a "La via del
villaggio" di
Gabriele Villa
di Rita Vassalli
Tra le varie letture dell’estate mi è capitato di rileggere “La
via del villaggio”.
Nel commentarlo può essere che, magari inconsciamente, io sia pure di
parte, ma diciamo che per quanto possibile ho cercato di estraniarmi
dall’autore e di scrivere come se impugnassi la mia penna ad inchiostro
verde.
Il racconto lo trovo completo, piacevole, ben scritto e scorrevole.
La parte introduttiva, che potrebbe essere una semplice ma dettagliata
descrizione geografica e dei suoi abitanti, è resa snella dalla
ricercata evasività dalla lingua comune ricorrendo al gergo e ai nomi
del luogo.
Un “impasto linguistico” che accompagna tutto il racconto pur
attenuandosi via via che si procede nella lettura e che a mio avviso
lascia trapelare l’intima lacerazione per l’offuscarsi di quelle voci,
di quei volti, di quelle cose ma non di quei sentimenti che rimangono
lucidi e più che mai vivi.
Splendida la descrizione di quella notte sulla via del villaggio.
Poche righe in cui, il lento dipanarsi della memoria mette in risalto
l’intimo accordo con i ritmi e i segreti della natura, come pure il
rispetto e abitudine all’ascolto per quel grande mondo montano, grande
nella sua semplice purezza.
Piacevoli gli schizzi analitici che Gabriele dà della gente.
Simpatica caratterizzazione della Veneziana e del suo “difetto” di
pronuncia che dà adito ad un ilare episodio che mette in moto il
racconto vero e proprio.
Un racconto che narra, in una prospettiva che fonde effettivamente
figure simboliche e realtà passata, di ricordi legati al villaggio
ricordato dall’autore, arrivando forse a constatare, suo malgrado, che
le ragioni del progresso sono state più forti della cultura locale come
ovunque, più forti della civiltà agro pastorale che la sostanzia, delle
radici etniche cui ormai si può guardare solo con rimpianto, ma non per
i tempi passati quanto per una consapevole perdita di valori e principi.
Un racconto scritto veramente bene!
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