a "Al Rifugio Maniago,
sulle tracce di Mauro Corona" di Marco Pedretti
di Gabriele Villa
Mi è piaciuto leggere il racconto-cronaca
di Marco Pedretti e vi ho riconosciuto il "suo stile".
Negli scritti di Marco trovo "leggerezza", nel senso che ha un modo di
raccontare semplice e lineare, che descrive la sua istintiva spontanea
curiosità verso la montagna e i luoghi che va a conoscere.
Non va a "faticare" con altimetro e orologio alla mano, lui va piuttosto
a curiosare, vuole rendersi conto di persona, toccare con mano ciò che
ha letto, o sentito raccontare, o conosciuto per interposta persona.
Direi che in questo racconto, più ancora che in altri, questa
caratteristica mi è apparsa evidente, forse perchè pure
io avevo scarsa conoscenza dei luoghi descritti, ho ugualmente letto
"L'ombra del bastone" di Mauro Corona e ne
sono stato suggestionato, anche se a me non era scattata la voglia di
"andare a vedere" i luoghi reali che ne hanno ispirato la storia, ma ci
ha pensato il caso a darmene l'opportunità.
E' stato sufficiente, un pomeriggio, incontrare Giangi e Mirta durante
l'allenamento sulle mura cittadine per venire a sapere della loro idea
di andare in Val Zemola la domenica successiva e, guarda il caso,
sull'onda della curiosità nata dalla lettura del racconto di Marco
Pedretti.
E' stato naturale decidere seduta stante di aggregarsi e andare assieme
a loro.
Ecco, credo che un'altra caratteristica del modo di scrivere di Marco
sia quello di essere coinvolgente perchè lui ti spiega i motivi della
sua curiosità e la fa diventare tua, te ne fa in qualche modo complice.
Alla fine siamo partiti in otto alla volta della Val Zemola, però non
abbiamo ricalcato
le tracce di Pedretti che a sua volta era andato sulle
tracce di Mauro Corona, noi (anzi, meglio dire "loro" perchè io ero a
rimorchio, escursionista assolutamente inconsapevole per scelta) avevamo
adocchiato un anello da percorrere che comprendeva il passaggio
attraverso Casèra Galvana per poi raggiungere il Rifugio Maniago.
E' stato abbastanza buffo essere colpiti dalle caratteristiche selvagge
dei luoghi circostanti e allo stesso tempo trovare una gran quantità di
auto parcheggiate nei pressi del Rifugio Buscada, dove ci siamo fermati.
Non ci aspettavamo affollamento e così è venuto spontaneo chiederci "ma
questi hanno letto tutti intraigiarùn?"
 
Siamo partiti a cuor leggero, confortati
dallo studio approfondito della carta operato dal nostro staff (come si
può notare dalla foto composto da ben cinque persone) e mai avremmo
pensato di trovarci, solo un'ora più tardi, dentro
al letto di un torrente, nella consapevolezza di avere perso il sentiero
per Casèra Galvana.
Mai disattenzione fu a me più gradita: in quell'ora avevamo percorso un
sentiero circondato da un ambiente maestoso dominato dalla sagoma
imponente del Monte Duranno, salito una caratteristica scaletta di legno
per superare un tratto ripido, avevamo attraversato un meraviglioso
bosco di faggi, osservato le gole scavate nella roccia dal'impeto del
torrente e, meraviglia delle meraviglie, ero riuscito a fotografare lo
spirito di quei luoghi imprigionato nella roccia al fianco della
cascata.
 
In quel momento mi ero sentito in simbiosi
con l'ambiente e il fatto che la cartina a quel punto fosse diventata
inutile
aggiungeva quel tocco in più perchè dovevamo capire l'errore commesso e
rimediare da soli, con un po' di "usta".
Dopo un altra mezzora eravamo tornati giù alle "Grave" nel punto esatto
dove un'ora e mezza prima avevamo attraversato il torrente e poi ...
sbagliato seguendo una traccia verso sinistra anziché girare verso
destra come indicava un cartello che, in effetti, era un po' discosto.
Fatto il reset, siamo ripartiti verso l'alto, abbiamo raggiunto Casèra
Galvana da dove in sei hanno proseguito fino al Rifugio Maniago e due
sono tornati sui propri passi scendendo di nuovo alle Grave.
Durante il pomeriggio è sopraggiunto un bel temporalone, come da
previsioni meteo, (chi ha potuto si è riparato e chi non ha potuto si è
bagnato) e, infine, abbiamo concluso la giornata con una visita
all'abitato di Erto vecchia e alla diga del Vajont.
 
Anche noi avevamo seguito le tracce di
Mauro Corona (la cui presenza sembrava aleggiare nell'aria, oltre ad
essere visibile in scritte e disegni sui muri di qualche casa), ispirati
e incuriositi da Marco Pedretti, ma senza avere risolto il dubbio
amletico: "Ma tutti quelli che erano là quel giorno, avevano letto o no
il suo racconto su intraigiarùn?"
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