità di valutare con precisione la stabilità del manto nevoso sul posto, di fronte al pendio. Non sarà mai riconducibile a un processo matematico, ma la stratigrafia e l'impiego di colonne di neve sollecitate con impulsi, al di sopra di una certa soglia dà ragionevoli possibilità di valutazione».

L'Aineva valuta ancora insufficienti la consapevolezza del problema valanghe e la capacità di efficaci azioni preventive.
«Manca una cultura diffusa sulla stabilità del manto nevoso e per questo bisogna lavorare sulla prevenzione. Bisogna offrire il più possibile informazioni tecniche, ma l'ultima fase è quella che l'escursionista deve fare davanti al pendio. Arva, pala e sonda sono indispensabili, ma rispetto all'evoluzione dei materiali e alla diffusione del free ride e delle ciaspole, sulla ricerca non è stato fatto molto».

Cosa bisogna fare?
«Lavorare su due aree: quella della formazione e dell'informazione è la prima, l'altra è la ricerca di strumenti innovativi. Alla formazione mancano strumenti come le carte topografiche con le pendenze, le concavità e le convessità, che in Svizzera piano piano si stanno diffondendo. Dovrebbero essere disponibili in internet, con le caratteristiche generali degli itinerari più classici e la descrizione delle condizioni, fatta con il monitoraggio».

Può riassumere ciò che lei insegna alle guide durante i corsi?
«Ci sono tre filtri da usare quando si prepara un'escursione sulla neve.

Il primo è lo studio a casa, che secondo gli svizzeri elimina fino al 70% dei rischi: si studia l'itinerario sulla carta, si guarda il bollettino valanghe, si telefona sul posto per avere informazioni sulle condizioni della neve.

Il secondo filtro è la salita: osservare quanta neve c'è, quanto vento c'è stato e con che direzione, valutare la temperatura tenendo presente l'escursione termica. A sud, la primavera può iniziare mille metri più in alto che a nord, e il vento è l'architetto delle valanghe.

Il terzo filtro è sul pendio, quando devi decidere se traversare o scendere. Devi valutare l'inclinazione, con i bastoncini, e se un pendio risulta sicuro per valanghe che puoi staccare tu, le valanghe possono scendere da sopra. Devi valutare la stabilità del pendio in relazione alle superfici deboli che contiene. È qui che dobbiamo concentrarci, perché gli strumenti di cui disponiamo oggi consentono di farlo in maniera empirica e grezza».

Si dice che l'esperienza aiuta a sviluppare un "istinto".
«Un giorno, alle cascate del Valorz, ho gridato a due scalatori di scendere perché la situazione mi pareva brutta: mi hanno chiesto perché, ma alla fine si sono calati. Poco dopo è scesa una valanga. Non so spiegarlo, ma per trasferire queste esperienze abbiamo bisogno di strumenti adeguati».

La maggior parte degli incidenti è dovuta al passaggio dell'uomo. Ci spiega cosa avviene con un esempio?
«Le "tombe" degli scialpinisti sono i lastroni da vento e gli incidenti si devono ad un rapporto causa/effetto: con il peso si carica il lastrone, che è una struttura rigida paragonabile ad una lastra di vetro, che quasi esplode. La conseguenza è che ti manca il terreno sotto i piedi e sei colpito da blocchi che arrivano a pesare 400, 500 chili al metro cubo. Porto un altro esempio. Sotto la croce di vetta del San Matteo (gruppo del Cevedale, 3678 metri, ndr) il 16 luglio 1997, è bastato l'appoggio di un tallone per far partire un lastrone di neve con un fronte di 500 metri».

Articolo di Fabrizio Torchio, tratto da L'Adige del 29 dicembre 2009.


Nota: Le foto che illustrano il testo sono di Rita Vassalli e Gabriele Villa. (Archivio intraigiarùn)