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a "La via del villaggio" di Gabriele Villa
di Luigi Negri
Vorrei ringraziarla per questo e per il
garbo e la grazia dei suoi toni. Persone che, quando conservano ancora un nome nella mia memoria, non hanno più un volto; e quando hanno un volto spesso non hanno più un nome. Ma di tutti, proprio di tutti, ricordo la luce di gentilezza e di pudore, un pudore che sapeva di forte etica familiare, un'etica che era anche al contempo, eleganza e nobiltà di portamento. Muri di case provate dal tempo, dove una povertà dignitosa galleggiava nella penombra. I volti di coloro che tra quei muri vivevano da sempre. Muri e facce uguali, in una equivalenza quasi algebrica. Il senso dell'amicizia che non conosceva il pudore dei sentimenti, tanto quanto l'amore non conoscerà poi, il pudore dei corpi. L'odore del sottobosco, fatto di muschio, di funghi e di legni marcescenti.
Luci di villaggi, animali da fattoria
fermi sotto la pioggia, odore di letame e comignoli fumanti.
Una trama che avvolge e dà la percezione
del suo destino.
Perchè il malato si è innamorato della sua
malattia. |